Da CasaSanremo ad Albizzate: l’intervista doppia a Gaspare Pellegatta e Sgrò, in concerto al The Family

Giovedì 28 aprile, ore 22, sul palco del circolo di Albizzate i due cantautori che si sono conosciuti a CasaSanremo. La doppia intervista a Sgrò e al gallaratese Gaspare, che nel suo disco d'esordio dedicata la canzone d'apertura a Laveno

The Family - Gaspare Pellegatta - Sgrò

Un appuntamento speciale, quello di domani sera, giovedì 28 aprile, al circolo The Family di Albizzate. A calcare il palco, ore 22, due cantautori, che si sono conosciuti a febbraio in occasione di Casa Sanremo: Gaspare Pellegatta e Sgrò.

Il primo, di Gallarate, è ben conosciuto nel Varesotto e proprio a un luogo del Varesotto ha dedicato la opening track del suo disco d’esordio Post Amarcord: Laveno, città sul Verbano dove si trova il suo studio. Sgrò, invece, è cantautore di origini toscane, attualmente attivo a Bologna dove ha lavorato alla pubblicazione di Macedonia, opera prima che annovera la collaborazione con Enrico Gabrielli, uno dei volti più importanti della musica italiana.

Dal Lago Maggiore a Sanremo, Gaspare Pellegatta live a Casa Sanremo con il suo “Post-Amarcord”

In occasione della data di domani, abbiamo organizzato un’intervista doppia, in modo tale non solo da conoscerli meglio, ma per permettere a due artisti di descrivere uno la musica dell’altro.

LAVENO, MACEDONIA, LUCE E MUSICA: L’INTERVISTA DOPPIA

Ciao Gaspare, Ciao Sgrò. Come state? Qual buon vento vi porta al The Family di Albizzate? Gaspare, tu sei originario di Gallarate e sicuramente Albizzate la conoscerai bene. Immagino che prima di trasferirti a Milano frequentassi il The Family e, in estate, sarai senza dubbio andato a qualche edizione del Valley Festival, dico bene? Se sì, che ricordi hai?

GP: Ciao Marco, sono bello carico per questo tour, mi sta portando in giro per mezza Italia. La data al The Family è la quindicesima, sarà speciale grazie a Sgrò, un’artista che con parole semplici, travolge emotivamente. Sarebbe stato bello suonare assieme anche al Valley, era un appuntamento fisso. L’ultimo anno mi avevano lasciato far passare una torta per festeggiare il compleanno di un amico. Nonostante fosse un festival grande, negli anni aveva saputo mantenere uno spirito genuino e accogliente.

S: Ciao, il vento che mi porta ad Albizzate è vento che viene dalle stanze di Gaspare.

Invece, Sgrò vieni dalla Toscana ma vivi a Bologna. Che idea ti sei fatto della “provincia dei Sette Laghi”? Qualche spunto potresti averlo ricavato proprio da Gaspare e dal suo disco Post-amarcord che vede in apertura il singolo Laveno, il videoclip contiene diversi collage di immagini della città sul Verbano.

SPrima di Post-amarcord e di Gaspare quei luoghi sono stati i luoghi di Vittorio Sereni e delle sue  poesie. Ho sempre associato le sue poesie a Varese, a Luino, ai laghi. E per un paio di anni Sereni  è stato il mio dizionario dei sentimenti. Però non ci sono mai passato, perciò sono stracurioso di  quei paesaggi.

Voi due siete due cantautori che si sono conosciuti a febbraio lo scorso febbraio a Casa Sanremo. Che esperienza è stata? Che impressione avete avuto in quei giorni l’uno dell’altro?

GP: è stata un’esperienza de fuego, fin dal primo saluto con lui mi sono sentito a casa. Ci siamo confrontati e continuiamo a farlo sui nostri percorsi. Entrambi siamo emotivi ed instancabili: delle macchine da guerra Do It Yourself. Casa Sanremo è stato uno showcase per gli addetti ai lavori, zero hype, tanto giudizio. Siamo stati scelti assieme ad altri artisti da Rockit e Open Stage in rappresentanza dei migliori emergenti del 2022. Quando ha suonato, Sgrò mi ha fatto venire il magone, io ho fatto scattare un mini pogo. Sono state delle gustose scintille.

SCredo che di Casa Sanremo abbiamo una visione parziale perché filtrata dalle due realtà, peraltro  bellissime, che ci hanno selezionato, Rockit e Officine Buone. Due realtà molto distanti dal mondo  Sanremo per come uno se lo immagina.  L’impressione che ho avuto di Gaspare è che lui ha bisogno di muoversi, di allargare lo spazio in  cui viene messo, necessita di superare i confini. Lui è un musicista esploratore, un musicista  navigatore.

Quanto del vostro territorio c’è nella vostra musica?

