Con le tute bianche in via Tolemaide: “Non riuscivo a respirare, pensavo di morire”

Il racconto di Giacomo Vanetti, fotografo che raggiunse Genova con il treno delle Tute bianche: "Ho cercato di tenermi il più lontano possibile dagli scontri"

Genova 2001 foto di Giacomo Vanetti

Non sono mai stato un’integralista, credevo che le ragioni del movimento fossero giuste, ma sono andato a Genova soprattutto per fotografare. Ho cercato di tenermi il più lontano possibile dagli scontri ma quando la situazione ha iniziato a degenerare in via Tolemaide, quel venerdì 20 luglio, ero assieme alle tute bianche. Arrivavano fumogeni da tutte le parti: non respiravo, pensavo di morire. 

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Genova 2001: gli scatti del fotografo Giacomo Vanetti 4 di 35

Partiamo per Genova. Treno delle tute bianche. Saliamo senza troppi problemi. Prendiamo posto. Siamo io, Andrea, caro amico che frequenta dei centri sociali, Mark che conosce diverse realtà antagoniste e poi c’è Ming, paramedico americano di origine asiatica. Enorme, venuto apposta in Italia per il g8. Si parte. Gente che canta, che beve e che fuma. In treno. Qualcuno cerca di dormire sul portabagagli. Ming guarda fuori dal finestrino pensieroso.

Si va a Genova per il Social Forum. Per protestare contro il G8. Per un mondo migliore. Per un sacco di cose che mi interessano, anche se non ho mai approfondito l’argomento. Si parla di una super manifestazione. Di una zona rossa blindata. Di una città come non si era mai vista prima. Di migliaia di persone. Io ho cominciato a fotografare da poco, voglio provare a fare un reportage. Voglio documentare una manifestazione che sembra, possa cambiare il mondo.

Arriviamo a Genova e, andiamo subito al Carlini, dove speriamo di passare la notte. Ma c’è la manifestazione dei migranti. Bisogna andare a vedere. E si va, ancora tutti insieme, cosa assai improbabile nei due giorni a venire. Un sacco di gente, un sacco di musica. Compriamo della birra. C’è un tipo che fa le foto con un banco ottico. In mezzo ad una piazza gremita di gente che urla e balla, lui è lì con una macchina fotografica dalle dimensioni inusuali per un reportage. Un genio. Andiamo a vedere la zona rossa. Andiamo a vedere come hanno chiuso il centro con delle fantastiche reti metalliche per polli arricchiti. Si scherza.
Passiamo per un vicolo è c’è una vetrina insolita. Una galleria d’arte. In vetrina una strana confezione che contiene una tuta, un casco, forse un limone non ricordo, e una mappa di Genova. E’ il kit del manifestante. Cazzo io non c’è l’ho. Dici che mi devo preoccupare? Ma va è una festa. Si c’è qualche poliziotto, qualche camionetta , ma stanno in disparte…Si va avanti. Poi si va a dormire. Al Carlini. Per terra col sacco a pelo ma, va bene. Per due notti si può fare.

E’ mattino. C’è gente che costruisce cose strane, come delle barriere mobili. Altri si bardano alla meglio. Alcuni sembrano preparati. Altri sembrano improvvisare con tappetini da sacco a pelo come paracolpi attacchi al corpo con nastro adesivo. Boh. Ma ieri era una festa, questi dove vanno? Fuori dallo stadio alcuni camper. Tra loro alcuni ultras del Napoli. Ce l’hanno con Ferlaino, se non ricordo male. Ci offrono un caffè. Siamo qui per far un po’ di casino, dicono. Vabbè, penso io, alla fine alle manifestazioni un paio di lacrimogeni, qualche carica ci sono sempre. Sarà così anche stavolta. Ma io sono li per fare foto, basta stare a alla giusta distanza. Passa un po’ di tempo. Il corteo delle tute bianche partirà dallo stadio Carlini nel pomeriggio. Siamo poco informati di quello che succede in città.

