Il rientro speciale di Guglielmo Caruso: “L’infortunio, una batosta. Fantastico vincere davanti alla mia famiglia”

Il giovane pivot napoletano è tornato a giocare proprio nella sua città dopo la frattura alla tibia: "Almeno in 40 per vedermi, ma sono rimasto concentrato. Con Roijakkers e Scola ho un grande rapporto: mi stanno vicino, sempre pronti per un consiglio"

Openjobmetis Varese - Dolomiti Energia Trento 90-89

Tra i tanti volti felici in casa biancorossa al termine della partita vinta a Napoli dalla Openjobmetis, uno spiccava in particolare. Quello di Guglielmo Caruso, 22 anni, per cui la partita del PalaBarbuto aveva una valenza particolare. Nato nel capoluogo partenopeo, originario della zona dei paesi vesuviani (la casa dei genitori è a San Sebastiano), Willy è sceso in campo davanti agli occhi di familiari, amici e conoscenti, contro la squadra con cui ha esordito a livello senior con tutta la pressione del caso.

Ma al di là del lato “parentale”, il match di lunedì sera è stato quello del rientro ufficiale dopo il secondo infortunio pesante che il giovane pivot ha dovuto fronteggiare in questa stagione. Al dito rotto a fine ottobre (con conseguente operazione chirurgica) si è aggiunta la frattura interna alla tibia che gli ha fatto perdere altre quattro gare. Al PalaBarbuto però, Caruso è stato subito importante con 7 punti (tre canestri dal campo consecutivi appena schierato) e 3 rimbalzi in appena 9′ di impiego.

Guglielmo, quali sono state le sensazioni nel rimettere il piede sul parquet dopo un momento delicato come l’infortunio? E in un contesto per lei speciale, la partita con Napoli?

«Dal punto di vista mentale, l’infortunio alla tibia per me è stata una bella batosta. Arrivavo dall’operazione al dito, avevo iniziato a guadagnare minuti e fiducia e mi sono trovato ancora KO. È stata tosta anche perché avevo grande voglia di fare ma anche altrettanto rischio di strafare. A Napoli credo di essere stato bravo a non lasciarmi prendere dalle emozioni: sono rimasto concentrato sul gioco con l’obiettivo di dare il massimo per aiutare la Openjobmetis e il resto è venuto da sé».

Al momento della presentazione non le sarà sfuggito l’applauso del pubblico di casa.

«Sì, ho giocato in quel palazzetto per una stagione che purtroppo finì con una retrocessione ma che comunque fu bella e utile. Sono contento dell’applauso anche se penso che una buona parte sia arrivata dal gruppo venuto a vedermi: c’era tutta la famiglia, con nonni, zii e cugini. I miei amici di infanzia, gli amici di mia sorella e via dicendo. Almeno 40 persone, in tutto. Giocare davanti a loro e vincere è stata una bella soddisfazione, sono stato orgoglioso di me e della squadra».

Il ruolo di pivot, in questa Varese, è un po’ particolare: come ci si confronta ogni giorno con lunghi che, praticamente, fanno un altro mestiere rispetto al suo?

«Allenarsi quotidianamente con giocatori come Sorokas e Vene mi aiuta molto. Non è facile, per me, star dietro ad avversari agili e veloci ma anche pericolosi al tiro da fuori: ciò mi aiuta a variare il mio gioco difensivo visto che in precedenza, per esempio contro Egbunu, il lavoro era completamente diverso. Per le necessità attuali, per il gioco della nostra squadra, la presenza di giocatori come Paolo o Siim è molto importante: sono lunghi che in attacco sanno trattare molto bene la palla e in difesa danno grande energia. Sorokas in particolare è perfetto in questa situazione».

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Caruso al termine della partita di Napoli con Carlo Cane e Paulius Sorokas

Al suo arrivo, lei venne descritto soprattutto come un lungo tiratore: qui l’abbiamo vista pochissimo sull’arco e molto più spesso dentro all’area come un pivot fatto e finito.

«Per le mie caratteristiche sarei un pivot atipico, perché sia in A2 sia negli USA capitava di tirare da 3 o di provare un “piazzato” dalla media distanza e, ogni tanto, anche di mettere palla a terra per la penetrazione. Quest’anno però il sistema di gioco mi “chiama” più vicino a canestro e d’altra parte è meglio che mi dedichi a quella zona del campo dove posso segnare in modo diverso o strappare un paio di rimbalzi in più: c’è gente più brava di me al tiro da 3, meglio che ci provino loro».

In questo momento la Openjobmetis ha al suo interno un gruppo italiano importante, al quale è dato tanto spazio in campo. Quanto incide questa situazione sui successi attuali di Varese?

«Credo che conti molto avere un nucleo italiano che gioca stabilmente: spesso in partita non è solo il talento a fare la differenza, ci sono altri aspetti e penso che gli italiani possano dare una scossa in più. Noi siamo anche fortunati perché anche gli stranieri, europei e americani, stanno dando una bella mano. Però è importante che ci venga data fiducia: guardate come è cresciuto De Nicolao da quando ha spazio, o lo stesso Woldetensae che veniva dalla A2 e ha dimostrato immediatamente di valere lo spazio anche in LBA».

Una condizione nella quale vi ha messo coach Roijakkers, oggi sulla bocca di tutti.

«Con lui ho un rapporto umano ottimo: parliamo spesso, è sempre a disposizione per un confronto o per un consiglio. La sua bravura è stata quella di dare fin da subito una identità definita alla squadra senza però scombussolare troppo le cose: ha cercato di farci giocare meglio comunicando buone sensazioni e motivazione. Ha grandi meriti ma come sempre accade, questi vanno condivisi con tutti: staff, società, giocatori e via dicendo».

Da “giovane lungo”, com’è invece confrontarsi con una leggenda come Luis Scola?

«Luis è una figura a cui ispirarsi, sia per quello che ha fatto sul campo da gioco sia per il suo spessore umano. Anche con lui il rapporto è eccellente: è sempre pronto per un consiglio, una motivazione e soprattutto mi è stato vicino ogni giorno durante il periodo in cui ero infortunato. Davvero bello averlo accanto con un solo pizzico di rammarico: non ho fatto in tempo a giocare insieme a lui. Peccato, ma ce lo teniamo stretti anche da dirigente».

Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Marzo 2022
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