Caso Binda, il 24 maggio a Milano l’udienza per i rimborsi da ingiusta detenzione

I difensori dell'uomo scagionato dalle accuse avevano depositato una richiesta per 327 mila euro. Parere contrario dalla Procura

Testimonianza Stefano Binda processo Lidia Macchi

Si terrà il 24 maggio in tribunale a Milano l’udienza per decidere se risarcire o meno Stefano Binda, l’uomo originario di Brebbia che è stato arrestato nel gennaio 2016 con l’accusa di essere l’omicida di Lidia Macchi, condannato all’ergastolo e poi assolto in Appello e in via definitiva dalla Cassazione.

Il computo, dal 2016 all’estate 2019 è di oltre tre anni di detenzione, fra custodia cautelare in carcere e pena per i quali ora Binda, tornato libero, chiede conto allo Stato sfruttando proprio una legge che prevede un compenso che ammonta a circa 250 euro al giorno per l’ingiusta detenzione subita.

La richiesta di risarcimento era stata annunciata all’indomani della decisione romana che mise un anno fa la parola fin alla disavventura giudiziaria capitata a Binda: i difensori Patrizia Esposito e Sergio Martelli lo dissero in maniera diretta a poco più di una settimana dall’assoluzione del loro cliente: «Sarà un percorso difficile, molto difficile e per nulla scontato. Ma ci proveremo».

La richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione ammonta a 327mila euro.

La Procura di Milano dal canto suo ha espresso parere contrario nonostante la sentenza sia passata in giudicato, coi giudici della suprema corte che motivò la decisione riferendosi al lavoro dei giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano che esaminarono con «certezza fattuale ogni singolo elemento addotto dall’accusa», per arrivare «con logicità e congruenza di argomenti alla conclusione che i dati indiziari non hanno alcun grado di certezza in fatto e nessuna valenza intrinseca, perché frutto di presunzioni e congetture».

Oggi Stefano Binda continua a vivere a Brebbia, nella casa di famiglia e si occupa di volontariato. «Una vita da scagionato», raccontò a Varesenews poche settimane fa.

La parola ora ai giudici della quinta Corte d’Appello di Milano.

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Pubblicato il 02 Marzo 2022
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