GP: tantissimo, non solo di Laveno ma anche di tanti altri posti: Amsterdam, Toronto, Cile. Ho avuto modo di viaggiare parecchio e l’album Post-Amarcord ne è una raccolta di foto-ricordi sgraziati.

S: Ogni geografia genera un linguaggio emotivo e non, perciò inevitabilmente le mie canzoni parlano  la lingua di Lucca e di Bologna. Mi sembra una bella cosa. Alla fine siamo i luoghi che viviamo.

Entrambi nel 2021 avete pubblicato il vostro LP d’esordio, rispettivamente Post-amarcord e Macedonia. Vi va di fare un gioco? Sgrò descrivi in poche parole il disco di Gaspare, Gaspare descrivi in poche parole il disco di Sgrò?

GP: Macedonia è un album spezza-lacrime, lucido e intenso. Fosse un film sarebbe “Mediterraneo” di Salvatores.

S: Quando ho ascoltato il disco di Gaspare ho pensato che quella voce, e per voce intendo tutto, dai  testi all’arrangiamento, fosse la voce di un fratello maggiore che si è guadagnato il diritto di  rispondere male ai genitori, cioè il diritto di essere quello che vuole. Questa cosa la ammiro  tantissimo.

Adesso definiti voi i vostri stessi lavori. Utilizzate però massimo tre immagini.

GP: una macchina fotografica scassata a pellicola: ha le meccaniche grezze, fa le foto male ma i difetti che regala generano un fascino unico. O li ami o li odi. Al momento li amo ancora.

S:Un bagnoschiuma che sa di lavanda. Un cane steso che si riscalda al sole. L’erba che nasce tra i  sanpietrini.

I videoclip dei vostri singoli sono ricchi di colori e seguono una particolare estetica. Ritenete che l’arte visuale sia un prolungamento delle vostre note?

GP: yeah! L’estetica è importantissima, una ricerca in continua evoluzione. I miei riferimenti al momento sono Bruno Munari e Alex Steinweiss a cui mi sono ispirato per creare la copertina dell’album. Ma sono anche un fan dell’estetica DIY e della street photography.

gaspare pellegatta musicista

(Gaspare Pellegatta)

S: Per forza di cose sì. La matrice è la musica, la voce, è lì il contenuto incandescente, ed è da lì che  si sviluppa tutto. Un tutto che viaggia nella stessa direzione.

È sbagliato dire, ascoltando i vostri due dischi, che paura e disagio (nelle relazioni e al lavoro) siano i leitmotiv delle nuove generazioni di cantautori? Penso a canzoni  come Laveno, Dippel o a In differita e Maledizione, ci sono tanti riferimenti che sembrano dettagli sfocati delle vostre vite. Al tempo stesso è interessante come da fuori l’impressione che date è di due ragazzi riservati. A partire dal fatto che nessuno di voi ha firmato la propria discografia con la formula “Nome e Cognome”. Gaspare Pellegatta lo fa solo in apparenza, in realtà si tratta di uno pseudonimo. Come, tra l’altro, lo è anche Elton Novara, artista a cui proprio tu Gaspare hai aperto al circolo Gagarin.

S: Penso proprio di sì. 

GP: paura e disagio sono temi ricorrenti, forse da sempre, ma penso che a fare la differenza sia il modo in cui le diverse generazioni riescono a masticarli per poi sputarli con una forma inaspettata. Avere uno spazio, nel mio caso uno pseudonimo, dove poterli esplorare con meno limiti possibili mi ha aiutato e mi aiuta tutt’ora a digerirli. Allo stesso modo, chi ascolta, trovo si possa immedesimare o possa fare proprio un immaginario con più facilità. Miss Keta in questo senso penso sia l’esempio più lampante da citare.

Sgrò, nella canzone Nemmeno hai avuto la possibilità di collaborare con un grandissimo volto della musica italiana: Enrico Gabrielli. Che effetto ha fatto collaborare con un artista che, tra le tante imprese stakanoviste, ha diretto l’orchestra di Sanremo ed è stato un turnista di PJ Harvey?

S: In sua presenza sono stato con la fronte che toccava per terra tutto il tempo. Mi vergognavo.  All’epoca ero totalmente uno scappato di casa che viveva nel buio. Lui era troppo grande, faceva  troppa luce.

Sgrò

(Sgrò)

Gaspare, hai aperto a Generic Animal, anche lui un artista proveniente dal nostro territorio. Hai già ascoltato il suo ultimo lavoro? Che effetto ti ha fatto vederlo passare suonare dai circoli nel sud del Varesotto a scalare i ranghi dell’indie italiano?

