Diario della prima settimana da astronauta: il racconto del fisioterapista nel reparto Covid

Gianluca è alla sua prima esperienza nella riabilitazione dei pazienti Covid. Le ansie, le paure ma anche le soddisfazioni e quei grazie ripetuti da chi ha bisogno di non essere solo

Nella pneumologia covid dell'ospedale di Varese

Gianluca lavora come fisioterapista in uno dei reparti Covid dell’Asst Sette Laghi. Ci ha segnalato il suo “diario di bordo” affidato alla propria pagina social. Un racconto intenso e sobrio dove sofferenza e umanità vanno a braccetto, nello sforzo condiviso di portare chi soffre a varcare la soglia dell’uscita dal reparto per rientrare a casa.
Lo riportiamo integralmente per non modificare nulla della sua originalità ed efficacia.


Questa prima settimana da astronauta è giunta alla conclusione.
Da un lato è volata, da un lato è stata lunghissima.

Il reparto è sempre pieno, difficilmente passa più di mezz’ora con un letto vuoto. Si incrociano storie, paure, volontà e domande.
Nessuno usa la parola eroi, parola fin troppo abusata e mal-usata, ma molti dicono semplicemente grazie.

Come il nuovo ingresso di oggi, un uomo gigante, alto quasi due metri, enorme, che cammina sulle sue gambe con 6 litri di ossigeno al minuto e deve sedersi su una sedia dopo 10 minuti che sta in piedi. Casco CPAP per 4 giorni.
“Ue, benvenuto, cum à l’è? Son Gianluca, il fisioterapista”
“No va beh alla grande, che ho una voglia matta di rimettermi in sesto, figa”.

“Ho fatto una cosa che si chiama saturimetria nel cammino, che consiste nel misurare la saturazione durante un cammino normale. La bombola di ossigeno l’ho tenuta io, pesa si e no 12-15 kg, una ghisata pure a lavoro, bestia” ma quando gli ho detto che è andata bene e che, pian piano, non avrà bisogno di tutto quel flusso di ossigeno per far due passi e che lo farò sudare con il mio gruppo di riallineamento cardio, gli occhi han cominciato a sorridere, quel sorriso che tutto sta ricominciando.

Lo stesso sorriso di chi, camminando, torna a casa, fuori da un apparente incubo, l’incubo del casco CPAP che, e lo dicono tutti, è come essere chiusi in una scatola dove senti solo il rumore del ventilatore, ed è tremendo far fatica persino a mangiare, momento in cui ti è concesso toglierlo.
E ad un certo punto tutti dicono che non capiscono più un cazzo. Perché è cosi, hanno ragione. E hanno tutti voglia di parlare e, essendo io logorroico in maniera disumana, han trovato pane per i loro denti.

Capitano quelle giornate dove ci sono situazioni che ricorrono, come quella di un parente che ha portato dei biscotti per la mamma, e una volta portategli e spiegato come fare per contattare i medici, mi ha letteralmente obbligato ad accettare un regalo.

Con la gente devi parlare, tutti hanno bisogno di risposte alle domande e alle paure più disparate, i parenti hanno paura dell’ignoto per i parenti che non sanno usare un cellulare.
O di una persona speciale che merita di sapere come sta la propria mamma.

Anche io ho avuto paura
.
Domenica sera ero disperato, non sapevo se fossi stato in grado, se fossi stato pronto, se mi fossi ammalato o fatto ammalare qualcuno.
Vi presento le paure che chi lavora in sanità deve affrontare, signori.
Tutti abbiamo paura. Una paura fottuta, ma ti presenti come uno showman dai pazienti. Hanno già tutti imparato il batti pugno, e ogni giorno ormai si aspettano io che entro con “oh raga, son vestito bene oggi?”.

Oggi ho usato la tuta, dove ci sto…a pelo. Sembra che sia cagato addosso quando mi muovo. Per toglierla ci ho messo 10 minuti cazzo.
Sono entrato simulando il primo passo sulla luna, e il loro primo passo verso una meritata normalità.
Tipo quello del fisioterapista che urla “ma figa!” a caso quando lascia una cosa nel pulito.

Il mio bilancio è positivo. Ho una libertà di azione tale che se ottengo risultati è merito mio, se fallisco è colpa mia. Perché son partito con un foglio bianco. Ne sto facendo di ogni, ho persino studiato il modo per far fare gli esercizi aerobici a casa, per non smettere di migliorare.
Un paziente dimesso mi ha detto che in tanti pensano che sia una colonna portante del reparto. Ci ho messo due minuti a dirgli grazie, ero di sasso. Non credo di esserlo minimamente, e lo dico senza finta umiltà ma perché io lavoro esattamente cosi, ma sento tanto affetto e stima attorno a me, indipendentemente da dove sono, ed è bellissimo.

Un collega ha commentato il post di ieri, dicendo che vi è differenza tra lavorare come fisioterapista ed esserlo.
Io lo sono, ed è stupendo.
Con dei fogli di brutta ho deciso di fare un cartello per la porta di ingresso della palestra: BATTI PUGNO!

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 09 Novembre 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.