Il Covid non ferma l’innovazione in azienda. Nove su dieci vogliono rivoluzionare ma la strada è lunga

I risultati del sondaggio “L’innovazione nelle Pmi: cosa è cambiato e cosa serve alle imprese?” promosso da Confartigianato Varese con Artser e Faberlab

Generica 2020

Le aziende sono interessate all’innovazione. Di più, sono molto interessate ai processi di innovazione (86%), anche a quelli legati all’economia circolare e allo sviluppo sostenibile. Un indicatore fenomenale e una prima risposta alla domanda: l’anno Covid ha fermato i processi di rinnovamento aziendale? No, a giudicare dalle 370 imprese che hanno partecipato al sondaggio “L’innovazione nelle Pmi: cosa è cambiato e cosa serve alle imprese?” promosso da Confartigianato Varese con Artser e Faberlab. (Foto di fancycrave1 da Pixabay )

L’ulteriore conferma arriva dall’89% degli imprenditori alla guida di aziende tra loro anche molto diverse, che manifestano la certezza che tra dieci anni la produzione, così come le imprese, saranno profondamente cambiate. Pochi credono all’equazione mantenimento uguale stabilità. Tanto che le competenze, da acquisire il prima possibile, sono il fulcro attorno al quale ruotano le prospettive di cambiamento. Chi le ritiene fondamentali punta su quelle manageriali (41%) e operative (38%), certificando il fatto che senza una nuova organizzazione aziendale difficilmente sarebbe possibile mettere in pancia un efficace processo di innovazione (anche in chiave di sostenibilità). Non meno importante, anche se staccata di qualche lunghezza, è la competenza commerciale: perché il cliente, nel mondo rinnovato dal Covid, richiederà progressivamente sempre nuove strategie di avvicinamento.

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UNA FORTE CONSAPEVOLEZZA

«Il dato che emerge con maggiore evidenza è quello della consapevolezza: chi crea lavoro ogni giorno sa che in futuro potrà continuare a farlo efficacemente solo modificando sé stesso e la propria azienda. Solo innovando e imboccando la strada dell’economia circolare» analizzano Davide Baldi e Angelo Bongio, innovation manager rispettivamente di Faberlab e Artser. Il dato è tanto più rilevante quanto meglio si guarda al panel di imprese intercettate dal sondaggio. Vale a dire aziende perlopiù piccole e medie (1-5 e 10-20 dipendenti), attive nei settori impiantistico e della manifattura (38%), con produzioni orientate a prodotti a marchio proprio (22%) e su commessa (19%) e con tipologia di business equamente divisa tra B2B (51%) e B2C (49%). Piccole ma determinate a cambiare e, soprattutto, a farlo attraverso un processo di riorganizzazione interno e, in parallelo, aprendosi sempre di più a quell’open innovation che crea relazioni con centri di ricerca (11%), startup (8%) e università (8%). Un passaggio non scontato «che prelude a un cambio di passo nelle relazioni che enzimano e accelerano lo sviluppo e l’innovazione» analizzano Bongio e Baldi. E resta da capire se, tra gli interlocutori, in proiezione futura si faranno avanti anche le grandi industrie, centri propulsori fondamentali nel caso delle imprese della filiera. La voglia di collaborazione punta dritta anche sull’economia circolare e la transizione green (24%), seguita dalla produzione (22%), dalla generazione di idee innovative (16%) e dalla commercializzazione (14%).

RIMUOVERE VELOCEMENTE GLI OSTACOLI

La strada è tracciata – e nessuno pensa che vi si possa rinunciare – anche se il cammino, a giudicare dal punto di partenza, è ancora piuttosto lungo: ad oggi, il livello di integrazione dei sistemi informativi con i sistemi di produzione è basso (27%) e, in alcuni casi, è ancora fondato sull’impiego della carta (38%). Su questo bisognerà lavorare, andando a destrutturare gli elementi che fanno da freno alla digitalizzazione e all’innovazione: il rapporto incerto fra benefici e investimenti (19%); il costo eccessivo degli investimenti necessari (14%) e l’arretratezza della maggior parte delle aziende con cui l’impresa interessata al salto di qualità collabora (14%). A questi fattori si aggiungono la mancanza di competenze interne funzionali a gestire i processi di innovazione (11%) e la mancanza di una infrastruttura tecnologica di base adeguata (11%). Tolti i freni, si potrà partire, contando sugli incentivi per la transizione digitale che, a quanto pare, sulle imprese hanno già fatto breccia: Impresa 4.0 (32%); Sabatini (24%); bandi camera di commercio (22%) e bandi di Regione Lombardia (16%). Minoritario il contributo europeo (5%).

COMPRENDERE E ADEGUARSI AL MERCATO

«Sintetizzando, le aziende sono disposte a mettersi in gioco sfruttando gli strumenti a disposizione e avviando rapidamente i processi: segno della capacità di comprendere il mercato e di adeguarsi ai suoi cambiamenti» dicono Baldi e Bongio osservando le innovazioni introdotte nelle aziende tra 2015 e 2021. A guidare la classifica sono gli impianti, i macchinari e le attrezzature basate su nuove tecnologie di produzione (35%), seguite dai nuovi sistemi informativi (24%) e dall’innesto di una nuova generazione di prodotto successiva a quella preesistente caratterizzata da migliori prestazioni (14%). Minoritaria la stanzialità (11%). Alla voce economia circolare, le imprese non hanno dubbi: la spinta nella direzione della sostenibilità arriverà perlopiù dall’iniziativa dell’imprenditore (68%) mentre la moral suasion dei clienti avrà un peso inferiore (18%) ma importante in un’ottica di collaborazione – e relazione – pro/static/upload/gru/gruppo-4.pdfattiva.

«Le imprese hanno una consapevolezza ormai radicata, ovvero sanno che sostenibilità ed economia circolare possono generare un vantaggio competitivo importante in termini di mercato – è l’analisi di Davide Baldi (Faberlab) e Angelo Bongio (Artser) – Quelli che cavalcheranno questa onda di trasformazione si metteranno a correre sui nuovi mercati e gli altri dovranno capire rapidamente che quella è una strada (e una scelta) senza ritorno».

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Pubblicato il 24 Marzo 2021
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