Torna in aula la morte delle sorelle Agrati: «Più punti di innesco per l’incendio»

In corte d'Assise il processo che vede Giuseppe Agrati imputato per il duplice omicidio delle sorelle, morte sei anni fa nell'incendio della loro abitazione a Cerro Maggiore

incendio via roma cerro maggiore

Torna in aula il processo che vede Giuseppe Agrati imputato per il duplice omicidio delle sorelle Maria e Carla, morte nell’incendio che la notte tra l’11 e il 12 aprile 2015 ha distrutto l’abitazione al civico 33 di via Roma a Cerro Maggiore. Sul banco dei testi in un’udienza fiume davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio sono sfilati un Vigile del Fuoco (in veste di ufficiale di polizia giudiziaria), i tecnici della Polizia Scientifica chiamati qualche settimana dopo il rogo ad eseguire i rilievi tecnici nell’abitazione su richiesta della Procura di Busto Arsizio, i tecnici del pronto intervento di Italgas e due militari del nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano.

Al centro del dibattimento ancora oggi ladinamica dell’incendio. Pochi giorni dopo quella maledetta notte, quando la polizia giudiziaria tornò in via Roma per il sopralluogo, provò a ricostruire il percorso del fuoco arrivando ad ipotizzare due diversi punti di innesco: uno vicino all’ingresso, dove si trovavano i due contatori presenti nell’abitazione, e uno al piano superiore. Agli occhi di chi esaminava la scena risaltò soprattutto una circostanza: in cima alle scale erano posizionati un armadio e una cesta di vimini piena di giornali, il primo danneggiato ma non in modo importante e la seconda quasi intatta.

Stessa conclusione, quella del doppio innesco, alla quale è arrivata anche la Polizia Scientifica, che a distanza di diverse settimane dall’incendio, su richiesta della Procura della Repubblica di Busto Arsizio, effettuò nuovi accertamenti nell’abitazione dei fratelli Agrati e identificò due diversi epicentri del rogo, considerati un «chiaro segnale di incendio doloso»: uno in prossimità della porta di ingresso e uno all’interno di una stanza al piano superiore, quella dove fu ritrovato il cadavere di Maria Agrati. In entrambi i punti furono effettuati dei tamponi che rilevarono sì la presenza di una famiglia di idrocarburi, ma non, complice probabilmente anche il tempo trascorso tra l’incendio e i rilievi, in misura sufficiente a stabilire con precisione di che sostanza si trattasse: composti chimici di questo tipo sono infatti presenti tanto nella benzina, quanto nella vernice dei battiscopa, giusto per fare qualche esempio.

I tecnici della Scientifica, che hanno messo in luce anche alcune incongruenze tra la versione dell’imputato («riferisce eventi che dal punto di vista scientifico non sono possibili»), incalzati dalla difesa di Agrati hanno però ammesso di non essere stati a conoscenza, al momento degli accertamenti, della circostanza che uno dei due possibili inneschi è stato individuato proprio nel punto dove è stato rinvenuto il cadavere di Maria Agrati.

Il personale addetto al primo intervento di Italgas è invece stato chiamato a riferire sulla struttura dell’impianto, sullo stato dei due contatori e sul del tubo di entrata del più grosso dei due, che non è mai stato ritrovato né nella posizione originale né da altre parti, mentre lo stabilizzatore che avrebbe dovuto essere collocato all’ingresso di quel tubo è stato trovato a terra. Proprio uno dei due contatori è peraltro finito nel mirino della difesa, che ha portato ad esempio diversi articoli di giornale riferiti ad episodi in cui apparecchi tutto sommato simili rispetto a quello presente in casa Agrati hanno causato incendi: di simili episodi, però, i tecnici che hanno testimoniato non hanno riscontri.

Nelle parole dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano, poi, la Corte ha rivissuto i primi, concitati, momenti che quasi sei anni fa misero in moto la macchina dei soccorsi. Al numero unico di emergenza quella notte arrivarono quattro telefonate nel giro di una manciata di minuti. Una da alcuni passanti che notarono le fiamme che lambivano il portone del civico 33 di via Roma. Una quando i vicini, svegliati dal calore dell’incendio, chiamarono i soccorsi, con la voce dell’imputato che risaliva dalle scale in sottofondo. Una effettuata sempre dagli stessi vicini che nel frattempo avevano svegliato altri residenti nell’edificio ed erano usciti. E infine una dal numero di una donna scesa in strada dopo aver sentito un forte rumore di vetri infranti e aver visto le fiamme dalla finestra di casa, che prestò il telefono ad un’altra astante.

Nel racconto dei militari anche l’acredine dell’imputato nei confronti del nipote che chiese la riapertura delle indagini, la questione dei fondi di cui da anni Agrati cercava di rientrare in possesso, la ricerca dei testamenti delle due vittime: proprio il nipote avrebbe parlato di una ricerca del documento da parte dello zio anche a casa di Maria Agrati (che passava i weekend con i fratelli ma non viveva insieme a loro). Dalla cella dove Giuseppe Agrati ha assistito all’udienza, però, a questo punto della testimonianza si è levato un energico “no”. E da lì si ripartirà alla prossima udienza, quando prima di ascoltare gli altri testimoni chiamati in causa dalla Procura sarà lo stesso imputato a chiarire alcune circostanze rendendo una dichiarazione spontanea.

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leda.mocchetti@legnanonews.com
Pubblicato il 26 Gennaio 2021
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