GP: L’ho ascoltato e album dopo album penso che Generic abbia dato forma ad un immaginario personale e riconoscibile. È uno di quegli artisti che sono interessanti non solo su disco ma anche da ascoltare nelle interviste. Tra tutte mi aveva colpito la lucidità e umiltà in quella curata da “Colors”. Questo trovo sia l’aspetto più importante: sapere che a sorreggere quella scalata non c’è solo un ottimo musicista ma una personalità capace di muovere certe corde, con o senza chitarra in mano.

Avete iniziato a lavorare ai vostri progetti musicali attorno al 2015, anno più, anno meno. In quegli anni abbiamo assistito all’esplosione dell’indie cantautorale, fenomeno che dalla periferia è andato ad occupare il centro dell’industria musicale italiana. Come vi spiegate questo fenomeno? A guardare indietro agli inizi del 2010 ai principali festival di musica indipendente italiana – penso al Mi Ami su tutti – gli headliner erano soprattutto band alternative rock come Verdena, Jennifer Gentle, Teatro degli Orrori o Tre Allegri Ragazzi Morti (ma la lista sarebbe davvero lunghissima). All’estero i pesci grossi erano Radiohead, Arcade Fire e Flaming Lips. Con l’eccezione di Brunori Sas, le one-man-band come Iosonoucane o i Cani o cantautori come Colapesce erano già all’attivo, ma ai loro esordi occupavano ancora ruoli marginali sui palchi (sebbene Incani fosse nominato al Tenco come Opera Prima). Poi la svolta con la “rivincita” della musica scritta in cameretta su Garage Band e la grande riscoperta “pop” dei classici come De André o Lucio Battisti (vedi l’influenza di Anima Latina su istant-classic come Wow e Die o l’album di cover Faber Nostrum). Condividete la disamina? Da Giorgio Poi ad Andrea Laszlo De Simone, senza calcolare chi oggi, covid permettendo, suona in arene come Calcutta. In questo grande mare, voi dove vi collochereste artisticamente? Cosa ascoltavate quando avete iniziato a comporre o cosa c’è oggi nelle vostre cuffie?

GP: l’origine del successo dell’indie cantautorale per me è stato organico: era ciò che mi rappresentava in quel momento, a pieno. La musica fuori dai circuiti indipendenti era per la maggior parte una palla omologata ed insipida. La rivincita della musica da cameretta è stato un propulsore bellissimo per un certo tipo di libertà, consapevolezza ed urgenza espressiva… finché poi non è degenerato tutto in un trend edulcorato. Ma c’è poco da far polemica, anzi, ho un bellissimo ricordo di festival, concerti, incontri figli di quell’entusiasmo senza filtri. Un degenero, ma dal letame nascono i fior. Non so collocarmi, so solo che finito il periodo dell’entusiasmo volevo semplicemente mettermi in discussione ed evolvere. Se prima della fine ascoltavo “Ego Mostro” di Colapesce che affiancavo a Bonobo, Andrew Bird e Unknown Mortal Orchestra, negli ultimi anni ascolto FKJ, The Comet Is Coming, Glasper e i tra gli italiani Laszlo, Iosonouncane e i Radura. I miei pallini fissi rimangono però At The Drive-in e Kings Of Convenience.

S: Sulla strada che ha preso la musica non saprei proprio cosa dire. Non ho gli strumenti, non riesco  proprio a capirci niente. È tutto così complesso. Non so dove potrei collocarmi in questo mare  vastissimo ma che è anche piccolissimo. Per fortuna in mare non ci sono muri perciò posso  migrare di qua e di là a seconda di che corrente ho voglia di prendere.  Quando stavo scrivendo Macedonia ascoltavo tantissimo Bach per ripulirmi le orecchie da Battisti  e Homeshake, che sono due riferimenti per il disco, adesso ascolto sempre Bach e non ascolto più  Battisti e Homeshake, ma ascolto tanto Caparezza e Mac Miller.

Torniamo a giovedì sera: cosa c’è da aspettarsi dalla serata ad Albizzate?

GP: legnate e lacrimoni, sotto forma di cantautorato, hip-hop e dance-punk.

S: Spero di riuscire a portare tutta la sincerità che ho, senza castrarmi, senza balbettare, senza  rinunciare a essere felice. Spero di fare luce con le mie canzoni, anche una luce di una candela  sarebbe per me bellissimo. 

La domanda pigra, ma che anche di rito: state approfittando del tour per abbozzare dietro alle quinte nuove canzoni o siete ancora immersi nei lavori che avete sfornato nel vicino 2021?

GP: ottima domanda spoiler: assolutamente si, sto lavorando a un sacco di brani nuovi. Finito questo tour mi metterò sotto per plasmarli in via definitiva e farli venire alla luce spero già nel 2023.

S: Sì, ci sono nuove canzoni. Un paio le suonerò anche giovedì.

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com

 

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Pubblicato il 27 Aprile 2022
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