A Montegrino Valtravaglia il marito finge di bere candeggina, la moglie: “Lasciatelo morire“

I fatti si riferiscono a quanto avvenuto nel gennaio del 2018 per i quali la donna è stata condannata a 6 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale

Tribunale Varese

Se non fosse che entrambi i coniugi sono in carcere per reati gravissimi, legati a violenza sessuale su minore, (la figlia in tenera età, e parliamo di condanne in rito abbreviato di anni e anni di carcere) la vicenda potrebbe trasferirsi in una cornice del surreale vicina al pranzo di Amarcord quando il capofamiglia stufo delle mattane di moglie, figli e cognato simula un suicidio aprendosi la bocca con le mani.

Ma non è così, e la realtà delle aule di giustizia non è un film.

Quindi la condanna fioccata oggi alla donna, 34 anni, ai tempi residente a Montegrino Valtravaglia e oggi collegata in video conferenza col braccio femminile di San Vittore per ascoltare la sentenza, è solo un “di cui“ di un passato pesante, fatto di ampie sacche di degrado dove si sospetta (seguendo il precetto di presunzione d’innocenza) sia maturato anche dell’altro.

I fatti si riferiscono alla sera del 6 gennaio 2018 quando il Radiomobile di Luino interviene ben due volte nella distanza di poche ore. La prima, verso le 22, per un litigio violento.

La seconda, più tardi, per il prosieguo che ha il sapore del grottesco: i soccorritori si trovano di fronte un uomo sdraiato nel letto, immobile, che simula (ma si scoprirà solo poi) di aver ingerito una bottiglia di candeggina per volerla fare finita.

E la moglie che fa? Comincia a inveire contro soccorritori e carabinieri: «Lasciatelo morire quell’ubriacone, non toccatelo».

E giù botte e invettive, «carabinieri di m., lasciatemi stare, non toccatemi, vi denuncio» ecc., con grida e spintoni contro i militari dell’arma in divisa, attinti dalle gesta della donna.

Parte la denuncia per «resistenza» e «oltraggio» a pubblico ufficiale, quest’ultimo reato decaduto per via della mancanza dei requisiti sostanziali (la parolaccia o l’invettiva «che offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni» deve essere pronunciata in luogo pubblico o aperto al pubblico, non in una semplice dimora privata); è invece rimasta la «resistenza» per la quale la donna è stata condannata a sei mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Ottobre 2021
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