“La Casa di Carta”, le prime due stagioni: un film col fiato sospeso
Ventidue episodi per raccontare una fantasiosa e avvincente rapina alla Zecca di Stato. La recensione delle prime due stagioni della serie spagnola più vista nel mondo
Se cercate di fuggire per qualche ora da tutto quello che stiamo vivendo in queste settimane, “La casa di carta” è il prodotto che fa per voi. C’è dentro di tutto: complotti, amore, rabbia, segreti, voglia di riscatto, e soprattutto cambiamento. Quello che tutti noi dobbiamo affrontare sia fisicamente che mentalmente. Di seguito la recensione delle prime due stagioni, concepite come un unico grande film.
LA RECENSIONE
Serie Tv
Produzione: Vancouver Media
Piattaforma: disponibile on demand su NETFLIX.
Nr. Puntate: prima e seconda stagione: 22 puntate (13 nella prima parte e 9 nella seconda).
Interpreti: Úrsula Corberó (Tokyo); Álvaro Morte (Il Professore); Jaime Lorente (Denver); Miguel Herrán (Rio); Darko Peric (Helsinki); Alba Flores (Nairobi); Esther Acebo (Stoccolma)
ATTENZIONE SPOILER (prima e seconda stagione)
La serie tv dei record. “La casa di carta” è la serie tv spagnola più vista in tutto il mondo, con milioni di spettatori che hanno seguito le sorti del Professore e della sua banda di rapinatori. La storia, infatti, coinvolge otto personaggi (ognuno con il nome di una città, tutti con la maschera di Salvador Dalì) che si barricano nell’edificio della Zecca spagnola con decine di ostaggi. Il tutto mentre una mente criminale, il Professore, manipola la polizia per mettere in atto il suo piano personale che, man mano che procede la storia, sembra proprio essere differente da una semplice rapina.
Per chi non avesse visto le prime due stagioni (disponibili su Netflix) leggere così la sintesi della storia può sembrare banale, già vista, scontata. Ma non è così: i colpi di scena si susseguono in continuazione, puntata dopo puntata, con continui cambi temporali che ci fanno scoprire personaggi indimenticabili come il Professore e Berlino, con il rapporto che li lega a un passato comune. Oppure l’autodistruzione di Tokyo, vero fuoco e centro nevralgico del cambiamento che può investire ogni protagonista. E ancora: il superficiale Denver capace di un cambiamento per amore, costretto a crescere per aver salva la vita e ottenere la libertà. O lo stesso Berlino: ambiguo, sprezzante, ironico, cinico e pratico, ma con un senso di giustizia tutto personale che divide gli spettatori. Senza dimenticare Nairobi con sua spontaneità e il suo dolore nascosto.
Ci si affeziona a questi, e altri, personaggi. Si cresce con loro. Soprattutto grazie all’atteggiamento quasi paterno del Professore. Lui non vuole dei semplici esecutori, seppur bravi che siano, lui vuole una famiglia da crescere e premiare. Vuole che i soldi, che otterranno i membri della banda grazie alla rapina, non siano un semplice bottino, ma il premio di un cambiamento possibile. Per una seconda chance che esiste per tutti, se si è capaci di rischiare. Anche per lui, per il Professore, che, per amore e anche per ammirazione nei confronti della commissaria di polizia, è capace di rivedere persino i propri piani in corso d’opera.
“La casa di carta”, la cui sigla iniziale è da manuale, pari solo a quella de “Il trono di spade”, ha sollevato diverse polemiche politiche. Accusata dai tradizionalisti, osannata dai sovranisti, questa serie tv non prende una posizione politica, ma ha il merito di fare quello che anche il grande cinema ha messo in atto in passato: prendere un genere (letterario, cinematografico, comunque narrativo), rispettarne le regole al fine di poter raccontare un determinato momento storico, e poi stravolgere quelle stesse regole, per stupire, ma anche per raccontare il cambiamento che può essere compiuto nella società. Come? Nel caso de “La casa di carta” con i sentimenti, con la voglia di ribellione e libertà, con in senso di famiglia perduto, con la volontà di poter rendere possibile sogni e speranze. C’è il particolare che viene chiesto allo spettatore un grande sforzo sulla “sospensione dell’incredulità” (il patto nascosto tra spettatori e narrazione per cui si può chiedere di credere a tutto, basta che ci siano delle regole fissate da subito) perchè non sempre la narrazione è credibile fino in fondo. Ma è un particolare su cui si può sorvolare, a beneficio di un gran ritmo narrativo.
Le prime due stagioni de “La casa di carta” sono un unico grande film: se si inizia con le prime due puntate è praticamente impossibile interrompere la visione. Attenzione alle ore di sonno che perdete perché ben presto inizierete a sognare, o desiderare, di essere uno dei rapinatori. Col passare del tempo vi andrà anche bene di essere uno degli ostaggi, basta stare con loro.
La prima e la seconda stagione hanno chiuso un ciclo: il colpo alla zecca di Stato spagnola. Le 22 puntate (13 nella prima parte e 9 nella seconda) erano state pensate e girate insieme. Ma gli autori non si aspettavano un tale successo di pubblico, con un passaparola sui social tale da far diventare la serie un evento mondiale. La terza e quarta stagione sono già state pubblicate da Netflix, ma aspetteremo a parlarne in un altro articolo perchè sono decisamente “un altro film”. Per ora, per chi non l’avesse ancora fatto, godetevi le prime due stagioni tutto d’un fiato.
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