Il rottame di ferro sarà la materia prima strategica dei prossimi anni
La decarbonizzazione e la transizione ecologica nella produzione dell'acciaio comportano il passaggio al forno elettrico. L’Italia è tra i paesi leader perché produce già l'85% dal riciclo, ma il reperimento del rottame potrebbe rappresentare un problema già nell'immediato futuro
«Nei prossimi anni noi avremo un grosso problema di reperimento di materia prima, non di carbone e ferro, ma di rottame di ferro, che diventerà una materia prima strategica». Il ragionamento di Gianfranco Tosini, dell’ufficio studi di Siderweb, la community dell’acciaio, è strettamente legato alla transizione ecologica. «Se viene fatta in tempi brevi – ha precisato Tosini – implica un passaggio al forno elettrico, perché farla attraverso l’idrogeno richiede troppo tempo, essendo una tecnologia ancora tutta da consolidare. Il passaggio al forno elettrico richiede come combustibile il rottame di ferro o il gas». (Foto di PublicDomainPictures da Pixabay)
«Se un paese volesse produrre acciaio con forno elettrico, dovremmo chiederci dov’è la sua miniera». In effetti, ancora una volta il ragionamento di Tosini non fa una piega in quanto il rottame di ferro «è una miniera stranissima» che ha bisogno di tempi molto lunghi. Si tratta di un riciclo che richiede dai 15 ai 17 anni. Dove andremo dunque a prendere tutto il rottame per alimentare i forni elettrici? Una domanda che riporta a terra qualsiasi ragionamento sulla transizione ecologica del settore della siderurgia.
L’intervento di un esperto come Tosini, all’interno dell’incontro dal titolo “Finanza e strategia: il mondo dell’acciaio accelera”, organizzato da Siderweb in collaborazione con Bper Banca, apre a una seconda importante riflessione: se oggi l’Italia, con l’85% di produzione di acciaio da forno elettrico, può dire di avere un vantaggio competitivo, che cosa accadrà quando altri paesi, come per esempio la Cina, che oggi detiene una quota del 12% , deciderà di investire nella decarbonizzazione? «Nel momento in cui alcuni paesi accelerano il processo di decarbonizzazione – ha spiegato Tosini – l’Italia potrebbe avere intoppi sull’approvvigionamento di rottame proprio durante la transizione».
I PUNTI DEBOLI DEL SISTEMA ITALIANO
La ripresa ha bisogno di investimenti per fare innovazione di prodotto, ma l’industria siderurgica italiana, che si distingue per qualità ed efficienza, sconta una dimensione d’impresa piuttosto piccola. Una vecchia questione che nelle situazioni di crisi si ripropone in tutta la sua ambiguità rispetto alla realtà: aziende piccole e sottocapitalizzate che però rappresentano “la spina dorsale dell’economia italiana“, per usare una metafora fin troppo usata. Quindi o la spina dorsale è malandata e potrebbe cedere da un momento all’altro, oppure l’industria italiana è in quella dimensione che riesce ad esprimere il meglio di sé, altrimenti diventa difficile giustificare il secondo posto della manifattura nostrana in Europa, subito dietro la Germania. «Per fare investimenti in ricerca e sviluppo – ha spiegato Tosini – le imprese devono trovare sinergie con operatori nelle filiere internazionali. Sono però poche sia le imprese che producono all’estero, sia quelle che hanno diversificato il loro commercio in paesi oltre l’Europa. L’internazionalizzazione sarà strategica per trovare sinergie nelle catene globali del valore dove si fanno innovazioni di prodotto e si collabora con i grandi operatori dell’utilizzo finale dell’acciaio».
Infine, sugli investimenti peserebbe anche l’indebitamento delle aziende che sconterebbero ancora una bassa marginalità a fronte di un aumento consistente dei volumi di produzione. Secondo Tosini, era tra il 2017 e il 2018 che l’Ebitda (margine operativo lordo) delle imprese siderurgiche italiane aveva raggiunto una dimensione ottimale per fare investimenti.
SARÀ L’ANNO DELLA SIDERURGIA ITALIANA
Tutti gli ospiti dell’incontro prima di affermare che il 2021 sarà un anno importante per le industrie siderurgiche italiane, a monte e a valle della filiera, hanno detto di voler toccare ferro. «Il 2020 è stato un anno irripetibile, un anno di crisi – ha sottolineato Antonio Gozzi presidente del gruppo Duferco – I prezzi sono alti perché c’è una domanda reale molto forte. Dobbiamo essere onesti e parlando da produttori dire che il 2021 è un anno molto importante, con l’ebitda in forte crescita e senza la contrazione del cash flow. Penso che i bilanci delle imprese siderurgiche italiane del 2021 saranno così buoni da consentire non solo gli investimenti, ma di ridurre significativamente anche l’indebitamento».
Anche sul lato distribuzione l’anno orribile della pandemia sembra alle spalle, nonostante la redditività rimanga bassissima. «L’ultimo quadrimestre è buono – ha aggiunto Cesare Viganò consigliere delegato di ArcelorMittal Cln Distribuzione Italia – ma essendo il nostro un comparto ad altissima intensità di costi fissi, abbiamo avuto problemi di redditività. In questa fase la domanda del consumatore non ha potuto incontrare l’offerta del produttore, questa distanza persiste al punto che ancora oggi si fa fatica a trovare l’acciaio da processare per soddisfare l’esigenza di approvvigionamento dei clienti. Detto questo, la distribuzione nel primo semestre del 2021 ha avuto dei valori di marginalità assolutamente fuori dal normale. L’unica nostra incertezza dipende dal fatto che acquistiamo oggi dai produttori con costi molto alti e con tempi di consegna che ormai guardano a novembre e dicembre e con un’incertezza sul portafoglio vendite nel caso di correzione del prezzo, che non possiamo prevedere. Comunque, in 40 anni di attività non ho mai visto uno sbilanciamento così forte tra domanda e offerta».
LA SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO
«Lo scenario è fiducioso e le aspettative di crescita sono persino migliorate. Il settore sta facendo numeri senza precedenti». L’ottimismo di Stefano Vittorio Kuhn, direttore centrale Lombardia Bper Banca, non è però limitato solo al presente. «L’acciaio per noi è un indicatore preciso di ciclo economico – ha detto il manager – Come banca siamo convinti che sia pervasivo nei prossimi anni per effetto delle transizioni energetiche a cui saremo chiamati anche da accordi internazionali. Bper ha messo circa tre miliardi di euro sulla filiera e stiamo assistendo a un utilizzo delle linee di credito piuttosto ridotto, a conferma di quanto dicevano i nostri produttori. Parliamo di aziende che sono in buona parte liquide, anche se non si può generalizzare. Lo scenario che ci è stato illustrato dovrà poi fare i conti con la capacità di rendere sostenibile il debito e su alcune situazioni, la sostenibilità del debito sarà un punto di grande attenzione».
Secondo Kuhn, una concentrazione e una razionalizzazione saranno inevitabili. Il manager di Bper prova a suggerire una via alternativa a fusioni e acquisizioni. «Credo che è in momenti come questo che in alcuni punti della filiera bisogna ragionare in termini di rete di imprese per mettere a fattore comune la necessità di capitale da un lato e l’accrescimento delle competenze dall’altro».
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