Chiusi in casa, il fenomeno degli Hikikomori esiste anche in provincia di Varese

A spiegare il fenomeno la rubrica a cura di Sakidō, il progetto che si occupa di cura, prevenzione e sensibilizzazione al fenomeno del Ritiro Sociale in Adolescenza. Qui l'intervista a Matteo Zanon (Piscologo e Psicoterapeuta) e Silvia Levati (Educatrice e Pedagogista) della Cooperativa Sociale L’Aquilone

Generica 2020

La rubrica è a cura di Sakidō, il progetto che si occupa di cura, prevenzione e sensibilizzazione al fenomeno del Ritiro Sociale in Adolescenza. E’ promosso dalla Cooperativa Sociale L’Aquilone, insieme a un partenariato di enti sociali, istituzionali e scolastici, e opera in provincia di Varese.

Chiusi in casa, a volte addirittura in camera, senza contatti con il mondo esterno, se non virtuali. Sono gli Hikikomori, persone che scelgono di disinvestire nelle relazioni sociali e gradualmente, negarsi al mondo. Codificato per la prima volta in Giappone decenni fa, il fenomeno Hikimomori è da qualche tempo molto presente anche in Italia, dove colpisce un numero sempre crescente di adolescenti e dove ha sviluppato delle varianti endemiche, raccolte sotto il cappello di Ritiro Sociale. Si stima che fino a 3 anni fa, i ragazzi in Ritiro fossero già tra i 100.000 e i 120.000. Ma il numero oggi è sicuramente più alto, complici anche le difficoltà relazionali e sociali causate dalla pandemia.

Anche in Provincia di Varese si registrano diversi casi di Ritiro Sociale e il sistema socio-sanitario ha già messo a punto delle strategie d’intervento che lavorano sia sulla prevenzione che sulla presa in carico dei casi più gravi. In prima linea troviamo il progetto Sakido (https:// www.sakido.it/), finanziato con il contributo della fondazione Con I Bambini, capitanato dalla Cooperativa Sociale L’Aquilone, e all’interno del quale figurano partner di rilievo come l’ambito territoriale di Sesto Calende e di Tradate, la cooperativa sociale Totem, il CTS di Varese, Associazione S.M.Art. e poli formativi come l’Istituto Dalla Chiesa di Sesto Calende, il CFP Ticino-Malpensa e l’Università Cattolica. Ma di cosa parliamo quando parliamo di Ritiro Sociale? Come si manifesta e perché? Ce lo spiegano meglio Matteo Zanon (Piscologo e Psicoterapeuta) e Silvia Levati (Educatrice e Pedagogista) della Cooperativa Sociale L’Aquilone.

Perché alcuni adolescenti scelgono il Ritiro Sociale?
Matteo Zanon: Si tratta di ragazzi che all’inizio faticano a reggere il confronto con i propri pari e hanno paura di misurarsi col mondo. Decidono quindi disinvestire gradualmente nelle relazioni sociali, fino a ritirarsi all’interno delle loro case e – nei casi più gravi – a non uscire nemmeno più dalle proprie stanze, arrivando addirittura a interrompere i contatti anche con i propri famigliari. La durata del ritiro può andare da qualche mese a interi anni.

Quali sono le cause scatenanti del Ritiro Sociale?
Silvia Levati: non è possibile dirle con certezza assoluta. Ogni caso è a se stante e varia a seconda del contesto sociale e culturale in cui si verifica. Spesso è legato a fatiche famigliari, a volte scolastiche, o a questioni connesse alla percezione di sé e del mondo. A volte il ritiro sociale è primario. Altre volte invece è secondario, ovvero causato da altre patologie come la depressione, per esempio. Ritirarsi è a volte una sorta di protesta, un modo per dire “io sono sempre stato qui, siete voi che non mi avete mai visto”. Negandola, gli Hikikomori affermano la loro presenza, magari non così conforme agli standard imperanti. E, allo stesso tempo, si sottraggono allo sguardo degli altri e a quei giudizi che per loro sono un attacco e una minaccia.

Quali sono i sintomi più comuni?
Silvia Levati: I primi indicatori sono quelli che lasciano intendere una progressiva tendenza a isolarsi dal resto del mondo. Si inizia con delle piccole cose, assenze a scuola, diminuzione del tempo passato con gli amici e in generale riduzione progressiva delle occasioni di socializzazione. Nei casi più gravi si arriva all’isolamento nella propria stanza, all’inversione sonno-veglia e all’abbandono di bioritmi regolari. I ragazzi quindi iniziano a mangiare quando hanno fame, dormire quando hanno sonno. Spesso faticano anche a mantenere un igiene costante. A monte c’è sempre fatica e ansia sociale, ma anche – spessissimo – una forte difficoltà nella nell’accettazione di se stessi e del proprio corpo.

Qual è il ruolo degli adulti, nell’insorgere di questa problematica?
Matteo Zanon: Gli adolescenti di oggi vedono attorno a loro adulti stanchi, che hanno poco tempo, lavorano moltissimo, guadagnano poco e spesso sono insoddisfatti. Questo malessere, che gli adulti stessi vivono, li porta ad essere poco disponibili all’ascolto delle esigenze degli adolescenti che – soprattutto in questo momento storico di enorme incertezza – fanno fatica a immaginarsi nel futuro. Ed è proprio questo futuro negato che porta i ragazzi a bloccarsi in un “presente costante” e mettere in pausa tutto il resto. Non è un caso che dormano di giorno, quando tutti gli altri sono attivi, e siano svegli di notte, quando invece il resto del mondo si ferma.

