“Noi medici di famiglia siamo la diga che frena l’onda”

Un medico di medicina generale racconta la sua quotidianità in ambulatorio. Una fotografia ben diversa da quanto si va denunciando

coronavirus foto generiche vario varie

Abbiamo appreso dalla rubrica “Data-Room” di  La7, condotta dalla signora Gabanelli, come secondo lei sarebbe strutturato  e retribuito il nostro lavoro in generale, e durante questa pandemia in particolare.

Sembra  che, dietro un compenso ragguardevole, il nostro orario consisterebbe in sole tre ore lavorative al giorno, che durante queste tre ore noi  non risponderemmo al telefono, e che ci verrebbe corrisposto un compenso per contatto telefonico.

Riguardo al nostro “compenso ragguardevole”, precisiamo che  metà del lordo va in tasse; una somma non trascurabile è data dall’affitto (elevato nelle città), spese condominiali, spese per le pulizie dei locali, per il telefono (quello al quale non risponderemmo  mai e che ci costa parecchio ), smaltimento dei rifiuti speciali, canone programma computer, assistenza computer, luce, materiale per medicazioni, eventuale personale di studio e per finire ci sarebbero le spese per i nostri sostituti, in quanto non abbiamo diritto a ferie e indennizzo di malattia (ci sono diarie per malattie lunghe).

Veniamo al punto due: “i medici di base lavorano 3 ore al giorno”; si tratta di doveri minimi previsti dall’accordo collettivo che però non corrispondono alla durata reale di un ambulatorio medico. In epoca pre-covid il tempo che un medico con 1500 pazienti trascorreva in media nel proprio ambulatorio era di circa 5/6 ore al giorno ,al quale si aggiungevano ore per le visite domiciliari  programmate e non.

Durante questa pandemia si saranno anche ridotte le visite a domicilio, ma per contro sono notevolmente aumentate le ore trascorse in ambulatorio; si arriva ad una permanenza in studio fino a 10/11 ore giornaliere.

Sembra difficile crederci stando a quello che si dice di noi, ma ci stiamo occupando dei nostri pazienti. Fin dove possibile lo facciamo telefonicamente e quando non lo è, programmiamo l’accesso in sicurezza in ambulatorio, oppure andiamo a visitarli a casa (le USCA si occupano solo di pazienti covid).

Elenchiamo in sintesi:
-stiamo trattando a casa e con successo molte polmoniti da covid per evitare che i pazienti senza grave insufficienza respiratoria vadano ad intasare gli ospedali, ciò comporta un contatto telefonico quotidiano con questi malati nonché l’assunzione di responsabilità; se le cose dovessero andare male potremmo essere incolpati per  non avere inviato il paziente in ospedale.
– siamo passati all’invio telematico delle ricette che  consente di non fare assembrare i pazienti in studio per il ritiro delle
impegnative. Questo richiede un enorme impegno di tempo, ma siamo sicuri che su scala nazionale abbia evitato
tantissimi contagi.
-continuiamo a seguire tutte le patologie non covid (perché  esistono anche quelle).
– chiediamo i tamponi diagnostici con un sistema laborioso e lento che non sempre funziona.
– emettiamo valanghe di certificati INPS tra patologie e quarantene.

Arriviamo adesso al punto dolente, il fatto che sembra infastidire tutti e cioè la difficoltà di contattare il proprio medico. In realtà riceviamo tantissime telefonate per le quali naturalmente non ci viene corrisposto alcun compenso. I pazienti però lamentano troppe difficoltà nel prendere la linea. Hanno ragione, in questo periodo la richiesta di salute è molto aumentata a causa della presenza ingombrante dell’infezione covid e per il bisogno di vedere fugate le proprie ansie e paure di questi tempi.

Ma quello che realmente intasa le linee sono le decine e decine di telefonate quotidiane per avere notizie sull’arrivo dei vaccini; purtroppo a tutt’oggi non siamo in grado di dare appuntamenti per le vaccinazioni perché non sappiamo quando i vaccini ci verranno forniti. Se a queste  si aggiungono le decine e decine di chiamate per avere da noi informazioni in merito ai mancati tracciamenti e alla non programmazione dei controlli dei pazienti covid (che competerebbe all’ATS), appare chiaro che in queste condizioni è davvero difficile trovare le linee telefoniche libere.

Stiamo facendo il possibile per curare e assistere i nostri pazienti ed è proprio nello svolgimento di questo lavoro che molti medici hanno perso la vita o si sono ammalati gravemente.

Riguardo al giuramento di Ippocrate , pretendere che fra i compiti di un professionista ci sia quello di andare disarmato nelle case delle persone rischiando il contagio per effettuare visite non strettamente indispensabili (ribadiamo che quelle necessarie vengono eseguite) vuol dire che al medico cosiddetto “di famiglia” non viene neanche più attribuita dignità di persona, bensì di un semplice mezzo.

Autorevoli giornalisti esternano nelle molte trasmissioni televisive di informazione come sia incomprensibile il rifiuto dei medici di medicina generale di eseguire i tamponi naso-faringei nei loro studi. Viceversa è a noi che appare incomprensibile come questi  conoscitori della sanità possano desiderare di frequentare studi medici dove entrano ed escono pazienti covid o presunti tali.

Siamo in piena seconda ondata di pandemia; a noi non serve essere attaccati in continuazione, ma ci servirebbero un
sostegno reale , mezzi di protezione validi, una rete di contatti con specialisti e un facile accesso ai mezzi di diagnosi per immagini.

In questo momento rappresentiamo anche se con fatica una diga che impedisce che un onda devastante si abbatta sugli ospedali.

dott. ssa Grazia Giardina, dott.ssa Wanna Botta’
– Medicina di gruppo di Via Puccini (Va)
– Sindacato F.I.S.M.U

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Novembre 2020
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