Il concetto di ‘felicità’ e i mutamenti riscontrati al tempo del COVID19

Gli studi internazionali evidenziano che la pandemia non ci ha tolto la felicità. Tre psicologhe spiegano com'è andata

coppia passeggiata autunno - Foto di chulmin park da Pixabay

Si può parlare di felicità in questo momento così particolare per l’umanità? E quali sono i mutamenti imposti che probabilmente rimarranno nella nostra quotidianità, anche quando questo periodo sarà finito?

A risponderci sono tre psicologhe. La dott.ssa Elisabetta Belfanti, neuropsichiatra infantile e dell’adolescenza, dirigente psicologo all’Ospedale di Luino della U.O (unità operativa) neuropsichiatria infantile e attuale assessore alle politiche sociali e giovanili a Laveno, la dott.ssa Francesca De Taddeo, psicologa dell’infanzia e dell’adolescenza e psicoterapeuta sistemico-familiare in formazione, e la dott.ssa Carlotta Canestra, Psicologa e Sessuologa.

«Il Global Happiness 2020 di Ipsos ha analizzato il livello di felicità dei cittadini in 27 Paesi del mondo: il 63% dichiara di essere felice, un dato pressoché invariato rispetto all’anno precedente e nonostante la pandemia in atto – ci spiega la dott. Canestra – Io credo che questo dato si possa contestualizzare in relazione al fatto che molte persone hanno sfruttato al meglio il tempo sospeso del lockdown, hanno rallentato i ritmi lavorativi e hanno messo in pausa la frenesia del mondo pre-covid e lo stress che questo produceva. Probabilmente questo ha donato ad alcuni uno spazio in cui riflettere e ritrovare sé stessi. Per quanto riguarda i cambiamenti credo che la diffidenza al contatto fisico con un estraneo resterà nella nostra quotidianità. Torneremo al contatto fisico, certo, ma ci penseremo molto prima di presentarci con una stretta di mano o ad abbracciare un altro tifoso allo stadio».

Concorde anche la dott.ssa De Taddeo che ci racconta come la pandemia, nonostante tutto, abbia permesso di comprendere che la felicità non dipende da ciò che accade all’esterno e che non servano situazioni particolari per provare questa emozione positiva e carica di energia.
«Siamo stati capaci, chi più chi meno, di trovare nella semplicità delle piccole cose un angolo di felicità…-continua – proprio in quelle cose che prima davamo per scontato e che nell’ultimo anno ci hanno sorpreso con la loro umile bellezza: una passeggiata nel bosco, giocare con i nostri figli, poter condividere maggiormente con i nostri familiari parti di vita che nella frenesia di sempre ci sfuggono imparando a vedere, nonostante la fatica, la risorsa. Parlando di cambiamenti, dal punto di vista della genitorialità, credo e spero che nel post covid i genitori mantengano questa presenza nell’accompagnare i figli di fronte alle criticità e alla frustrazione per permettere ai bambini e ai ragazzi di riconoscersi anche nei vissuti più dolorosi trovando il coraggio di affrontare le situazioni, fattore fondamentale per accrescere l’autostima e il senso di efficacia. Sebbene rimarrà un senso di paura credo sarà accompagnato da maggiore consapevolezza e cura di sé e dell’altro, nonché dell’importanza delle manifestazioni di affetto come abbracci, baci e carezze di cui spesso dimentichiamo l’importanza».

«Sicuramente in questa fase delicata il concetto di felicità, o meglio di serenità, appare un obiettivo da ritrovare piuttosto che un concetto assodato – conclude la dott.ssa Belfanti – tutte le fasce, ma i ragazzi in modo particolare, hanno perso i cardini del benessere tradizionale (i rapporti amicali, sociali e sentimentali, lo sport, lo svago, ma anche la scuola, le agenzie sociali, il confronto che rinforza l’autostima..) e devono reinventarsi a partire da nuovi assunti, che possono diventare un punto di forza se visti nell’ottica del recupero di ritmi meno congestionati e di azioni meno consumistiche e più “pensate”. Devo dire che la fascia d’età della quale mi occupo fatica a riscoprire questi valori e le molte situazioni di fragilità che prima della pandemia si reggevano su convinzioni poco salde si sono rivelate in tutta la loro problematicità, rendendo indispensabile la messa in atto di azioni massive di contenimento (la terapia farmacologica di supporto, i ricoveri ospedalieri), quindi io fatico ancora vedere quanto ci è accaduto come opportunità.
Come già accennato, la società ha recuperato ritmi più lenti e forse più fisiologici, ha ripristinato un tempo di condivisione intra familiare che i ritmi frenetici della società avevano spesso sacrificato, ha riscoperto passatempi intergenerazionali che prima si erano persi e ha, in un certo modo, riabilitato l’uso delle tecnologie, che hanno permesso nuove forme di contatto tra giovani e meno giovani e che hanno portato a riconoscere il linguaggio della rete come forma di comunicazione e non più solo strumento da demonizzare»

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Pubblicato il 10 Maggio 2021
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