Ci sono caratteristiche caratteriali individuali che possono più facilmente condurre al Ritiro?
Silvia Levati: Non esistono delle caratteristiche che inevitabilmente portano al Ritiro Sociale. Sicuramente ci sono però dei tratti caratteriali che tornano. La timidezza, prima di tutto. Ma anche una spiccata sensibilità e una forte intelligenza emotiva. Spesso i ragazzi in Ritiro sono molto in gamba. Non hanno problemi a scuola, anzi, possiedono molte competenze e talenti, non solo didattici. A bloccarli però è sempre la fatica di affrontare il giudizio degli altri, il confronto. Le pressioni che sentono arrivare dai genitori o dal contesto scolastico, dagli altri in generale, li fanno sentire non adeguati o non pienamente accettati. Spesso sono molto appassionati di cultura Giapponese e attratti dall’universo Anime e Manga. Attenzione però: questo non vuol dire che tutti i ragazzi che presentano queste caratteristiche siano destinati al ritiro sociale, naturalmente.

Qual è stato l’impatto della Pandemia e del lockdown sulla vita dei ragazzi in Ritiro? Vedere tutti chiusi in casa è stato in qualche modo d’aiuto?
Silvia Levati: Il Lockdown e il distanziamento sociale hanno avuto conseguenze importati su tutti gli adolescenti, non solo su quelli in Ritiro. La pandemia (e tutto quello che ne è conseguito) ha messo ancora più alla prova quei ragazzi che – già prima – avevano mostrato delle fragilità psicologiche e relazionali, fungendo da detonatore. Parlando in particolare dei ragazzi in Ritiro, poi, alcuni di loro si sono trovati a dover fare i conti con la propria famiglia in casa e questo ha favorito un riallacciamento dei rapporti, per esempio. La maggior parte di loro, però, non sono riusciti a portare avanti la didattica a distanza, bloccati dall’idea di affrontare lo schermo, mostrare a tutti la propria camera, farli entrare nella propria intimità. Ma sicuramente, più che il lockdown, il momento più critico per i Ragazzi in Ritiro è arrivato con la riapertura, quando hanno visto tutto il mondo uscire di casa e tornare alla normalità, mentre loro rimanevano ancora bloccati.

La dimensione online gioca un ruolo fondamentale nel Ritiro Sociale. Se non ci fosse internet si verificherebbero lo stesso casi di Ritiro?
Silvia Levati: Sì. Il ritiro sociale, nelle varie culture, c’è sempre stato. Pensiamo agli eremiti, per esempio. Non è internet, né i videogiochi che causano il ritiro sociale. Anzi! Spesso, per i ragazzi che decidono di isolarsi, l’online è un elemento di salvezza perché rappresenta il loro unico legame sociale con il mondo esterno. Anzi, se i ragazzi in ritiro si mantengono attivi nel mondo virtuale, noi psicologi ed educatori sappiamo di avere ancora delle carte da giocare, sulle quali lavorare. Nei casi di ritiro molto acuto, infatti, i ragazzi abbandonano anche la dimensione virtuale, recidendo ogni legame con il mondo esterno.

Perché proprio online?
Silvia Levati: Perché online i ragazzi possono mettersi in gioco in maniera “schermata” e quindi più protetta. Senza usare il proprio corpo e celando la propria identità, si creano una sorta di scudo che però, di fatto, consente loro di conoscere persone nuove e di intrattenere relazioni.

Come si esce dal Ritiro Sociale?
Matteo Zanon: Non c’è una modalità di intervento uguale per tutti. La prima cosa è la pazienza: non avere fretta e mettersi in una dimensione di ascolto, ben consapevoli che il tempo di uscita dal Ritiro, solitamente, è lungo. Non si tratta di un’influenza che si risolve in dieci giorni, ma di un percorso esteso, che ha le sue tappe, i suoi scivoloni e i suoi tempi. Di solito noi partiamo dal lavoro psicologico, perché è lì che si individua il nodo da cui tutto è iniziato. I nostri psicologi provano ad entrare in relazione con il ragazzo in Ritiro per capire cosa prova, dove si è bloccato e conoscere il suo mondo. Alla parte psicologica, poi, associamo anche il lavoro fatto da un educatore e delle attività laboratoriali, svolte in piccoli gruppi, per riallenare gradualmente il muscolo della socialità e ritrovare degli spazi concreti di socialità.

Cosa possiamo fare noi che non siamo in Ritiro?
Silvia Levati: Prima di tutto è importante capire che il Ritiro Sociale non è un problema circoscritto al ragazzo in ritiro e, al massimo, ai suoi genitori. Il fenomeno in questione, anzi, ci coinvolge tutti e tutti abbiamo una fetta di corresponsabilità sia come cause che come potenziali promotori di soluzioni. A livello preventivo è quindi buona cosa lavorare tutti per la creazione di un contesto sociale positivo, ovvero: uno spazio domestico e scolastico dove i ragazzi possano sentirsi accolti, ascoltati e non giudicati.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Aprile 2022
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