Crediti Covid alle aziende svizzere, 50 fascicoli d’indagine aperti dalla magistratura ticinese

Novanta le persone indagate, di cui 13 già in carcere. Il totale della massa dei crediti oggetto di accertamenti si aggira intorno ai 10 milioni di franchi

franchi svizzeri

Per molte aziende, una vera e propria boccata di ossigeno. Per altre un’opportunità per accaparrarsi quanto non compete, sfruttando il momento, cioè la pandemia che colpisce con violenza settori economici, col rischio di metterli in ginocchio.

Per questo le maglie della magistratura cercano di stringersi sempre più attorno a chi fa il furbo. Un fenomeno che non riguarda solo le aziende di casa nostra ma anche quelle d’oltreconfine: tra il 26 marzo e il 31 luglio 2020 le aziende elvetiche hanno infatti potuto beneficiare di crediti garantiti dalla
Confederazione.

Dati alla mano – come evidenziato nel corso della conferenza stampa del 12 aprile dal Procuratore generale sostituto (Sezione reati economico finanziari) Andrea Maria Balerna – fino ad oggi il Ministero pubblico ha aperto oltre 50 fascicoli.

La maggior parte delle denunce è giunta dalle banche stesse tramite l’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS).

Gli importi erogati spaziano da poche migliaia ad oltre un milione e mezzo di franchi. Il totale della massa dei crediti oggetto di accertamenti si aggira intorno ai 10 milioni di franchi. Gli importi sin qui sequestrati o già restituiti agli istituti di credito ammontano a circa il 30% del totale. Sempre guardando alle cifre, le persone indagate sono più di novanta (di cui 13 toccate dalla misura della carcerazione preventiva).

Sotto la lente delle autorità – ha spiegato ancora il magistrato – sono finite diverse tipologie di possibili infrazioni: si va dalle indicazioni false nella richiesta di credito all’utilizzo degli importi ricevuti per finalità estranee agli scopi delle misure di sostegno.

Una seconda fattispecie che sta emergendo in maniera preoccupante sullo sfondo della pandemia è quella degli abusi alle indennità per lavoro ridotto perpetrati da aziende che avrebbero fornito cifre non veritiere circa le ore di lavoro perse a seguito della crisi pandemica. Numerosi i casi oggetto di accertamenti da parte delle autorità amministrative preposte e oltre trenta le segnalazioni sin qui giunte al Ministero pubblico.

Alcune di queste ultime hanno già condotto a importanti operazioni svolte dalla Polizia cantonale in collaborazione con gli uffici federali e cantonali competenti.

Quanto verificatosi nel corso dell’ultimo anno all’ombra della pandemia – ha evidenziato il capo della Polizia giudiziaria, maggiore Thomas Ferrari – dimostra l’importanza di una costante ricerca in seno ai vari livelli dell’Amministrazione pubblica di strategie preventive volte a contenere il danno, sviluppando il senso critico e i meccanismi di riconoscimento delle potenziali situazioni di abuso.

Un lavoro che deve andare di pari passo con la percezione del fenomeno da parte della cittadinanza. Alla criminalità economico finanziaria non è infatti ancora riconosciuto dall’opinione pubblica il suo effettivo grado di pericolosità sociale, dal momento che essa non va ancora ad intaccare in maniera significativa il buon livello di sicurezza percepito e non compromette ancora la capacità dello Stato di erogare servizi e prestazioni di qualità.

Un intervento a tutti i livelli prima che ciò accada è tuttavia imprescindibile. I benefici di una strategia congiunta e strutturata su più linee di difesa (società civile, autorità amministrative e di perseguimento penale) contro gli illeciti economici sono molteplici: oltre a permettere di perseguire un numero maggiore di casi e di ridurre gli abusi a danno dell’ente pubblico, vi è anche un effetto deterrente nei confronti di chi cerca di sfruttare in maniera abusiva i diritti materiali e procedurali previsti dal nostro ordinamento. Il tutto a salvaguardia del tessuto economico sano e, in ultima analisi, del benessere di tutta la cittadinanza.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 12 Aprile 2021
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