“Per andare avanti ho fatto il fattorino”: vita di un attore ai tempi del coronavirus

Conversazione con Romeo Tofani, giovane attore varesino che non si è fatto abbattere dalla pandemia. "Non mollo perchè la gente ha bisogno di sognare"

Generica 2020

La realtà dei nostri giorni vede protagonisti innumerevoli giovani bramosi di entrare a far parte del mondo dell’arte. In tanti sognano di diventare attore o attrice, ma raggiungere l’obbiettivo non è semplice come sembra. Non basta essere bravi: ci vuole costanza, dedizione e tanta voglia di fare.

Abbiamo incontrato Romeo Tofani, un attore varesino di 28 anni che ci racconta il suo lavoro, la sua passione, il suo percorso e come sta affrontando la faticosa situazione in cui versa il mondo del cinema e del teatro al tempo del coronavirus.

Come hai capito che fare l’attore era la tua strada?
«Sono stati due i momenti in cui mi sono reso conto che recitare era quello che volevo fare nella vita. La prima volta ero molto piccolo, i miei genitori recitavano nel teatro amatoriale dell’oratorio. Mi ero stupito tantissimo vedendoli sul palcoscenico e mi domandavo perché mamma e papà non si stessero comportando da mamma e papà. Quando mi spiegarono cosa stava succedendo, pensai subito che fosse una cosa affascinante. E il desiderio di diventare un attore mi è rimasto da allora. La seconda volta è stata quando, adulto, ho provato per la prima volta a fare della recitazione il mio lavoro. Da quel momento recitare è diventato molto più che una passione e molto più che un lavoro: è diventato un bisogno».

Che tipo di formazione e studi hai affrontato?
«Prima di tutto ho frequentato un’accademia cinematografica, l’Istituto Michelangelo Antonioni di Busto Arsizio. Sono tre anni di corso che servono a formarti soprattutto dal punto di vista tecnico. Da gennaio a marzo 2012, avendo vinto una borsa di studio, sono andato in Finlandia, dove ho seguito un corso incentrato sulla recitazione in inglese. Ho seguito molti altri workshop qui in Italia. Uno degli aspetti fondamentali dell’essere un attore è che non smetti mai di studiare e ogni cosa che conosci è uno strumento utile. Ogni nuovo ruolo necessita uno studio approfondito, che sia di movimento o una pratica sportiva o un accento particolare. Per questo è fondamentale seguire sempre corsi che ti permettano di imparare e riuscire così ad interpretare al meglio il tuo personaggio».

Di quali progetti e lavori hai fatto parte?
«“Aquile randagie” è un film del 2019 che racconta la resistenza non armata degli scout durante la Seconda guerra mondiale. E’ il progetto più grande a cui ho partecipato fino ad ora. Avevo il ruolo protagonista e la pellicola è stata molto apprezzata. Ho fatto molto teatro e qualche spot pubblicitario. Nell’ultimo periodo stavamo filmando un film horror, ma la produzione è stata costretta a mettere il lavoro in stand-by a causa del coronavirus. Oltre a recitare in cinema e teatro, insegno. Tengo un corso di anamnesi simulata all’Humanitas insieme ad un docente medico. Io personalmente mi occupo di insegnare agli studenti come reagire e rapportarsi con un paziente. Questo lavoro serve a creare un rapporto di fiducia tra medico e paziente e a rendere la sanità più efficiente. Questo serve molto anche a me, perché io interpreto il loro paziente, ricreando diverse situazioni in cui il medico si trova faccia a faccia con il malato, analizzando poi la sostanza insieme a loro».

“MONDO DELLO SPETTACOLO E CORONAVIRUS, È DURA”

Dal punto di vista lavorativo, come hai affrontato il coronavirus, le restrizioni e i divieti imposti dal governo al mondo dell’arte?
«Quello che stiamo vivendo è un periodo traumatico. Io appartengo a una delle prime classi che ha perso la possibilità di lavorare a causa delle restrizioni. Così a febbraio ho iniziato a lavorare come fattorino, soprattutto perché gli aiuti dallo stato agli artisti sono stati organizzati male e non tutti riescono a ottenerli. I bandi sono stati costituiti secondo una logica lontana dal nostro modo di lavorare: può essere che pur facendo parte di un progetto solido, le ore di lavoro mensili per un attore non siano sempre uniformi, anzi, spesso e volentieri sono molto altalenanti. Questo però non viene calcolato. A settembre ho ripreso, ma ho potuto girare solo uno spot pubblicitario, perché poco tempo dopo è stato istituito il nuovo lockdown. Il mondo dell’arte si trova in una posizione critica. Non siamo abbastanza tutelati, forse perché l’arte, come anche lo sport, viene considerata più come svago che come lavoro reale. Una cosa positiva di questo lavoro, soprattutto in questo periodo terribile che stiamo vivendo, è che la gente ha bisogno di sognare. Questo è ciò che mi spinge a non mollare».

Cosa significa voler diventare un attore nel 2020?
«Avere fame. Nel mondo della recitazione la concorrenza è spietata. Sono innumerevoli le produzioni che cercano attori disposti a lavorare gratuitamente. Per questo, al giorno d’oggi, chi vuole fare della recitazione la propria professione, deve avere fame di lavoro. Bisogna insistere sempre e combattere tanto».

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Pubblicato il 02 Dicembre 2020
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