Assolto ma ha perso l’azienda. Parla l’imprenditore: “Voglio ripartire ma la giustizia cambi”

Intervista a Erminio che aveva una promettente azienda in campo aeronautico ma che si è trovato invischiato in un'inchiesta per droga. Cinque mesi di carcere e azienda distrutta

erminio imprenditore assolto vergiate

Erminio oggi ha 57 anni e negli ultimi anni ha perso tutto quello che si era costruito ma a distruggere la sua azienda non è stata la crisi sanitaria o quella economica, bensì un procedimento giudiziario che lo vedeva accusato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio dal quale è uscito assolto 11 mesi dopo. In meno di un anno tutto quello che ha costruito faticosamente nei precedenti 8 anni è stato spazzato via.

Imprenditore accusato di spaccio viene assolto ma nel frattempo ha chiuso l’azienda

Lo abbiamo intervistato nello studio del suo legale Daniele Galati, circa un mese dopo la lettura del dispositivo che lo ha riabilitato ma attorno a lui, ora, è tutto da ricostruire perchè la sua officina, nella quale effettuava manutenzione ai frigoriferi degli aerei, ha chiuso i battenti lasciando a casa le maestranze.

Ricorda quel giorno?

«Ero a pranzo con mio fratello quel 24 luglio. Lui soffre di crisi depressive e schizofrenia e ogni estate lo portavo da Pescara (la mia città di origine) a Vergiate per far riposare mia moglie che purtroppo ha un tumore al seno. Mentre mangiavo ho ricevuto la telefonata di un ispettore di Polizia che mi chiese se potevo tornare in azienda il prima possibile. Lì ho trovato squadra mobile e poliziotti in borghese. In mezzo a loro c’era questo soggetto che conosco da un paio di anni, attorniato da agenti e un pacco di marijuana su un carrello. Mi chiesero se era mia la sostanza e io risposi di no».

Cosa ci faceva quella persona nel suo magazzino?

«A questa persona avevo dato disponibilità di un pezzo di capannone dove teniamo materiale di scarso valore economico per appoggiare alcune vasche galvaniche di una sua attività di rubinetteria che aveva in Albania e che stava trasferendo nella zona di Borgomanero. Aveva libero accesso a quell’area da qualche mese e ho fatto il più grande sbaglio della mia vita, dare fiducia a qualcuno che non conosco davvero».

Chi era lei fino a quel giorno?

«Fino a quel giorno ero un imprenditore, partito nel 2013 con 5 mila euro e con la fiducia di alcuni imprenditori della zona che mi avevano fatto partire con l’attività, dandomi delle commesse. Sono partito con una segretaria e due ingegneri che si interfacciavano con Enac. Eravamo stati riconosciuti come officina certificata. Nel tempo il lavoro continuava a crescere e ho assunto un’altra persona. Non avevo tanti soldi e ho dormito nei bagni del capannone per un anno. Poi sono riuscito a trovare un appartamento grazie all’amicizia di una persona. Per raggiungere l’azienda andavo a piedi da Cimbro a Vergiate perchè non volevo spendere i soldi per un’auto. Alla fine eravamo 5 dipendenti e due ingegneri. Stavo realizzando un sogno, quello di creare un’azienda da zero e vederla crescere».

Lei è stato in carcere per 5 mesi e poi ai domiciliari. Ci racconti come li ha vissuti.

«Undici mesi vissuti malissimo. Stare rinchiuso in 2 metri per 3, avere a che fare con persone che delinquono non è stato facile. Il carcere non è riabilitativo e se fuori nessuno ti aiuta, esci che sei peggio.
Dei cinque mesi in cella ricordo i primi 10 giorni di isolamento con porta blindata chiusa, un’ora d’aria la mattina e mezz’ora al pomeriggio. Poi sono passato in sezione e ho potuto parlare con gli altri detenuti. Non ho mai visto così tanto sangue come in quel periodo perchè tanti cercavano di tagliarsi con qualsiasi oggetto. Ho visto la vera disperazione del carcerato. Poi ho preso il covid e mi sono fatto altri 21 giorni di isolamento totale (senza ora d’aria). Eravamo in tre in una cella 4 per 5 metri. Quando sono uscito per andare ai domiciliari mi sentivo un robot: quando mi alzavo camminavo per casa come se fossi ancora dentro. Il danno psicologico è stato fortissimo (Erminio si commuove e il volto è rigato dalle lacrime, ndr).

Chi le è stato vicino?

«Mia moglie e mia figlia hanno creduto sempre in me. Mia figlia non poteva nemmeno venire ai colloqui perchè il giudice non le ha mai dato il permesso. Nelle conversazioni con mia moglie sentivo che tutto si stava sgretolando. Ho sentito morire la mia azienda mentre ero in carcere: ho venduto tutto quello che potevo per pagare fornitori e dipendenti. Avrei potuto salvarla se la testimonianza che mi scagiona, datata 10 agosto (quindi pochi giorni dopo l’arresto, ndr) non mi fosse stata tenuta nascosta per mesi e mesi. Se il magistrato avessero creduto a quelle parole, oggi la mia azienda sarebbe ancora in piedi. Ai miei dipendenti dico solo grazie perchè non hanno intentato azioni nei miei confronti, molti che collaboravano con me sono spariti».

Ha superato questo trauma?

«Ancora oggi non riesco a togliermi questa storia dalla testa. Vado a dormire e rivivo la scena, mi sveglio in piena notte con questo pensiero. La delusione è stata enorme e mi faccio delle colpe per la mia negligenza. Non dovevo far entrare quella persona ma io ho sempre avuto un carattere aperto, cerco sempre di aiutare tutti e questa cosa mi ha fregato».

Cosa farà ora?

«Ripartirò. Non mi arrendo perchè vengo dalla strada, da una famiglia molto povera e sono abituato a mordere la vita e a camminare a testa alta».

Cosa pensa di come è stato trattato dai media?

«Alcuni, soprattutto quelli locali, mi hanno risparmiato la pubblicazione di  nome e foto e li ringrazio. Altri, invece, prima di scrivere che ero il Chapo della Lombardia (si riferisce ad un articolo in particolare, ndr), avrebbero dovuto verificare. Vedere i giornali che parlavano di pseudo azienda in stile camorra mi ha fatto malissimo. Anche la polizia ha esagerato e lo dico da fratello di un uomo delle forze dell’ordine con 4 encomi solenni».

Ha perso fiducia nella giustizia?

«Io credo che la politica si debba dare una  mossa per riformarla. Perchè di persone come me in carcere ce ne sono altre. Innocenti o autori di piccoli reati che finiscono in cella per tempi lunghi. La custodia cautelare viene usata in maniera impropria. Con tutta l’esperienza che hanno, magistrati e poliziotti dovrebbero imparare a distinguere una persona che delinque abitualmente da chi ci finisce dentro per caso. Operando come nel mio caso fanno danni irreparabili».

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 21 Luglio 2021
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Commenti

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  1. massimiliano_buzzi
    Scritto da massimiliano_buzzi

    Triste, tremendamente triste leggere queste parole. Si parla di errori della magistratura. Se ci fosse davvero giustizia in questo paese dovrebbero essere individuate le responsabilità ed agire con esemplare fermezza verso le carriere interessate nella vicenda.

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