“Rivolevo i soldi prestati per la coca”: condannato a tre mesi per le violenze di tre anni fa a Viggiù

Storie di vizio e di soldi che hanno riguardato due coetanei arrivati ai ferri corti: nella denuncia si parlava di botte con la mazza da baseball, ricostruzione cui i giudici non hanno però creduto

giudiziaria

«Al bar siamo come una famiglia. Se qualcuno ha bisogno, lo si aiuta come si può, come un fratello. Però quei soldi me li doveva ridare».

Pezzi di vita da strapaese andati in scena nelle ultime battute di un processo che ha visto il suo epilogo all’Antivigilia con la condanna di un uomo di 48 anni di Viggiù per “esercizio arbitrario delle proprie ragioni“ (tentato), reato derubricato da ben più pesanti accuse, quelle di tentata estorsione e lesioni aggravate, deviate dalla difesa dell’avvocato Andrea Boni dopo le richieste di pena sostenute del pubblico ministero Federica Recanello per le sole lesioni, aggravate secondo la ricostruzione dei fatti dall’uso di un’arma impropria, una mazza da baseball.

I fatti si riconducono a quanto avvenuto la sera del 3 dicembre 2017 a Viggiù nell’abitazione di un coetaneo dell’imputato che abita coi genitori: una vita segnata da qualche vizio senza averne sempre le coperture economiche.

Così tocca agli amici del bar allungare qualcosa per arrivare ai “50“ per la “pippata“, il tiro di coca partito per gioco con gli amici e diventato vizio, così come i 30 euro intascati una sera con la promessa di ridarli pochi giorni dopo.

Ma i giorni diventano settimane e gli euro salgono a 500. Così l’imputato di oggi che ha voluto riavere indietro i soldi è stato accusato di aver fatto irruzione in casa della vittima armato di una mazza da baseball e di aver colpito più volte il ragazzo all’interno della sua abitazione.

Una ricostruzione finita nelle carte bollate e sui tavoli di giustizia ma a cui i giudici (presidente del Collegio Andrea Crema) non hanno creduto condannando sì l’imputato, ma per un reato molto meno grave.

Cioè il reato commesso da chi, al fine di esercitare un preteso diritto, pur potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo mediante violenza sulle cose o usando violenza o minaccia alle persone: di tre mesi è stata la condanna, più le spese processuali.

Ma andiamo per ordine. Il debito fra i due era esistente da tempo e l’imputato più volte chiese di riavere la somma complessiva. Il debitore promette, ma alle chiamate non si fa trovare o non risponde.

«Guarda che dico tutto ai tuoi». «Guarda che vengo a prenderti a casa».

Detto, fatto. La sera di inizio mese di dicembre di quattro anni fa ecco che arriva la resa dei conti: l’imputato suona alla porta e ad aprirgli c’è proprio il 48enne con cui comincia una discussione animata tanto da attirare l’attenzione del vicino di casa che arriva sulla scena ma non vede alcuna mazza, nè un litigio violento: solo frasi a voce forte, qualche bestemmia gridata e niente più.

Nella tarda serata però il debitore va al pronto soccorso. Dice di essere stato percosso e gli vengono riconosciuti sette giorni di prognosi: con la carta dei medici di Ps va da i carabinieri e denuncia l’aggressione. Lo stesso fa l’altra persona coinvolta nel litigio, spiegando sempre in una segnalazione ai militari quanto accaduto.

Parte l’azione penale e durante il processo vengono sentiti alcuni testimoni che affievoliscono la posizione dell’aggressore che dovrà quindi solo rispondere delle pretese eccessive per un debito non pagato: la mazza da baseball, per la cronaca, nessuno l’ha vista. Pena sospesa con la condizionale.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 23 Dicembre 2021
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