La notte Brucia: la giovane produttrice varesina racconta una generazione
Il corto coprodotto da Guendalina Folador e dalla regista romana Angelica Gallo ha debuttato al 39° Festival di Torino e vinto il premio Rai Channel
Tra le rivelazioni del 39° Festival di Torino c’è anche un po’ di Varese grazie a Guendalina Folador, giovane varesina co-produttrice, assieme alla regista Angelica Gallo, del cortometraggio “La notte brucia” che ha debuttato sul grande schermo venerdì 3 dicembre, aggiudicandosi il premio Rai Channel.
Guendalina Folador
«La collaborazione con Angelica è una sinergia nata in primis dall’amicizia che ci lega e poi dalla voglia di poter raccontare qualcosa che accumunasse la nostra generazione», afferma Guendalina con riferimento alla “La notte brucia” e ai suoi protagonisti, Max e i suoi amici che, per puro piacere, rubano gioielli e altri oggetti di valore durante i concerti utilizzando dello spray al peperoncino. «Il corto non vuole offrire un punto di vista negativo ma piuttosto essere chiaro rispetto al senso si vuoto che spesso ci circonda», aggiunge.
Guendalina Folador e Angelica Gallo
«Siamo molto contente di aver presentato questo lavoro a Torino ma soprattutto siamo contente del premio Rai Channel ottenuto – conclude – Risultato che ci spinge ad andare avanti e a continuare a raccontare».
Accanto a nomi noti del Cinema come il regista Abel Ferrara, Marcello Fonte (protagonista di Dogman) ed Aniello Arena (già visto in Reality di Matteo Garrone), a interpretare “La notte brucia” sono tre giovani attori: Lorenzo Di Iulio, già apparso nel film Lo Spietato di Renato De Maria, Valerio Bracale ed Eugenio Deidda, ex detenuto del carcere di Roma che ha scritto la sceneggiatura del corto assieme alla regista e a Nicolò Galbiati.
Forse anche per questo Angelica Gallo e Guendalina Folador (già referente di Archimede di Matteo Garrone con all’attivo la produzione di Pinocchio), avevano “urgenza” di portare in sala questa storia.
Max e i suoi amici appena ventenni sono ragazzi di provincia senza arte né parte, che trascorrono le giornate a imbottirsi di sostanze stupefacenti. Scese le tenebre si aggirano come animali da preda per le discoteche a derubare la gente con lo spray al peperoncino. A spingerli, la sete di adrenalina e il guadagno facile ma anche la necessità di lasciare un segno, di contare qualcosa in un mondo in cui sono irrilevanti.
Max, Antonio e Hamza, sono tre ragazzi qualunque, figli di un’Italia carburata con cocaina a basso prezzo e fake news su facebook, dove le piccole province diventano violente senza apparente ragione. I giovani privi di prospettive e di cultura non sono solidali tra loro, non hanno voglia di reagire, di ribellarsi, anche perché senza strumenti non si sa bene perché e contro chi. E allora l’unico dio a cui votarsi è il denaro fine a se stesso, completamente svincolato da cosa si è fatto per ottenerlo. Non esiste nessuna cultura del lavoro, perché non esiste nessuna cultura: esistono i brand delle case di moda, i profili Instagram delle star e delle influencer, quelli sì. Ma il luogo comune del laureato che poi finisce a fare lo spazzino permea la società. E allora persino i genitori che lavorano tutto il giorno onestamente per mille euro si trasformano in falliti, non ci può essere orgoglio per loro, figuriamoci la pietà.
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