Raimondo Fassa: “Varese si conferma un laboratorio politico”

L'ex sindaco di Varese riflette sulla situazione politica nazionale e sulla campagna elettorale della città giardino. "I Varesini sono stati così favorevolmente impressionati dalla amministrazione di Davide Galimberti (e spero che non si siano sbagliati) da decidere di dargli almeno una chance per continuare e completarla"

Palazzo Estense - Municipio generiche

Mi hanno chiesto di esprimere qualche riflessione sulle recenti elezioni amministrative a livello sia nazionale sia locale (almeno per quanto riguarda Varese). L’invito è stato così garbatamente discreto da indurmi ad infrangere per una volta il mio ormai lungo riserbo sulle questioni politiche.

IL QUADRO NAZIONALE

Cominciamo dal livello nazionale. La maggior parte dei commentatori ha detto che l’esito del voto nel suo complesso sembra rafforzare il governo Draghi. Credo che non abbiano torto, ma vale la pena  – prima di verificarne le conseguenze sul piano elettorale per i singoli partiti –   cercare di indagarne sinteticamente le ragioni.

La principale riguarda, per così dire, lo stato d’animo degli Italiani.

Nell’ultimo decennio hanno dovuto affrontare prima una crisi economica senza precedenti dal dopoguerra ad oggi e poi l’emergenza COVID. Questi due fenomeni  – i cui effetti si sono in parte sovrapposti –  hanno fortemente intaccato un modello di convivenza che pareva inossidabile. Modello basato sulla modesta ma costante crescita del benessere economico delle famiglie, sulla lenta ma indiscutibile promozione sociale dei ceti medio-bassi, sull’ampliarsi del tempo libero e dei consumi dei singoli, sulla progressiva liberazione (e liberalizzazione) dei comportamenti individuali e collettivi. Il frutto, insomma, della scelta di decenni fa (in realtà inevitabile) di far parte del “blocco occidentale” basato su due pilastri  – la NATO e l’UE –  all’interno dei quali l’Italia svolge un ruolo importante ma, tutto sommato, strumentale a quello delle due potenze rispettivamente in esse egemoni, gli Stati Uniti e la Germania. Scarsa evidenza internazionale, insomma, in cambio di benessere e sicurezza.

Da questo punto di vista Draghi  – uomo di fiducia sia degli americani sia dei tedeschi, fra i quali funge spesso da “cerniera” –  sembra offrire le più solide garanzie che tale modello possa riaffermarsi.

I RISULTATI DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

A questo punto si può capire una prima ragione dell’orientamento di voto di queste ultime amministrative. Sono stati premiati quei partiti che sono sembrati più sinceramente sostenere il governo Draghi e il cui messaggio politico è apparso più in sintonia con quest’ultimo.

In primo luogo quindi il PD. Quando il suo Segretario Letta afferma che il PD è il più “draghiano” dei partiti, dice il vero. Non è gli è stato quindi difficile mantenere il consenso dei suoi elettori, riconquistarne qualcuno che era “in libera uscita” e farsene di nuovi.

Lo stesso discorso vale in parte per Forza Italia. Quel poco che rimane dei suoi elettori mi sembra  costituito non da berlusconiani “di ferro”, ma da moderati un po’ tradizionalisti che  – una volta “uscito di scena” Berlusconi (politicamente, s’intende!) –  non avrebbero soverchia difficoltà ad accettare un accordo col PD, anche grazie a personaggi come Calenda e Renzi, a cui sembra particolarmente addirsi il ruolo dei “pontieri”.

Tutt’altra musica in casa Lega e Cinque Stelle.

In particolare questi ultimi sono nati e hanno prosperato come movimento “antisistema” par excellence. È quindi del tutto ovvio che la maggior parte dei suoi elettori si sia chiesta “che cosa ci facciamo nel governo Draghi?”, e ne abbia tratto le debite conseguenze. Perciò mi permetto di dubitare che sia destinato al successo il tentativo di “istituzionalizzare” i Cinque Stelle di quella intelligente e cortese persona che è l’ex premier Conte (che personalmente stimo, anche perché a lui mi sento spiritualmente affine). Il suo logico esito è … fare una replica del PD! E non vedo perché gli elettori dovrebbero preferire la copia all’originale.

Quanto alla Lega, il tentativo di Salvini di stare contemporaneamente al governo e all’opposizione ha generato un certo clima di sfiducia nella sua persona che non poteva non riverberarsi sul Partito da lui capitanato. Un’operazione del genere sarebbe potuta riuscire (forse…) soltanto al Bossi di una volta!

Tutt’altro discorso deve farsi per Fratelli d’Italia. La scelta dell’onorevole Meloni di starsene fuori dal governo (e per ora da ogni governo di questa incredibile legislatura…) è apparsa limpida e coerente, Perciò lei ha saputo mantenere il suo tradizionale elettorato e captare il consenso anche della maggior parte di coloro a cui Draghi non va proprio giù.

