Rifugiati, alcolizzati e disperati: tratti di Decadentismo tra Milano e i Laghi

Il Decadentismo rimane uno dei movimenti artistici e letterari di grande fascino, che vide l'Italia protagonisti con alcuni dei suoi autori più brillanti

Arte - Mostre

A partire dall’ultimo trentennio del XIX secolo in Italia aveva cominciato a cedere il collante dell’ideale risorgimentale, aprendo una breccia nella fiducia che la filosofia e le arti avevano riposto nella scienza e nella capacità dell’uomo di cogliere pienamente la realtà. Giuseppe Rovani, Emilio Praga e suo figlio Marco, pur non appartenendo alla schiera dei letterati di primissimo piano, rappresentarono bene la crisi dei valori cosiddetti ‘positivi’ per andare ad incarnare in letteratura, nel teatro e nell’arte quell’ambiguità sul ‘vero’ che i francesi per primi chiamarono Decadentismo.

Rovani fu anzitutto un personaggio: filosofo da balera, critico letterario e teatrale che nei primi anni Settanta dell’Ottocento viveva la sua piena maturità, ricco di esperienze professionali ed umane. La Storia della letteratura di Cecchi e Sapegno ricorda che egli non insegnava all’università, aveva bensì un tavolo a mo’ di cattedra presso l’Osteria della Noce, nella zona dei Navigli di Milano, dal quale tra una bottiglia di vino e l’altra si dilettava in lezioni di estetica, spesso in dialetto, per i presenti. Egli era nato nel 1818 e dopo le Cinque Giornate aveva trovato rifugio a Capolago (sulle sponde del Ceresio) trovandosi così in grande vicinanza con Carlo Cattaneo; poi, tornato in città era diventato una delle penne più autorevoli del panorama culturale, tanto è vero che l’osteria che frequentava era una delle più rinomate nel circuito della Scapigliatura Milanese: egli godeva di una tale considerazione tra gli intellettuali che essi lo videro come una sorta di grande maestro, un Socrate, e lo vollero seppellito non senza qualche polemica nel famedio del Cimitero Monumentale (1874).

Caposcuola dei poeti nelle osterie di Milano fu invece Emilio Praga, nato nel 1839 a Gorla, lungo quello che è oggi il viale Monza. Egli è ben noto anche per il giudizio personale, molto pesante, che diede su di lui Benedetto Croce, il quale con una certa ragione lo descrisse come «dissoluto, ubriacone, bestemmiatore, descrittore di orge, nonché cantore del dubbio e della noia». È corretto però rivedere la stroncatura che additò Praga come malvagio e satanico, essendo il personaggio un semplice infelice, al quale la vita aveva tolto tutto, prima il benessere economico e poi la famiglia con il figlio Marco. Per la somiglianza in molti tratti biografici, alcuni studiosi hanno voluto affiancare alla figura di Praga quella del grande poeta francese Charles Baudelaire. Tra i suoi versi scandalosi, dissacranti, per non dire blasfemi, più che altro perché incapaci di trovare una compostezza che li renderebbe semplicemente goliardici, alcuni meritano di essere riportati:

La mia ganza, una bimba assai devota,
E credo a molti parroci ben nota,
Venne a narrarmi tutta addolorata,
L’ira del prete che l’ha confessata.
– Eh via, le dissi, vien, vieni a cenare,
Io stesso poi ti voglio confessare,
E se vedrò che mi vuoi bene assai,
Assoluzione e baci in copia avrai;
Ché Dio promise, in questo oh grande e buono!
A chi avrà molto amato il suo perdono!

Praga padre morì a 36 anni, probabilmente di cirrosi epatica. È bene tuttavia ricordare che sono esistiti esponenti della Scapigliatura i quali, pur nel comune travaglio esistenziale, ebbero una maturità artistica ben superiore: è il caso ad esempio del pittore Daniele Ranzoni da Intra (1843-1889) un artista quest’ultimo tormentato da frequenti crisi depressive, ma autore di dipinti struggenti come quello sopra riportato. Ranzoni ebbe come modello pittorico Giovanni Carnovali, un maestro del Luinese e personaggio bislacco che fu anche compagno d’arte e di merende di Federico Faruffini.

Vale la pena di accennare infine al percorso artistico di Marco Praga (1862-1929) il quale restando fin da molto giovane orfano di padre, fu sempre attanagliato da una forte voglia di riscatto sociale. Marco è forse meno noto agli storici di Emilio, ma in vita fu invece molto più celebre del padre, sia come grande sostenitore e poi direttore di quella che è oggi diventata la SIAE, sia come librettista di teatro. Praga figlio è noto soprattutto per le commedie “Le vergini” (1889) e “La moglie ideale” (1890) per le quali è stato spesso contrapposto al padre, sia per lo stile che per i contenuti. Egli fu artisticamente associato al teatro verista, che in vita lo rese molto vicino ad Eleonora Duse, tuttavia a ben guardare i temi e le trame delle sue commedie si capisce che l’argomento di fondo è sempre quello paterno dell’ambiguità del reale. I suoi titoli e significati sembrano infatti avere una certa assonanza con quelli di uno dei principali esponenti del decadentismo inglese: Oscar Wilde.  Dopo di lui forse arrivò, prese le debite distanze, il teatro di Pirandello. L’attività librettistica di Praga figlio iniziò a ridimensionarsi a partire dal 1912, quando egli divenne direttore artistico del Teatro Manzoni di Milano. Morì poi suicida nel sanatorio di Varese (forse a Cuasso al Monte) alla fine degli anni Venti.

Bibliografia
Giorgio Cusatelli, “La Poesia dagli Scapigliati ai Decadenti” in “Storia della Letteratura Italiana” di E. Cecchi e N. Sapegno – Vol. XV dell’edizione per il Corriere della Sera (2005).
Monica Giachino, “Giuseppe Rovani” in Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani.it (2017)
Livia Cavaglieri, “Marco Praga” in Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani.it (2016)
Alessandra Pino Adami, “Tranquillo Cremona” in Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani.it  (1984)
Filippo Maria Ferro, “Daniele Ranzoni” in Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani.it (2016)
Marco Valsecchi, “Giovanni Carnovali, detto il Piccio” in Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani.it (1977)

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Pubblicato il 30 Luglio 2021
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