Arriva l’ora e si scende. Un mare di gente. I primi tutti un po’ bardati, forse abituati. E’ pur sempre il corteo dei centri sociali. Gli altri nella norma. Qualche bandiera, qualche costume colorato, qualche slogan. Si scende. Cominciano a circolare voci di scontri in mattinata. Non si sa bene dove e non si sa chi sia stato. Io ancora i Black Bloc non li avevo sentiti nominare. Arriviamo in Via Tolemaide e il corteo comincia a fermarsi. Non vedo bene davanti a me. Sembra ci sia la polizia, o i carabinieri non so, schierata. Ci si ferma e ci si accalca. Sulla destra c’è il cavalcavia della ferrovia, a sinistra condomini. Davanti la Polizia. Non si può uscire. Non si può avanzare e difficile retrocedere. Improvvisamente dal cavalcavia arrivano i lacrimogeni. A pioggia. Non mi era mai capitato. Non vedo. Non respiro. Brucia la gola. Gente che corre. Avanti non si può. Indietro nemmeno. C’è un cortile dove parcheggiano le macchine, mi ci butto. C’è una ringhiera con le punte, la scavalco. Mi buco una mano ma aiuto un paio di persone a scavalcare. Ma non c’è spazio. Comincio a correre. Arrivo ad una piazza, non so quale e soprattutto non so come. Non so dove siano gli altri. Io ho anche alcuni amici a Genova che avevo contattato il giorno prima. Sono da solo e non so che fare. Non sono tipo da scontri, ma allo stesso tempo non voglio perdermi quello che sta succedendo, voglio capire. Giro per le vie, evitando di avvicinarmi troppo alle situazioni calde. Ogni tanto segni di devastazione. Ogni tanto una città deserta ma ancora in ordine. E’ tutto molto strano, c’è un aria incomprensibile. Cammino per la città. Mi viene molto difficile ricordare il momento. Ero molto agitato. Devo ammetterlo, quando ero in mezzo alla folla tra i lacrimogeni ho pensato di non farcela e, ora girando per queste vie, mi sembra di essere caduto in una realtà parallela. Non c’è legge, non c’è raziocinio. Un po’ mi allontano e non ricordo se sia andato alla Diaz o se sia sia passato il giorno successivo. Giro senza meta. Mi arriva la notizia della morte di un ragazzo, ma è tutto molto confuso. Spesso pure il cellulare non funziona e non capisco bene cosa stia succedendo. Non so chi sia. Passa ancora del tempo e la città sembra essersi tranquillizzata. Gli scontri sono finiti. Ovunque resti di battaglia. Cassonetti in fiamme. Macchine distrutte. Vetrine, soprattutto di banche, in frantumi. Ma ora sembra tutto tranquillo. Ad un certo punto passa un blindato per il viale principale, non ricordo il nome, a velocità sostenuta. Dal nulla una figura vestita di nero correre verso il blindato che non rallenta. Il ragazzo in nero gli corre incontro perpendicolare. Quando gli è vicino spicca un salto e colpisce il blindato col petto e, scappa via. Boh. Ritrovo i miei amici, e tra di loro conosco Luca che ci offre ospitalità. I miei amici stanno bene. Ming invece è tutto sporco di sangue. Fa il paramedico. Dice di aver soccorso e curato i feriti per strada. E’ venuto per questo. Puzza di sudore e di sangue. Per Luca non è un problema ospitare anche lui. Andiamo. Arriviamo a casa e scopriamo che il ragazzo morto è Carlo. Luca lo conosce. Merda. Ceniamo e domani andiamo a manifestare ancora più forte, ci promettiamo. Andiamo a dormire. Domani c’è manifestazione e ancora non sappiamo se fermarci per la notte alla Diaz o tornare col treno delle tute bianche.