Detto questo, non è affatto scontato che le prossime politiche confermino i risultati delle amministrative. Basterebbe che il governo Draghi deludesse, o che i partiti si riposizionassero, per vedere cambiare tutto il quadro. Mai come oggi il voto è stato così “volatile”!

Queste considerazioni, per dir così, “macropolitiche” per ora sono confermate a livello locale, dove è sempre più forte il desiderio di sicurezza, stabilità e credibilità.

Non a caso i più grossi “smottamenti” elettorali di solito avvengono alle europee e sono poi prontamente “rettificati” alle politiche e alle amministrative. Il Parlamento europeo è (a torto) avvertito come “lontano” e “ininfluente”, e perciò l’elettore si sente più libero di affidarsi ai suoi umori del momento. Alle politiche in genere si vota o per la “squadra del cuore” (sempre di meno), o per gli interessi (sempre di più), ma in entrambi i casi i candidati contan poco. Invece, quando si tratta del “giardino di casa”, allora è meglio “andare sul sicuro”. Solo eventi “tellurici” (come fu per esempio Tangentopoli) possono provocare grandi cambiamenti a livello locale. Ed anche in questi casi i nuovi arrivati possono mantenersi a lungo al potere solo se riescono ad innestarsi nella migliore tradizione dei loro predecessori e porsi in sintonia col genius loci.

Perciò di solito i Sindaci uscenti (a meno che non si abbia la sensazione  – non importa se fondata o no –  che abbiano operato davvero male nel corso del primo mandato) possono essere rieletti più facilmente dei loro sfidanti. Perciò i partiti che più corrispondono alle convinzioni “di lungo periodo” di un determinato territorio possono prevalervi indipendentemente dal loro destino a livello nazionale. Perciò le amministrazioni locali targate Cinque Stelle non sono state riconfermate, mentre quelle targate “Centro-Destra”  – coalizioni di partiti considerati anch’essi “nuovi”, “rivoluzionari” e “antisistema” allorché nacquero –  da circa trent’anni vengono in prevalenza riconfermate al Nord.

“IL CASO VARESE”

In questo ambito sembra rappresentare una singolare eccezione il “caso Varese”, che ancora una volta sembra confermare la qualifica di “laboratorio politico” spesso attribuita alla nostra Città.

L’esito del primo turno delle ultime amministrative a Varese è andato infatti in controtendenza rispetto a una “regolarità” della politica locale: quella per la quale il Centro-destra unito prevale sul Centrosinistra. Se guardiamo infatti a precedenti confronti, il Centrosinistra ha potuto vincere solo quando il Centro-destra esprimeva al primo turno due distinti candidati Sindaci, come avvenne a Gallarate dieci anni fa e cinque anni fa a Varese.

Questa volta a Varese il Centro-destra correva unito a sostenere un candidato, Matteo Bianchi, rivelatosi dinamico e comunicativo. Eppure non solo non si è affermato al primo turno, ma è addirittura arrivato secondo in una città dove la Sinistra è sempre stata tendenzialmente minoritaria.

L’unica spiegazione coerente con le mie considerazioni generali prima esposte credo risieda nel candidato Sindaco e soprattutto nel giudizio complessivo sul suo primo mandato.

Cinque anni fa a Gallarate l’uscente Guenzani, di Centrosinistra, non riuscì a essere rieletto. Evidentemente la sua esperienza di Sindaco non era stata considerata così positiva da riuscire a “controbilanciare” la schiacciante preponderanza dell’altro schieramento. Ed in queste ultime elezioni hanno vinto a mani basse al primo turno Cassani a Gallarate e a Busto Arsizio Antonelli (che pure doveva vedersela con la lista di Farioli, la quale avrebbe dovuto pescare nel suo stesso elettorato).

A Varese invece è successo un piccolo miracolo, che potrebbe risultare di portata anche maggiore qualora il secondo turno confermasse i risultati del primo. Evidentemente i Varesini sono stati così favorevolmente impressionati dalla amministrazione di Davide Galimberti (e spero che non si siano sbagliati) da decidere di dargli almeno una chance per continuare e completarla.

Come è noto, consigli buoni si danno solo quando non si è in condizione di fornire cattivi esempi, e le previsioni sono fatte per essere smentite. Ma credo che, in questi ultimissimi giorni di campagna elettorale, prevarrà quello fra i due candidati che saprà dimostrarsi in continuità  – e non in conflitto –  con quanto è stato fatto nei precedenti cinque anni, così davvero dimostrando di poter essere davvero “il Sindaco di tutti” e non (come troppe volte avviene a chi si appiattisce sugli “ordini di scuderia” dei partiti) “il Sindaco di nessuno”.

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Pubblicato il 12 Ottobre 2021
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