Il Pronto Soccorso di Varese alla prova del Covid: “Resistiamo grazie alla forza del resto dell’ospedale”

Reportage nel Pronto Soccorso dell'Ospedale di Varese, dove ogni giorno arrivano tra i 30 e i 40 pazienti covid con quadri clinici molto gravi. E per ogni paziente Covid ce ne sono due per altre emergenze

Loro sono la prima linea, quella dove si abbattono le ondate del Covid a ritmo di 30/40 pazienti al giorno. Ma se il Pronto Soccorso dell’ospedale di Varese sta resistendo è grazie al lungo e intenso lavoro di tutta la rete degli ospedali dell’ASST dei Sette Laghi. Qui, nell’ospedale più importante della provincia che è il nuovo epicentro della pandemia in Italia, non si vedono scene di ambulanze in coda e malati in coda in auto. Perché?

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«Per lo sforzo senza precedenti di tutti gli ospedali dell’Asst dei Laghi nell’aprire più posti possibili in maniera molto rapida, trasformando molte zone per pazienti covid. È grazie a questo che il pronto soccorso, pur sotto pressione, ha comunque avuto la possibilità di ricoverare con tempi piuttosto buoni». È questa la risposta del Primario del Pronto Soccorso dell’ospedale di Circolo di Varese, Walter Ageno, davanti ad una seconda ondata molto più difficile della prima e che non sembra finire più. Basti pensare che quando è stata realizzata questa intervista -lunedì- Ageno faceva riferimento a 500 persone ricoverate mentre oggi siamo già a quota 600.

Una riorganizzazione che ha coinvolto anche il Pronto Soccorso che ormai da mesi ha attivo un doppio percorso per pazienti con sospetto covid e per quelli con altre tipologie di emergenze, percorso che continua a mutare. Da sabato, ad esempio, parte della sala d’attesa è stata convertita per ospitare le persone con problemi respiratori: nuovi spazi per le barelle e soprattutto nuovi collegamenti alla rete dell’ossigeno.

«I nostri problemi maggiori erano quelli degli spazi, non solo fisici in cui mettere i pazienti ma anche per garantire il distanziamento, e quelli di garantire un adeguato supporto di ossigeno per pazienti che nella maggior parte dei casi arrivano con una grave insufficienza respiratoria». Ageno puntualizza infatti come in quelle decine di pazienti che si presentano tutti i giorni «le persone che arrivano solo per avere una valutazione sono sicuramente una minoranza; la maggior parte ha sintomi importanti».

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Un sistema che si regge su un delicatissimo equilibrio ma che, nel caso del Pronto Soccorso, deve fare i conti anche con le altre emergenze. Se infatti tutti i reparti riconvertiti stanno riprogrammando le attività ambulatoriali e quelle non urgenti per chi si occupa di emergenze tutto questo non si può fare. Infarti, incidenti, malori o fratture continuano a succedere e rappresentano ancora la maggior parte di ciò che impegna il Pronto Soccorso di Varese. «Noi abbiamo due terzi dei pazienti che arrivano qui per altre problematiche che dobbiamo affrontare con tutti gli altri percorsi che devono essere fatti» e quindi «anche se finora l’organizzazione ha funzionato la situazione è estremamente critica».

Ed anche in questi locali in cui la colonna sonora è quella del fischio dell’ossigeno nelle maschere è arrivata l’eco delle voci che parlano di Pronto Soccorso deserti. «Comunicazioni fuorvianti», così le bolla chi lavora qui ma che paradossalmente mettono in luce il fatto che «l’organizzazione sta funzionando: un’area di pre-triage si svuota velocemente perchè i pazienti vengono indirizzati nelle loro sale. Quindi se uno entra lì non c’è motivo di trovare folla e guai sarebbe il contrario. Questo non significa che i pronto soccorso siano vuoti, ma solo che c’è solo una distribuzione diversa degli spazi. Il nostro per lo più riesce a far fluire i pazienti, ma gli accessi sono numerosi e avere tante barelle vicine di pazienti sospetti covid, cosa che per noi è la quotidianità, è tutt’altro che segnale di un pronto soccorso vuoto».

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Marco Corso
marco.corso@varesenews.it

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Pubblicato il 11 Novembre 2020
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