David Arioli, preside del Sereni di Luino: “La scuola non sprechi ciò che la pandemia ci ha insegnato”

Parla il dirigente scolastico dello storico istituto luinese con sede distaccata a Laveno Mombello: “I nostri territori scontano ancora una grandissima arretratezza nella diffusione della banda larga e delle connessioni rapide"

Generica 2020

La sfida dell’emergenza pandemica per la scuola è stata enorme ed è tutt’altro che superata: la strada per il ritorno alla normalità è ancora in salita. Per capire a che punto è la situazione negli istituti del territorio abbiamo iniziato un dialogo con i dirigenti scolastici che possa aiutare a capire quali sono le prospettive di uno dei settori più importanti e vitali per il futuro del nostro Paese.

Un anno cominciato con grandi speranze di ripartenza, le preoccupazioni per le distanze, la sicurezza e addirittura l’attenzione all’interlocuzione continua fra le famiglie e gli operatori dei trasporti per incastrare orari delle corse dei treni con quelli delle lezioni. Un assaggio di normalità andato di traverso dopo l’arrivo della seconda ondata e le chiusure. David Arioli è il dirigente del liceo scientifico Vittorio Sereni di Luino, che guida dall’estate 2020. Oltre che la sede storica di Luino alcuni indirizzi dell’istituto sono attivi anche a Laveno Mombello.

Professore: quali sono stati i principali problemi affrontati durante l’emergenza sanitaria?
«I principali problemi non potevano che essere legati alla modalità con la quale ciascun “attore” del mondo scolastico ha vissuto la pandemia. Innanzitutto gli studenti: sorreggere la loro speranza nel futuro, tenerli agganciati al presente, prevenire lo scoraggiamento e l’angoscia è stata la nostra principale preoccupazione.
Ovviamente questa situazione ha coinvolto anche le famiglie, a volte disorientate, a volte spaventate, a volte adirate per l’impotenza umana di fronte a questa situazione imprevista. E per noi dirigenti è stato difficile anche dare risposta al personale (docenti, amministrativi e collaboratori), chiamato ad “essere forte e rassicurante”, senza avere certezze in tasca. E per chi è chiamato ad essere guida di una comunità educativa è stata una “prova del fuoco”. Le difficoltà tecniche, in fondo, sono state meno determinanti».

Di fronte a questo panorama quali soluzioni sono state prese per l’emergenza e quali, invece, potrebbero diventare “di sistema“?
«La miglior soluzione è stata sicuramente la prudenza, coniugata con una buona dose di pazienza. Le soluzioni sanitarie si sono manifestate piano piano, con progressive acquisizioni collettive (protocolli, tamponi, vaccini…). In molti momenti ci è parso di trovarci di fronte ad ostacoli insormontabili: la collaborazione di tutti e la ricerca di soluzioni ragionevoli adeguate all’evoluzione del contesto ci ha permesso di fronteggiare la situazione in continua evoluzione. Certamente ora sta a tutti noi far diventare “quotidiane” alcune pratiche impensabili fino ad un anno fa. La scuola non può sprecare l’occasione di ripensamento e ricostruzione che la pandemia ha offerto. Sarebbe lo sbaglio più grosso».

Il digital divide costituisce un problema? Il territorio come ha risposto?
«Sicuramente molte famiglie hanno lamentato problematiche legate alla disponibilità di mezzi informatici e di connessione. Ma se per il primo problema la scuola ha potuto provvedere grazie ai fondi messi a disposizione dal Ministero, per il secondo non si è trattato di un problema di “soccorso” economico. Vastissime zone della nostra provincia (in particolare nell’Alto Varesotto) scontano ancora una grandissima arretratezza nella diffusione della banda larga e delle connessioni rapide. Abbiamo mantenuto costantemente il contatto con alcune famiglie che, per tutto l’anno scorso e per quello in corso, hanno cercato ogni possibile soluzione con i gestori telefonici, non riuscendo ad arrivare ad una conclusione positiva. Se vogliamo che la nostra provincia, oltre che nell’ambito scolastico anche in quello imprenditoriale, possa continuare ad essere un territorio di idee ed innovazione, non possiamo permettere che soffra di mancanza di infrastrutture di rete adeguate ai migliori standard mondiali».

