L’abbraccio del nuoto in acque libere per la quarta tappa del progetto #MiFidoDiTe

Domenica 25 luglio a Baratti si è conclusa la terza tappa del progetto #MiFidoDiTe, un’impresa sportiva e solidale inserita all’interno del circuito di gare in acque libere organizzato su scala nazionale da Italian Open Water Tour

Generica 2020

Domenica 25 luglio si è conclusa la quarta tappa del progetto #MiFidoDiTe, un’impresa sportiva e solidale inserita all’interno del circuito di gare in acque libere organizzato su scala nazionale da Italian Open Water Tour, organizzazione che ha sposato il progetto.

Una maratona a nuoto di 42 km in SETTE tappe, a sostegno della ricerca sulla Sindrome di Usher, legati l’uno all’altra, coscia a coscia, da una corda lunga solo 50 centimetri e da una fiducia totale.

Le prime tappe si sono svolte nello scenario di Vulcano alle isole Eolie, a Monate e a Maccagno, mentre domenica 25 luglio è stata la volta di Baratti.

Il progetto #MiFidoDiTe, nasce dall’incontro di Alessandro Mennella, ragazzo genovese affetto dalla Sindrome di Usher (una malattia rara che si manifesta con sordità alla nascita e una progressiva perdita della vista) e Rare Partners, una azienda milanese senza scopo di lucro che si occupa dal 2010 di supportare lo sviluppo di nuove terapie nel campo delle malattie rare utilizzando risorse finanziarie non profit. La fiducia reciproca ha dato il nome #MiFidoDiTe al progetto e alla raccolta fondi associata, fondi destinati alla ricerca per questa patologia rara devastante.

Ecco il diario di viaggio della terza tappa di Marcella Zaccariello:

Lo scirocco colpisce la nostra comunicazione ma non la nostra fiducia: la quarta tappa nel golfo di Baratti.

Il segnale del mio cellulare è debole, spesso assente, mi ritrovo a girovagare per il campo gara con il braccio in alto alla ricerca disperata di vedere comparire le linee di copertura di rete.
Comunicare in questi due giorni sara’ un’impresa mi dico, senza sapere che tra noi due sara’ il vero problema della tappa.

Nell’attesa di vederti comparire mi godo lo spettacolo di questo angolo di paradiso. Una bellezza selvaggia. Una sottile linea di sabbia separa il mare dalla rigogliosa pineta; e’ come camminare su una tavalozza di colori dalle mille sfumature.
Il vento è impertinente, chi conosce il mare parla di scirocco e guarda l’orizzonte con una certa preoccupazione.

Arrivi e tra una foto e l’altra mi chiedi notizie del mare e del mio stato di forma. Da tre giorni ho fastidio alla spalla sinistra, non potro’ spingere tanto ti dico, ma non preoccuparti. Come sempre mi sorridi e, poggiandomi la mano sulla spalla, entriamo in acqua. I nostri palloncini colorati hanno lasciato il posto a due boe che, come sempre, leghiamo sulla corda che ci unisce. Il tempo di raggiungere la linea di partenza e subito capisco la preoccupazione di chi, poco prima, parlava dello scirocco. A riva scompigliava i capelli, in mezzo al mare e’ tutta un’altra storia. Arriva dalle spalle e con violenza le nostre boe volano in avanti. Le bracciate da subito si rivelano difficili, ostacolate anche dal cordino delle nostre boe che si arrotola sul braccio. Inutile spingerle indietro.

La vista delle meduse contribuisce a peggiorare il mio stato d’animo, ne conto sette nel primo tratto che costeggia il golfo, vederle sul fondo però riduce l’ansia. Non riesco a guardarti, le boe si intrufolano tra noi e le onde coprono la visuale. Un rapido sguardo al promontorio che stiamo per raggiungere mi regala il pensiero che in mare aperto la corrente cambiera’ la direzione e forse le bracciate saranno più libere da interferenze, ma e’ un pensiero effimero. “È pericoloso” ti sento dire e automaticamente alzo il braccio in segno di aiuto. Si avvicinano i soccorritori e si tuffano in acqua perché la corrente e’ cosi forte che da sola non riesco a spingerti verso la barca. Mi chiami ripetutamente “non voglio tornare, voglio continuare a nuotare, è importante continuare a nuotare, il cordino delle boe e’ troppo lungo, sono pericolose”. Le boe, non il mare, continuo a ripetermi.
Non l’ho capito, non l’ho sentito.

Ringrazio i soccorritori mentre libero la nostra corda dai mille nodi del cordino delle nostre boe. Lascio una boa sulla barca e mi lego l’altra a me tenendola il più vicino possibile alla schiena.
Non l’ho capito, non l’ho sentito continuo a ripetermi.
Mi tolgo di getto la seconda cuffia che indosso per proteggere gli occhialini e isolare di più le orecchie. Ti prendo la mano, la stringo due volte, il nostro gesto per dirci ripartiamo. Siamo stati fermi 10 forse 15 minuti. Degli altri nuotatori neanche piu l’ombra.

Arriviamo allo Stellino, lo scoglio che delimita la meta’ del percorso gara. Giriamo intorno e puntiamo verso terra con un scirocco che da impertinente e’ diventato violento, ci schiaffeggia ripetutamente e le onde ormai alte impediscono la visuale. Raggiungere la 5 e la 6 boa e’ felicità pura, ma anche se siamo di nuovo nel golfo il mare e’ ostile. L’ultima boa ci regala la vista del gonfiabile e gli ultimi 200 mt di quiete.
Non ho la forza neanche di piangere, il sale mi ha asciugato le lacrime e la gola.
Il tempo di abbracciarti e togliermi la cuffia e succede qualcosa di magico. Veniamo travolti da un’ondata di affetto, tutta la comunita’ di questo meraviglioso circuito e’ intorno a noi, mi guardo intorno e vedo sorrisi, applausi, commozione.

E’ un abbraccio intenso quello che ci avvolge, di quegli abbracci che hanno la forza di fermare il tempo e restare indelebili, sì proprio come questo posto dove natura, storia e arte si intrecciano in un abbraccio senza tempo.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Luglio 2021
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