Mattino, sveglia un po’ intontiti. So che arriveranno un sacco di amici da Varese per la manifestazione. Speriamo di trovarci. Ci troviamo. Ci chiedono del giorno prima e comunque ci trovano scossi. Sembra che capiscano che noi non abbiamo più tanta fiducia in merito alla possibilità di una giornata tranquilla. Siamo in tanti, circa a metà del corteo. Io mi stacco per fare qualche foto, ma non ho più molti rullini e, improvvisamente… Ancora. Come il giorno prima. Lacrimogeni. All’improvviso. A pioggia sul corteo. Corteo spezzato a metà. Gente che corre in spiaggia, nei vicoli, dentro gli ingressi dei portoni (se qualche gentile genovese risponde al campanello). Oddio ancora. Cosa faccio? Dove corro? Di là sembra buona. Non ho idea di dove sia. Vedo un ponte. E’ lo stesso del giorno prima. Quanta strada ho fatto? Sembra tranquillo. Sulla destra la polizia schierata e a sinistra i manifestanti incazzati. Non è tranquillo. Non ho tempo di fare foto. Mentre corro credo di aver calciato un lacrimogeno a terra che quasi mi fa inciampare. Mi infilo in una viuzza e trovo un’amica di Varese. Decidiamo di allontanarci. Finiamo in una zona collinare non molto lontano dallo stadio. Oggi riesco a parlare al telefono e riesco a raggiungere i miei amici. Stanno tutti bene. Dicono di aver visto scene assurde e alcuni solo per fortuna sono scampati alle manganellate. Bene, anche oggi, come ieri, sono fortunato. Sono riuscito a stare lontano dagli scontri ma comunque non sono tranquillo. E’ la seconda volta che mi sento attaccato, senza motivo e questa cosa mi destabilizza. L’aria è tesa come il giorno prima. Tutto sembra irreale e io ci sono in mezzo. Non ho paura, non sono arrabbiato, non capisco. Non capisco cosa stia accadendo. Capisco le devastazioni, che col senno di poi tutti affermano avvenute senza che intervenissero le forze dell’ordine, ma non capisco la violenza con cui le stesse forze dell’ordine si siano accanite contro inermi manifestanti. Ripeto fortunatamente io sono rimasto fuori dagli scontri, ma quella sensazione di insicurezza che percepisci in quelli che dovrebbero garantire la tua sicurezza è ormai scesa tra di noi. Ed è devastante. Ci sentiamo impotenti, attaccati da quelli a cui dovremmo chiedere protezione. Assurdo.

Si fa tardi. E anche questo è strano. A un certo punto gli scontri finiscono. Basta. Tutti a casa. Come se appunto fosse finita la giornata in un a fabbrica qualunque. Ci si mena ad orari stabiliti. Oggi come ieri.
Abbiamo deciso di tornare col treno delle tute bianche perché Ming deve prendere l’aereo. Non ci fermiamo alla Diaz. Meglio. Io ho i rullini. Nulla di compromettente ma gira voce che vogliono sequestrare materiale foto e video. C’è un mio amico in macchina, lascio a lui i rullini. Non è coi centri sociali, non gli romperanno le palle. Andiamo in stazione. Abbiamo paura di possibili attacchi della polizia lungo il percorso che va dal Carlini alla stazione, ma va tutto bene. Tutto tranquillo. Strano. Prendiamo il treno e in viaggio sappiamo dell’irruzione alla Diaz. Ecco.
Torno a casa ancora scosso e chiamo il mio amico per recuperare i rullini. Ci vediamo per una birra. Mi da i rullini e dice. Sai una cosa? Non ci crederai. Li ho dimenticati in autogrill dentro il mio zaino. Mi hanno chiamato i carabinieri per andare a recuperarlo. Per fortuna ho le foto.
Ma anche senza le foto vi assicuro, sarebbe difficile dimenticare Genova.

Giacomo Vanetti, Varese
Fotografo

Lidia Romeo
lidiaromeo@gmail.com

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Pubblicato il 20 Luglio 2021
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