Crisi delle materie prime: servono coraggio e una vera politica industriale
Secondo il professor Massimiliano Serati (Liuc) non è stata solo la pandemia a determinare la crisi delle materie prime, ma anche la guerra commerciale tra Usa e Cina, la mancanza di scorte e un modello di approvvigionamento che andrebbe cambiato
La crisi delle materie prime, diventate irreperibili e più costose, non è stata originata solo dalla pandemia. Il coronavirus ha fatto sicuramente da acceleratore a una situazione che già in condizioni normali manifestava tutta la sua potenziale criticità. Massimiliano Serati, professore di Politica economica all’università Liuc di Castellanza e direttore della Divisione ricerca della Liuc Business School, parla di «Tempesta perfetta dove convergono nella stessa direzione e nello stesso tempo diversi elementi».
Professor Serati, quali sono questi elementi?
«Innanzitutto, c’è stato un risveglio della domanda mondiale. Ci sono paesi che si avvicinano a superare la pandemia, forse qualcuno l’ha già superata, penso per esempio alla Cina o alla Corea. Questi paesi hanno fatto ripartire le loro produzioni che, rispetto al quasi nulla dei mesi passati, hanno riacceso la domanda di materie prime sui mercati. Purtroppo a fronte di questa domanda, ripartita non solo per acquisire le materie prime per la produzione ma anche per ricostituire le scorte che si erano esaurite durante la pandemia, l’offerta non è stata adeguata. Poi c’è l’onda lunga delle guerre commerciali e dei dazi, specialmente quelli relativi ai metalli. Prima, quando il mondo viaggiava a mille, incideva poco pagare il 2 per cento in più. Adesso che si esce da una crisi nera, i dazi, in una fase di ripartenza, pesano e fanno la differenza. Infine, non va dimenticato, che veniamo da quindici mesi dove le iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali al sistema si sono sommate a quelle degli anni precedenti, diventando abnormi. Tutta questa liquidità un po’ di inflazione la deve creare ed è andata a crearla in quei settori dove c’erano le precondizioni affinché tutto ciò accadesse. Per cui la tempesta perfetta è diventata micidiale».
È un fenomeno legato solo alla ripartenza?
«C’è preoccupazione perché stiamo parlando di uno snodo essenziale per la produzione di qualsiasi cosa, soprattutto in Italia che ha pochissime materie prime in casa. Se invece si guarda in prospettiva, alcune strozzature dell’offerta sono destinate ad essere recuperate in tempi ragionevoli. È chiaro che il bilanciamento della domanda con l’offerta avrà un percorso più facile nel momento in cui si saranno ristabilite le scorte. Questa è una fase diversa dalle altre, perché le aziende sono già in sofferenza e il problema rischia di essere più acuto del normale. Quindi capisco che sul territorio ci sia una certa preoccupazione».
La crisi riguarda in particolare alcune materie prime, tra cui l’acciaio e altri metalli. Perché?
«Penso che molto dipenda da quali sono i processi di lavorazione. In Italia il grosso viene dal recupero del rottame che avendo un passaggio in più è sovraesposto a un sovraccarico inflazionistico. Però vorrei ricordare che quando è partita la crisi in Cina sono stati i semilavorati a mancare».
Quindi è il nostro modello di approvvigionamento che non funziona…
«Credo che questo modello vada ripensato a prescindere da quello che sta succedendo ora. Il vero tema è ripensare le catene di approvvigionamento. È un’operazione di risk management, cioè bisogna capire qual è la situazione ottimale tra la convenienza e il rischio di puntare tutto su alcuni mercati. Affrontare il tema in modo organico richiede molta sensibilità da parte delle aziende, ma anche una vera politica industriale da parte del Paese».
Qual è la soluzione ottimale?
«Non ce n’è una buona per tutti. Le soluzioni vanno valutate di caso in caso: bisognerebbe diversificare il portafoglio delle forniture, come si fa in finanza. Ma mentre in finanza il cambio da un prodotto all’altro puoi farlo con costi di transazione limitati, nell’economia reale i costi sono maggiori. Sarebbe importante avere un piano B attivabile in tempi stretti, in modo che, se si blocca una catena di approvvigionamento, si possa avere subito la soluzione di riserva. Detto questo, c’è poi un tema di politica industriale che dovrebbe favorire l’attrattività dei territori anche per quei soggetti da cui noi compriamo materie prime. Il problema sono i tempi: non si rende attrattivo il Paese in un giorno».
Il Pnrr potrebbe aiutare a fare questo cambio di passo?
«Questo è il momento per fare delle scelte sistemiche, simulando gli scenari che si possono verificare e capire qual è la soluzione migliore da adottare. Oggi più che mai abbiamo bisogno che il Governo faccia un ragionamento molto alto, inserendo la variabile tempo e rischio nelle scelte da fare. Forse vale la pena pagare oggi 5 centesimi in più al kg una materia prima ed evitare un tracollo in prospettiva che potrebbe valere milioni di euro. Servono coraggio e apertura da parte della imprese, ma soprattutto da parte del Governo per fare una politica industriale che in Italia manca ormai da troppi anni».
Difficili da trovare e con prezzi alle stelle, il mercato impazzito delle materie prime
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