“In casa con la polmonite: ne sono uscita rispettando le indicazioni del dottore”

Anna, 60 anni paziente oncologica, si è ammalata di Covid il 21 ottobre scorso. È ancora chiusa in casa ma la fase critica è ormai alle spalle

Medici in sciopero: “Sanita’ pubblica a rischio”

Termometro, saturimetro e misuratore di pressione. Sono gli strumenti che accompagnano Maria nella sua lotta quotidiana al coronavirus.

Chiusa in casa dal 21 ottobre scorso, attende ora quel tampone che sancirà la vittoria contro il virus SarsCoV2.
« Ricordo la prima notte: non riuscivo a dormire per i forti dolori alle ossa – racconta Maria – dolori in parti che non mi aspettavo: le dita dei piedi, le anche. Alla mattina mi sono alzata con un fortissimo mal di testa. Ho chiamato la mia dottoressa che mi ha fatto alcune domande. Mi ha chiesto se avessi febbre. Io non me la sentivo ma, invece, avevo quel fatidico 37,5 gradi…. Ha capito subito che la possibilità che mi fossi contagiata era alta e mi ha fatto la richiesta del tampone».

In quei giorni, iniziavano a crescere in modo veloce i numeri dei contagi. Il sistema sanitario faticava a contenere l’onda che si stava abbattendo. Nelle more di un appuntamento che non arrivava, Maria sceglie la via privata: sabato test e domenica l’esito che conferma la diagnosi temuta: positiva.

Nel frattempo, i sintomi della malattia si accentuano: gusto e olfatto scompaiono, la febbre inizia a salire anche a 38,5 gradi, iniziano i problemi intestinali e subentra una tosse “strana”.

Maria si affida alla sua dottoressa che non l’abbandona: lei , sessant’anni appena compiuti e paziente oncologica, è proprio uno di quei pazienti fragili che preoccupano. « La mia dottoressa mi prescrive anche una TAC ai polmoni che faccio sempre qualche giorno dopo. L’esito certifica la mia polmonite interstiziale bilaterale da Covid».

Il medico, davanti al sospetto della positività, prescrive alla sua assistita cortisone e un antibiotico per scongiurare l’insorgenza di un’infezione batterica. Prende anche il paracetamolo ma solo 4 volte, per abbattere la febbre quando sale a 38,5 gradi: « Comincia così il mio percorso di cura. Ogni giorno misuravo febbre, saturazione e pressione e comunicavo i dati alla dottoressa che confermava o variava la terapia».

Un giorno, però l’ossigenazione scende all’improvviso: « È stato il momento più difficile. Il saturimetro segnava 93 e mi sono spaventata. Ho chiamato subito la dottoressa che mi ha ordinato di fare 100 passi e rifare la misurazione. Ero davvero impaurita, temevo di dover essere ricoverata in ospedale. Ho iniziato a camminare, prima 100 passi e poi altri 100 e ancora. Dopo averne fatti 400 ho misurato di nuovo l’ossigenazione che era tornata normale. Abbiamo tirato entrambe un sospiro di sollievo: se non fosse risalita mi avrebbe dovuto ricoverare in ospedale».

A parte quell’episodio, la malattia e ora la convalescenza sono proseguite in modo tranquillo: « Ho la fortuna di avere una dottoressa che è bravissima a fare diagnosi. Le bastano poche e precise domande che capisce la situazione. Mi sono sempre attenuta alle sue indicazioni, non ho mai sgarrato. Anche oggi, in piena convalescenza, seguo i suoi consigli. Soprattutto non devo affaticarmi: ho iniziato a uscire un po’ in giardino, fare qualche passo all’aria aperta. Appena mi stanco, però, mi siedo».

Il peggio, dunque, è alle spalle anche se questa esperienza lascerà una lunga cicatrice: « Ho capito che solo mascherina e distanziamento possono davvero tutelarci. Non credo che potrò tornare a fare la vita che facevo prima. Sono stata fortunata questa volta e non voglio rischiare più. Rimarrò quanto più possibile isolata e distante. Sarà una fatica per me che avevo sempre attorno amici e parenti. Ma non è il momento ora. Speriamo a breve….»

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Pubblicato il 15 Novembre 2020
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