Cosa si dovrebbe fare questa estate per un avvio normale dal prossimo anno scolastico?
«Credo che il principale problema (a parte la questione trasporti, che non compete direttamente al mondo della scuola) resti quello delle capienze degli edifici scolastici e della loro completa modernizzazione e messa a norma. Se perdiamo questa partita, qualunque sarà la situazione epidemiologica di settembre faticheremo a riportare regolarmente tutti gli studenti in classe. Al momento attuale le norme sul distanziamento impongono standard che, comunque, sarebbe auspicabile mantenere anche al termine della pandemia: in aule spaziose,
ben arieggiate e ben tenute l’apprendimento va di pari passo con la salute degli studenti. Verrebbe da dire “mens sana in aula sana”».

Domani, quando avremo superato l’emergenza, che tipo di scuola ci dovrà essere? quale le richieste del mondo dell’istruzione?
«La pandemia ci ha consegnato nuovi stili di lavoro e di apprendimento, non adatti forse a sostituire la scuola tradizionale, ma assolutamente validi per migliorarla. La grande sfida del futuro sta in quella formula, spesso disprezzata, che contiene però una vera promessa: Didattica Digitale Integrata. Chi l’ha identificata con la didattica a distanza (la cosiddetta DAD) non ha colto a pieno la potenzialità di questa metodologia. Non è un “al posto di” ma, piuttosto, un “a supporto di”. L’integrazione digitale, se usata opportunamente in tempi di “tranquillità sanitaria” può agire da moltiplicatore delle possibilità di apprendimento. E credo che questo sia un punto di non ritorno, soprattutto rispetto alle nuove richieste della società e del mondo del lavoro».

Come è cambiata, se è cambiata, la struttura della scuola? Ci sono stati adeguamenti funzionali e/o strutturali per ridurre o rimodulare le classi, gli orari, le lezioni?
«La scuola, per fortuna, è cambiata moltissimo ma è sempre la stessa fin dai tempi di Socrate, mi verrebbe da dire. La scuola può cambiare su tutto, ma non sul rapporto docente-discente. Questo è lo specifico dell’educazione umana: un rapporto, cioè un cammino guidato, fatto di passi, di inciampi, di fatiche e di traguardi. Gli aspetti organizzativi hanno cercato da sempre di accompagnare tutto questo. In quest’anno, in particolare, abbiamo dovuto cambiare decine di volte il nostro modello organizzativo: ingressi scaglionati, turnazioni a gruppi ridotti, modalità alternative per svolgere attività abituali, distanziamenti, protocolli, mascherine, percorsi sicuri per l’accesso a scuola e per l’uscita…..Forse tra tutte la scelta più sofferta è stata quella di suddividere le classi in gruppi più piccoli, per permettere il distanziamento. Questa scelta ha preservato la salute di tutti, ma ha compromesso in buona parte la normale vita sociale degli studenti: un prezzo molto caro, ma assolutamente necessario».

Che dispersione scolastica ha registrato la vostra scuola in questa emergenza?
«Nel corso di tutto l’anno la mia principale preoccupazione, condivisa dai docenti delle varie classi, è stata quella di non lasciare da solo nessuno. Il costante monitoraggio delle assenze (anche in DAD) ha prodotto un certo numero di telefonate, incontri, segnalazioni, nel tentativo di tenere agganciati o riagganciare alcuni studenti coinvolti in un vero e proprio “ritiro sociale”. Credo che la nostra scuola abbia sofferto tanto quanto le altre scuole del territorio, ma il prezzo -in generale- è stato comunque troppo alto».

Il recupero dei saperi e delle conoscenze persi dal febbraio 2020. È una priorità?
«Sì e no. Il gap nelle “conoscenze” si è fatto sicuramente sentire rispetto ad un anno normale, ma credo che la Didattica Digitale Integrata abbia permesso -d’altro canto- un discreto incremento delle “competenze”, particolarmente di quelle attinenti al “digitale”, e di alcune competenze di vita. In sostanza l’apprendimento è stato diverso, piuttosto che minore. Per questo credo che occorra sicuramente mettere in campo iniziative di recupero per alcuni contenuti (soprattutto legati alle esperienze in presenza) non sviluppati, ma si deve anche valutare positivamente e consolidare il progresso effettivamente conseguito in alcuni ambiti normalmente trascurati».

