Olivetti non era un profeta, ma le sue parole rivivono nelle imprese aperte al futuro

All’Università dell’Insubria per la prima volta una "Lezione Olivettiana". In molti ancora oggi si ispirano alla visione dell’imprenditore di Ivrea

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Perché a 60 anni dalla sua morte, quando si parla di nuovi modelli socioeconomici, il punto di riferimento è ancora Adriano Olivetti? Perché il suo pensiero, in una società globalizzata e dominata dalla tecnologia, è ancora così attuale? Queste domande sono state il punto di partenza di una lezione tenuta dal segretario generale della fondazione “Adriano Olivetti”, Beniamino de Liguori Carino, e dall’economista Gioacchino Garofoli all’università dell’Insubria nell’ambito del progetto Interreg Skilmatch dedicato al lavoro nell’area insubrica.

«Adriano Olivetti è stato una figura unica perché è riuscito a coniugare pensiero e azione – ha detto Beniamino de Liguori Carino -. Oggi al suo pensiero si ispirano tutte quelle persone, tra cui molti imprenditori, convinte che la nostra società debba dare risposte convincenti alla domanda di come costruire un mondo più solidale e più giusto. In questo senso, possiamo affermare che il tempo di Adriano Olivetti è il nostro tempo».

Dar vita a un modello di società tecnologicamente avanzato, mantenendo fermi alcuni valori, primo fra tutti aver cura della comunità, per Olivetti è la condizione necessaria per evitare l’imbarbarimento interiore. Bisogna però fare molta attenzione a trascinare l’imprenditore di Ivrea sul piano della contemporaneità perché è un terreno molto scivoloso. Alcuni concetti, come per esempio quello di comunità, non sono sovrapponibili. La cura della comunità e la condivisione, nel pensiero di Olivetti, non miravano a migliorare solo la fabbrica, ma la società nel suo complesso. La sua era più una tensione politica che una ricerca dell’efficienza aziendale. Un pensiero lontano anni luce dalla comunità di Facebook, come ha fatto notare Lelio De Michelis, docente di sociologia dell’Università dell’Insubria.

«Spesso si è paragonato Steve Jobs a Olivetti – ha sottolineato De Liguori Carino – ma le differenze sono evidenti e anche spaventose. È un paragone complicato perché Olivetti proponeva un’idea di tecnologia che liberava tempo per potersi dedicare ai propri talenti e a un sentimento di condivisione autentico. Il pensiero comunitario non era uno strumento al servizio dell’azienda, ma era un pensiero politico. Oggi invece c’è un ribaltamento di forza tra l’uomo e la tecnologia che ha una crescita senza limiti. Olivetti non era nemmeno un imprenditore patriarcale, come alcuni lo hanno etichettato».

L’imprenditore di Ivrea aveva realizzato il sogno del cambiamento contaminando la fabbrica a tutti i livelli con la cultura, non per semplice esibizione di potere e narcisismo, come spesso avviene, ma perché convinto che da quella coesistenza passasse la trasformazione della produzione industriale in un momento capace di generare bellezza e verità.

Il presidente della Fondazione Adriano Olivetti invita a non mistificare questa figura perché «alla Olivetti si lavorava molto», ma era un lavoro che andava ben oltre la fabbrica, e la produzione ben oltre il profitto, perché al centro c’era sempre l’uomo e la valorizzazione del suo talento. 

Olivetti era circondato da architetti, designer, scrittori, poeti, giornalisti, economisti, psicologi e sociologi, tra cui Franco Ferrarotti, Alessandro Pizzorno e Lucio Gallino, autentici giganti della materia. Un elenco che dall’economia alla psicoanalisi, passando per la letteratura e l’urbanistica, comprende il meglio dell’intellighenzia nostrana di quegli anni: Giorgio Fuà, Franco Momigliano, Ludovico Quaroni, Lodovico Belgioioso, Leonardo Benevolo, Ettore Sottsass, Paolo Volponi, Franco Fortini, Geno Pampaloni, Cesare Musatti, Franco Tatò, Guido Rossi, Massimo Fichera e Furio Colombo.
«Olivetti è riuscito coniugare impresa e cultura – ha detto l’economista Gioacchino Garofoli – Sulla rivista Comunità hanno scritto i migliori intellettuali della seconda metà del Novecento. Da qui emerge un primo insegnamento delle sue attività: l’impresa aperta al futuro che accetta la sfida del cambiamento e dell’innovazione deve saper coniugare tecnologia e cultura».
Una presenza necessaria perché scriveva Olivetti: «Ci vogliono due geni per fare un’idea: uno per pensarla l’altro per riconoscerla».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 18 Marzo 2022
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