Glocal guarda al futuro lavorativo dei giovani: “L’Italia di oggi deve investire di più per quella di domani”

Confronto a Glocal tra il rettore della Liuc Federico Visconti, lo startupper Emilio Pacioretti e il giornalista Luca De Biase sui grandi cambiamenti in atto nel mondo del lavoro

michele mancino luca de biase emilio pacioretti glocal 2021

Non smettere di imparare, re-imparare, riprogrammare molto più velocemente che in passato e investire su questi cambiamenti. Il panel di Glocal intitolato “Il lavoro del futuro” è una bagno di realtà tra le grandi complessità del presente ma anche uno slancio verso un futuro pieno di possibilità.

Lo hanno raccontato al giornalista economico di Varesenews Michele Mancino il suo collega Luca De Biase, importante firma de Il Sole 24 Ore, il rettore della Liuc Federico Visconti e lo startupper Emilio Pacioretti. La questione del cambiamento del mondo del lavoro è stata trattata da diversi punti di vista: da quello dell’informazione a quello della formazione, passando per la creatività.

Luca De Biase ha tracciato, partendo dal progetto attivo con Liuc e Varesenews che condensa in un tag (il lavoro del futuro) articoli scritti dagli studenti su come stanno cambiando il mondo del lavoro, una strada che passa dalla scrittura di quello che sta avvenendo: «Siamo passati nel giro di 50 anni da un mondo statico ad un contesto altamente dinamico, figlio di un mondo complesso e difficile da prevedere. Fatti come il covid ci insegnano che dobbiamo imparare a vivere nella complessità e nell’incertezza. Siamo passati da una strada dritta del progresso, in cui i genitori sapevano che i figli sarebbero stati meglio di loro ad una realtà in cui i genitori non sanno se i figli staranno meglio di loro. Non è più sufficiente dire che avranno tante cose».

michele mancino luca de biase emilio pacioretti glocal 2021

Secondo De Biase oggi «mancano i criteri di giudizio per capire cosa è progresso e cosa no. Parlare di lavoro del futuro è una questione aperta. Nel corso della vita il lavoro cambia in media ogni 5 anni. L’intelligenza artificiale, secondo le ultime stime, sostituirà il 14% dei lavoratori e il cambiamento tecnologico ha avuto una accelerazione. In questo si innesta anche il cambiamento climatico e dovremo prevedere che entro il 2070 3 miliardi di persone si dovranno spostare perchè i loro territori diventeranno invivibili. Parliamo di un cambiamento che sarà vissuti dai giovani di oggi». De Biase prosegue: «Progettare il lavoro del futuro significa mettere insieme le conoscenze. Affrontare la complessità, definirne un pezzo e creare qualcosa di nuovo».

Il rettore della Liuc Federico Visconti lo tocca con mano tutti i giorni e con la didattica a distanza ha visto cambiare il mondo universitario nel giro di poche settimane: «Già nel ’96 si era capito che il lavoro sarebbe cambiato, come disse l’allora rettore di Harvard Derek Bok: “Noi possiamo solo insegnare ai giovani a re-imparare”.

Tutto questo avviene in un contesto, come quello italiano, ancora poco dinamico. Cambiare un piano di studi universitario è un processo lentissimo. Esploriamo solo quando il Ministero ci apre delle finestre con alcune sperimentazioni. Penso alla didattica a distanza o allo smart working, di cui si è parlato tanto per necessità ma sulla valutazione del lavoro svolto a distanza (che si tratti di studenti universitari o dipendenti di un’azienda) si è taciuto un po’ troppo».

Della dinamicità del mondo del lavoro ne ha parlato Emilio Pacioretti, startupper nel settore della cultura:
«Il bisogno maggiore dei ragazzi oggi è fare un lavoro che per loro abbia molto senso. Serve motivazione e stare al centro delle cose dove avvengono. Nei primi anni ’80 scrissi un libro con due professori dell’Università Federico II proprio sui nuovi lavori: parlavamo della logistica (che ai tempi era agli albori), del controllo numerico e della figura dell’interfaccista (ci si poneva il problema dell’unire i lavoratori di diverse età tecnologiche). Avevamo visto alcune cose in anticipo ma tante altre no». Secondo Pacioretti ancora oggi «è l’imprenditore la figura che da sempre è in grado di gestire il cambiamento e la complessità».

In questa evoluzione De Biase vede tre dimensioni dell’economia «quella della conoscenza, l’economia della creatività e l’economia della cura, che è uno dei temi ineludibili posti anche dall’Europa con il piano “Next Generation Eu”. Soprattutto su questo ultimo aspetto va sottolineato l’impegno per i giovani e per porre le basi di un’Europa del futuro che sappia affrontare le sfide della complessità».

Secondo il rettore Visconti «l’università deve essere vicina al formarsi di questi cambiamenti attraverso una ricerca rigorosa e applicata». Alla base di questi cambiamenti secondo il mondo dell’università c’è un enorme problema che è quello di mobilitare gli investimenti da parte degli italiani: «L’Italia è un popolo di risparmiatori che ha perso di vista l’importanza dell’investire in patrimonio tangibile e intangibile (ad esempio la ricerca). Qualcosa si sta muovendo ultimamente (la ricerca sul vaccino, gli Its) ma ancora troppo poco». Si stima che ci siano 1800 miliardi di euro fermi sui conti degli italiani.

Nella discussione è stato introdotto anche il tema dell’avvicinamento del mondo delle imprese ai ragazzi e Mancino dà atto all’industria varesina di non stare ferma da questo punto di vista, andando a cercare i giovani con iniziative come il Pmi day o Generazione Industria: «Sono occasioni per i ragazzi di toccare con mano il mondo del lavoro e scoprire processi e funzioni dei quali non avevano nemmeno idea.

Pacioretti lo segue a ruota e definisce anche la necessità di una cura dell’aspetto psicologico dei ragazzi che oggi si avvicinano al mondo del lavoro: «Non sottovaluterei l’importanza del tema dell’autostima di questi ragazzi che stanno attraversando l’adolescenza. Il coaching, l’assistenza, il supporto psicologico. Se uno non ha fiducia in se stesso fa molta più fatica e spesso è solo una fase di passaggio. Negli Usa hanno sviluppato l’empowerment che da teoria sociale e radicale dei democratici si è trasformato in una teoria manageriale».

Fa l’esempio delle startup che gestiscono i beni Fai: «Ho avviato 10 startup che hanno creato 50 posti di lavoro. A distanza di qualche anno sono andato a verificare se queste esistevano ancora e ho scoperto che funzionano anche bene. Credo che sia dipeso anche dal fatto che dopo la fase iniziale di avvio, le abbia lasciate in mano ai ragazzi che ora le fanno proseguire, prendendosi responsabilità».

Proprio tornando sul tema del programma europeo Next Gen Eu De Biase conclude con una nota di ottimismo: «È vero che abbiamo un problema a leggere il sistema nel suo complesso. Gli indicatori generali ci fanno pensare male mentre i giovani singolarmente hanno grandi prospettive».

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Novembre 2021
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