Avete attivato il supporto psicologico agli studenti o docenti?
«Nella nostra scuola, come nella maggior parte degli istituti, era già normalmente attivo il servizio di sportello psicologico. Ovviamente grazie ai finanziamenti ministeriali ad hoc è stato possibile potenziarlo. Tuttavia la vera difficoltà è stata quella di coinvolgere gli studenti nell’utilizzo di questo importante strumento. Il fatto che per buona parte dell’anno i ragazzi siano rimasti lontani da scuola non ha facilitato questa forma di intervento.
Nonostante la scuola si sia attivata per fornire il servizio da remoto, anche in questo caso la “distanza” ha reso complesso e meno efficace il supporto psicologico. Capitolo a parte riguarda la necessità di supporto dei docenti: credo che per loro si dovranno mettere in campo risorse nei prossimi anni».

Generica 2020

GESTIONE PANDEMIA
Avete avuto la possibilità di comprendere se si siano verificati episodi di contagio nelle vostre scuole?
«Dai monitoraggi settimanali (richiesti dal Ministero) abbiamo potuto notare che la stragrande maggioranza dei contagi è avvenuta ed avviene fuori da scuola. Certamente abbiamo dovuto, come tutti, mettere in quarantena alcuni gruppi classe, ma molto raramente il caso indice positivo ha prodotto ulteriori positività negli studenti della stessa classe. Inoltre non ci risultano assolutamente (almeno fino ad ora) casi di contagio studente- docente o studente-personale ATA. La scuola rimane, tutto sommato, un luogo sicuro».

A che punto è la vaccinazione sul personale scolastico nel vostro Istituto? Ci sono insegnanti che hanno rifiutato di farsi vaccinare?
«Tutti i docenti che hanno potuto prenotarsi, si sono vaccinati. Anzi devo osservare che, nel momento in cui per un breve periodo è stata sospesa la vaccinazione con AstraZeneca, molti docenti hanno manifestato la loro delusione e il loro disappunto. Alcuni docenti, trovandosi purtroppo al di fuori della fascia d’età prevista per la campagna vaccinale (erano oltre i 65 anni), non hanno potuto vaccinarsi subito. Anche da loro ho raccolto delusione e disappunto».

La figura del responsabile covid: quanto lavoro burocratico ha creato? La vostra struttura era/è adeguata a svolgere i nuovi obblighi?
«Sicuramente questa nuova mansione, supportata in gran parte dalla segreteria, ha creato un notevole aggravio nel lavoro quotidiano. Dopo un primo momento di difficoltà e disorientamento, però, si è fatta avanti la consapevolezza che questo lavoro aveva ed ha un importante impatto sulla lotta alla diffusione del contagio. Devo dire che, comunque, la piattaforma messa a disposizione per le segnalazioni “EMERCOVID” ha funzionato discretamente, facilitando in buona parte gli adempimenti».

La collaborazione con gli altri enti istituzionali: i trasporti, gli enti locali, l’autorità sanitaria, com’è il dialogo e il coordinamento tra i diversi attori in campo?
«Ho trovato in tutti una grande disponibilità e collaborazione. Con i responsabili dei trasporti ho mantenuto un dialogo costante e ho riscontrato una buona disponibilità ad ascoltare i problemi e a proporre soluzioni. Gli enti locali ci sono stati vicini, pur scontando a loro volta la continua incertezza della situzione. Ma anche nel loro caso il dialogo e la collaborazione non sono mai venute meno. L’autorità sanitaria ci ha accompagnato con maggiori difficoltà: d’altra parte l’impegno spasmodico nella lotta al Covid ha lasciato proprio agli operatori sanitari ridottissimi spazi di manovra. Ribadisco, comunque, che -pur in mezzo a continue difficoltà- non ci siamo mai sentiti abbandonati».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 28 Aprile 2021
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