Sempre più cervi sulle strade del Varesotto, sono alla ricerca di nuovi spazi da colonizzare

Non solo pericolo sulle strade: per gli studiosi il rischio di un’alta densità di questi animali riguarda anche lo stato di conservazione dei boschi

Generica 2020

In giro di notte, con le corna, nei centri storici dei paesi intorno a Varese. A spasso per Lozza, Bodio, Gazzada. Tempo fa in centro a Gallarate, addirittura in autostrada. Sono cervi, animali maestosi che possono arrivare ai due quintali di peso.

C’è un perché di questa presenza sempre più vicina all’uomo: sono tanti.

La faccenda potrebbe finire qui, ma è difficile accontentarsi di fronte al racconto di chi questi animali li studia. Sì, gli incidenti stradali e la potenziale pericolosità per chi viaggia in alcune aree della provincia. Ma c’è dell’altro, che ha a che vedere con la conservazione e quindi il futuro dei nostri boschi.

QUANTI SONO La stima “al capo“ non esiste. Ma il cervo è assoggettato a prelievo venatorio in caccia di selezione e per farla è necessario operare censimenti per conteggio delle popolazioni e quindi secondo gli addetti ai lavori una valutazione di massima fa arrivare il numero di questi ungulati in provincia attorno alle mille unità, localizzate sopratutto nel nord del Varesotto, ma anche in altre zone come nel Parco Pineta dove è presente una discreta comunità che si riproduce velocemente, e sopratutto nell’asta dei principali corsi d’acqua. In qualche caso nel Ticino, ma specialmente lungo l’Olona e i reticoli idrici minori che degradano verso il lago di Varese: la popolazione spesso di giovani si muove con facilità proprio lungo i “corridoi ecologici”. Sempre in movimento, sempre alla ricerca di cibo. Questo spiega la presenza di tanti animali sulle strade, in questo periodo aiutati dal minor traffico veicolare notturno (vedi coprifuoco).

IL RITORNO «La provincia di Varese non è una zona a criticità elevata. Siamo tuttavia in una fase di espansione della popolazione di cervi e le analisi di prospettiva ci fanno capire tutti gli sforzi legati alla tutela e conservazione della fauna stanno dando i loro frutti. Qualche decina di anni fa in tanti gridavano all’allarme per l’assenza di animali nei boschi, e ora sono tornati». Lo spiega Adriano Martinoli professore associato del dipartimento di Scienze teoriche applicate dell’Università dell’Insubria di Varese. Un valore aggiunto che somiglia a quello di un paesaggio curato, ben tenuto e «vedere un cervo, trovare un palco nei boschi durante una passeggiata è certamente il sintomo che gli animali ci sono e segno di buono stato dell’ambiente: arrivano perché trovano boschi di qualità e buona produzione. Ma…»

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LE PIANTE BAMBINE Ma c’è un «ma» in questa narrazione offerta sempre dal professor Martinoli. «Non siamo ancora in fase critica, ma il cervo è una specie considerata “ingegnere ambientale“ cioè animale la cui presenza è in grado di modificare l’ambiente circostante. Succede per esempio per il castoro che costruisce dighe in legno e va a modificare i corsi d’acqua. Ma anche col cervo che con la brucatura interrompe il rinnovamento del bosco, perché si nutre degli apici in rinnovamento bloccando così la crescita delle piante giovani, che vengono divorate. Si tratta di un problema che stanno affrontando nel Parco Nazionale dello Stelvio, area dove esiste la maggior popolazione di cervi».

L’EQUILIBRIO Dunque, sebbene non si possa parlare di una vera e propria emergenza, il rischio che alcune aree con alta densità di cervi subiscano un impoverimento di nuovi alberi è concreto. Esiste poi anche un altro fattore potenzialmente destabilizzante per i nostri boschi rispetto alla massiccia presenza di questi ungulati. «Boschi con alberi grandi e adulti e sottobosco assente rappresentano un problema per uccelli che nidificano al suolo, o per piccoli mammiferi che vedono modificato il loro ambiente. Succede a cascata, via via che aumenta la presenza dei cervi», conclude Martinoli.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 10 Dicembre 2020
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