La globalizzazione non è morta. Alla Liuc il Rapporto Istat sulla competitività

All'Ateneo di Castellanza è intervenuto anche il vicepresidente di Confindustria Giovanni Brugoli: "L’industria italiana è passata da una spesa energetica di 8 miliardi nel 2010 a 60 miliardi di euro del 2022"

Economia varie

«Leggere un rapporto come questo, anche per il sistema delle imprese, fa molto meglio che ascoltare decine di talk show». Il commento dell’economista Massimiliano Serati, docente dell’Università Liuc, al decimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’istat, mette il dito in una piaga tutta italiana, rappresentata dalla proliferazione di dati spesso isolati che alimentano una visione distorta e confusa del Paese. È la qualità del dato, delle inferenze e degli esercizi che vengono costruiti su di esso a fare la differenza e il rapporto Istat, in questo senso, è una vera garanzia.
La presentazione del rapporto all’ateneo di Castellanza, rappresenta «un’opportunità di lavorare insieme», ha detto il rettore Federico Visconti, e portare «più statistica nell’accademia», ha replicato il direttore generale dell’Istat Michele Camisasca.

CRESCITA STRUTTURALE O RIMBALZO?


Il Rapporto sulla competitività dei settori produttivi si sviluppa su tre piani: il primo fornisce un quadro della congiuntura internazionale e della recente evoluzione del ciclo in Europa e nel nostro Paese. Il secondo si focalizza sugli aspetti della competitività, nazionale e internazionale, dei comparti produttivi. Mentre il terzo indaga alcune dimensioni specifiche dell’impatto della recente sequenza di crisi.
La domanda preliminare che si è posto Gian Paolo Oneto, direttore centrale Istat per la valorizzazione delle statistiche economiche, è se siamo di fronte a una crescita strutturale o a un semplice rimbalzo. Una cosa è certa: la ripresa del 2021 nell’area euro è stata molto veloce con una decelerazione evidente nel quarto trimestre. Tra le principali economie europee, solo la Francia ha recuperato i livelli del Pil del quarto trimestre 2019, invece per quanto riguarda l’Italia  (+6,6% in media d’anno) si è quasi riportato sui livelli di fine 2019, con un gap dello 0,3% nell’ultimo trimestre.

La ripresa  ha visto una forte espansione degli investimenti: nel quarto trimestre 2021 del 12,7% rispetto a un anno prima e dell’11% rispetto a fine 2019. In crescita marcata il settore delle costruzioni (+16,6% ), macchine e attrezzature (+15,8%). Il 2021 è stato un anno d’oro anche per le esportazioni: la performance italiana in valore è stata migliore sia di quella dell’Uem (+18,2% contro il 17,1%), sia di Germania e Francia (rispettivamente 14,1% e 15,9%).

Nel 2021 le tensioni sui prezzi si sono trasferite a valle solo parzialmente, tanto che all’inizio del 2022 c’erano ancora segnali di fiducia dell’industria, con andamenti tipici di una fase espansiva e alcuni indicatori ai massimi storici. In particolare era al minimo la capacità produttiva in eccesso.
Nel 2021 il fatturato della manifattura è cresciuto del 22,6%, dopo il calo dell’11,4% registrato nel 2020. La ripresa è stata più vivace sul mercato interno (+24,3%) che su quelli esteri (+19,2%). Gli aumenti maggiori si sono avuti nella metallurgia (+59%), coke e raffinazione (+38%), legno (+35%). In recupero anche settori in forte sofferenza nel 2020, come il tessile, pelli (+22% entrambi), abbigliamento (+19%).

AUMENTANO I PROBLEMI  DI FORNITURA DALL’ESTERO

All’inizio del 2022 si sono fatti sentire in maniera più marcata tra le imprese i problemi sulle forniture dall’estero, mentre è sostanzialmente migliorato il quadro finanziario delle imprese. Tra i settori che hanno registrato migliori performance: la meccanica ha la maggiore quota di occupati nelle regioni settentrionali, i servizi di informazione e comunicazione in Piemonte, Lombardia, Trento e Lazio. Le costruzioni in tutte le regioni del Mezzogiorno. La quota di imprese a rischio “alto” o “medio-alto” si è ridotta da circa il 33% al 20%. Il miglioramento riguarda quasi tutte le regioni: solo in tre (Lazio, Molise e Calabria) tale quota supera il 25%.

EFFETTO PNRR

Il Rapporto contiene alcuni esercizi di simulazione tra cui uno sugli effetti del Pnrr. Per esempio, per quanto riguarda gli investimenti in capo al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, pari a 59,6 miliardi di euro, si stima in quasi 38 miliardi l’effetto sul valore aggiunto del sistema (il 2,4% del totale). Tra i settori maggiormente attivati troviamo le costruzioni (21,1% del valore aggiunto del settore), altri servizi di mercato (il 5,3%) e manifattura (2,3%). In particolare, si stimano 88 centesimi attivati per euro investito in ricerca e sviluppo, 79 centesimi nell’informatica.

LUOGHI COMUNI E GLOBALIZZAZIONE

La tavola rotonda, moderata da Rosalba Reggio del “Sole 24ore”, ha messo in luce alcuni punti importanti a partire dal destino della globalizzazione che, secondo Lucia Tajoli, professore del Politecnico di Milano, è tutt’altro che morta anche se andrebbe sicuramente ripensata.
Di fronte ai buoni dati i luoghi comuni si sciolgono come neve al sole, anche quelli relativi alla competitività. «Le imprese resilienti di successo durante il Covid – ha detto Serati – dimostrano che la competitività non è solo una questione di investimenti, magari mirati alla transizione digitale, o di produttività. L’esercizio contenuto nel rapporto relativo ai percorsi di attraversamento della crisi ci racconta una storia ben diversa e cioè che la competitività è un fenomeno multidimensionale, pertanto la strategia ottimale è di agire e di potenziare non una sola leva, ma tutte le leve a seconda della specificità dell’azienda, ricordando l’importanza del capitale umano nell’organizzazione  e nell’innovazione di processo e di prodotto».
Relativamente al quesito sulla natura di questa crescita e alle ricadute del Pnrr, Roberto Torrini della Banca d’Italia ha detto: «Il Pnrr deve portare a una trasformazione del Paese che a sua volta deve fare i conti con una questione demografica enorme (da anni continua la denatalità nel Paese ndr). All’Italia non serve un’impennata temporanea, ma una crescita strutturale».
In attesa di questa trasformazione tanto attesa rimane aperta la questione dei costi per l’energia. Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria, ha infatti ricordato che l’industria italiana è passata da una spesa energetica di 8 miliardi nel 2010 a 60 miliardi di euro nel 2022. «Da qui a qualche mese – ha detto l’imprenditore – la percentuale delle imprese che rallenterà la produzione a causa degli extracosti energetici passerà dal 22% al 50%».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 07 Aprile 2022
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