L’arte di prendere tempo. Il problema Aermachi

"La riconversione dell’area è dovuta. Gli edifici stanno degradandosi. Si deve ragionare su cosa serbare e riconvertire e cosa invece sostituire", l'opinione di Valerio Crugnola

L'area dell'ex Aermacchi di Varese

Il dibattito sul futuro dell’area ex Aeronautica Macchi giunge in ritardo. Ne parlo non come consigliere uscente, ma come cittadino che esercita il diritto a sollevare critiche, esprimere valutazioni, ventilare ipotesi e caldeggiare ripensamenti senza sproloquiare sui social.
La riconversione dell’area è dovuta. Gli edifici stanno degradandosi. Si deve ragionare su cosa serbare e riconvertire e cosa invece sostituire. Sbaglia chi spara sugli architetti accusandoli di essere dei conservatori estetizzanti che fanno degli esercizi accademici e non guardano al fare. Il problema più grande non è la memoria ma il rapporto tra progetto e città, il futuro, la qualità urbana, le necessarie visioni e il necessario coraggio di innovare innovando e non di fare cose nuove con idee e prospettive vecchie. La mancanza di un nuovo PGT si sente. Rivendico il primato della politica. Senza il potere di esame e di indirizzo della politica i privati e i tecnici sono orbi. Come altri ha notato, la cordata degli investitori appare coraggiosa e mette a frutto le generose compensazioni chieste dall’ente locale, ma innova poco nella sostanza. Il progetto è avulso dal territorio, rischia seriamente di sostituire un cluster con un altro, interpreta poco i bisogni presenti o emergenti, rischia di abbinare una buona idea a un deficit di immaginario e di qualità. Poche luci, molte ombre.

La ridestinazione sportiva mi piace. Un aspetto del futuro di Varese è in un’impiantistica fruibile anche per grandi eventi. Dacché siamo una periferia di Milano, diventiamolo meglio. Abbiamo un ippodromo storico per corse di seconda fascia, un capiente palazzetto dello sport, uno stadio in pessime condizioni con una pista di atletica e di ciclismo da far invidia ai dinosauri di Besano, una nuova pista per allenamento tra Masnago e Lissago, campi da tennis in fase di rinnovamento, un palaghiaccio in rifacimento (con polemiche annesse), qualche palestra minore fruibile e talora in corso di miglioramento, due impianti di golf di eccellenza, alcune piscine coperte e scoperte per chi si diletta a nuotare, un campo di rugby con edifici annessi in via di riconversione. La vicina Cunardo ospita una pista da sci di fondo innevata artificialmente. Abbiamo una tradizione forte nel basket, nel ciclismo su strada, nel canottaggio, che hanno saputo rinnovarsi. Un velodromo è troppo costoso. Altre tradizioni, come la ginnastica, sono al tramonto. Le pratiche sportive sono diffuse, ma gli eventi che possiamo ospitare sono minimi, canottaggio e ciclismo su strada a parte.
Il successo dell’Istituto Australiano dello Sport a Gavirate – un residence destinato ad allenamenti per professionisti – potrebbe essere un modello cui ispirarsi come saldatura tra tre dimensioni: globale, metropolitana, locale. Per conformazione, collocazione, impronte ambientali e storia, il territorio del Varesotto si presta a una più estesa e più qualificata vocazione allo sport come pratica non prestazionale, come professione, come spettacolo e come strumento di promozione turistica.
Una piscina olimpionica, con relativi servizi di residenzialità e con le necessarie strutture per allenamento e assistenza (medica, fisioterapica e alimentare agli atleti), è dunque la benvenuta.
Qualche edificato può, volendo, essere risistemato per housing e servizi. La diffusione degli sport d’acqua tra adolescenti e giovani verrebbe incentivata. La luminosità degli edifici storici potrebbe essere “citata” in un qualificato progetto architettonico. Sia benvenuto il basket abbinato, potendo, ad altri sport con la palla. Non so se basket, pallavolo e calcio a cinque – sport amatoriali molto diffusi o richiesti – possano convivere in un solo spazio, nei libro dei forse la polivalenza del campo sarebbe auspicabile. I servizi di allenamento, assistenza e housing sarebbero i medesimi del nuoto.
Una cosa è verosimile. Il complesso sportivo non sarà un polo di attrazione se sarà scadente e provinciale e se avrà volumetrie sovrapposte non pertinenti. Le ambizioni si ammoscerebbero. Sono un inquilino delle astrazioni con capacità imprenditoriali pari a zero, ma una riflessione migliorativa andrebbe fatta. Senza qualità, oggi, affidandosi solo a volumetrie e spazi approssimativi o mediocri, non si va lontano e i profitti sperati e legittimi non arrivano. Il futuro non arride a ardimentosi imprenditori con pancia a terra e vista corta.
Il versante commerciale del progetto non è affatto convincente, per il poco che si sa. Ne parlo a spanne, con beneficio di inventario. Un supermercato di tipo tradizionale, generalista, non rientra nei bisogni e non sembra avere futuro. Poi un marchio e un target possono risultare concorrenziali e battere alcuni rivali a portata di piedi, di bus o di auto, ma la debolezza della prospettiva resta.

Serve semmai uno spazio commerciale plurimo, specializzato, orientato alla qualità e alla varietà dei beni, in particolare alla freschezza degli alimenti e alla loro sostenibilità. Il mio amico Malerba non deve girare per la provincia a caccia di polli ruspanti, pesci senza plastica, carni senza estrogeni, frutta e verdure buone, filiere e packaging sostenibili. Conta non la certificazione burocratica ma la promozione al diploma del gusto. La volumetria è enorme, non giustificata e non ha vantaggi competitivi. Sono un consumatore frettoloso, ma mi sembra che il troppo sia antieconomico. Si pensi al fallimento delle Corti, attribuibile non solo alla pornoarchitettura e al degrado della piazza e del comparto, pesante eredità lasciataci dai tangentopolati. Meglio creare un nesso logico con la Fondazione Marchesi, le scuole professionali, i ristoratori, gli allevatori e i produttori agricoli locali: risorse già esistenti o degne di rilancio.
Nessuna delle due vocazioni assolve però alle carenze più gravi della città: il deficit di sociabilità al di fuori dei richiami del consumo, in corso di mutamenti epocali; il deficit nel consumo del tempo libero; il deficit di strutture destinate al divertimento, alla cultura e alla qualità della vita collettiva; la trivialità delle architetture successive al 1945 e il generale imbruttimento di una città che si sta sforzando di cambiare ma che non si può risollevare in fretta. Non spacciamo questo progetto come rigenerazione urbana.
Mi aspetto di più da Paolo Orrigoni, apprezzato e stimato consigliere con alle spalle una famiglia che ha avuto e ancora ha ruoli socioculturali. Alla fine la cosa riguarda il candidato sindaco vincente e il candidato soccombente che però ha poteri decisionali ben più forti. Spero che dialoghino con intelligenza, senza retorica d’antan sul fare e senza frette affaristiche. Andiamo più piano lavorando su un pensiero collettivo che investa istituzioni e cittadini. La fretta è una pessima consigliera, prendere tempo è un’arte. Il primato della politica e il ruolo decisionale degli imprenditori nascono entrambi dalla trasparenza, dalla franchezza, dal confronto e dallo studio, che nulla ha che fare con il marketing ma che fa vendere.

 

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Pubblicato il 28 Novembre 2020
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