Campo dei Fiori, il monte ferito con gli alberi “sbagliati”

Il professor Cerabolini, docente di botanica all'Università dell'Insubria, spiega l'importanza del rispetto per la biodiversità di un luogo e i rischi legati alla piantumazione di alberi non locali

“Se ci fossero state delle conifere lo avrebbero chiamato Campo delle Pigne. Invece si chiama Campo dei Fiori, e un motivo ci sarà”.
Esordisce cosi il professor Bruno Cerabolini, ordinario di Botanica Ambientale all’Università dell’Insubria, quando introduce l’argomento sui danni climatici in cima alla montagna varesina nella settimana dedicata alle piante. « Settimana scorsa ho accompagnato un gruppo di persone lungo il percorso verso il Forte di Orino – spiega il docente – è un sentiero che ben dimostra i danni fatti dall’uragano Alex nell’ottobre del 2020. Quei danni, però, erano prevedibili, perché il bosco di abeti rossi era fragile».

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Il Campo dei Fiori devastato dal vento 4 di 15

I cambiamenti climatici in atto stanno evidenziando delle fragilità dell’ambiente create dall’uomo e dalla sua scarsa attenzione: « Gli abeti rossi non sono di questa zona. Vennero piantati per ripopolare aree che erano state deforestate in precedenza per lasciare spazio ai pascoli – racconta il professor Cerabolini – Nella scelta degli alberi, però, non si seguì un criterio ambientale. Poi, una volta definita la nuova fisionomia del monte, non si mise mano all’errore per non scontrarsi con un attaccamento popolare difficile da scalfire».

Gli abeti rossi, a cui siamo affezionati perché ci ricordano il Natale, cresciuti sul Campo dei Fiori alla lunga hanno mostrato i punti deboli: « queste conifere presentano un legno molto poroso – spiega il professore dell’Insubria – quando nevica, parti di questi arbusti si spezzano: sembra quasi un paradosso, un albero legato alla montagna così fragile sotto gli accumuli nevosi. Il fatto è che questi alberi sono molto compatti ad altezze superiori, in Valtellina si trovano abeti rossi dal tronco solido, denso, ricco di resina. Ed è proprio questa diversa densità del tronco all’origine dell’epidemia che ha devastato il patrimonio di abeti rossi nella nostra zona: il bostrico, un insetto, ha devastato i nostri boschi mentre non ha provocato danni in Valtellina. Successivamente, queste conifere sono state divorate dal fuoco del 2017 : così il danno alla stabilità e alla solidità dei nostri boschi è stata minata del tutto. L’uragano, quindi, nonostante sia stato un evento davvero eccezionale, ha avuto terreno facile per desertificare vaste aree della cima del parco, dove si trovano alberi completamente sradicati, con i piedistalli ribaltati».

Un disastro annunciato dunque? «Annunciato forse no perché i cambiamenti climatici stanno producendo fenomeni molti intensi. È certo, però, che una maggior tutela e cura del nostro patrimonio boschivo avrebbe evitato così tante devastazioni. Io ritengo che il Parco del Campo dei Fiori abbia agito un po’ con il freno tirato, nel timore di un giudizio popolare avverso. Pare che la popolazione fosse molto affezionata a queste conifere, nonostante fosse evidente che non si adattavano all’ambiente, crescevano con fusti molto alti e stretti, porosi… Si deve, quindi, iniziare a riflettere sulla qualità del patrimonio arboreo: investire su specie non locali, magari esotici, può sembrare più semplice ed economico. Ma alla lunga emergono i problemi legati alla biodiversità, alla fragilità del patrimonio stesso e anche alla diminuzione del valore economico del bosco».

Bruno Cerabolini

(Il professor Bruno Cerabolini)

Il riferimento non è casuale: « Nel Varesotto ci solo altri esempi di scelte arboree che si sono rivelate inadeguate. Pensiamo al Parco del Ticino dove è stato piantato il “Pinus rigida” o nordamericano, al posto del nostro pino silvestre, una scelta che allora era giustificata dalla sua classificazione di “legno pregiato”. Peccato che, crescendo nelle nostre zone, quell’albero abbia evidenziato limiti e problemi e il suo legno abbia perso valore. E che dire del ciliegio tardivo che si vede nei dintorni di Busto o Gallarate? Anche in questo caso, si pensava a un investimento proficuo che si è rivelato un flop a causa del diverso contesto ambientale. E tutto a scapito di specie che, invece, sono proprie del Varesotto: querce, roveri, noccioli. Sono proprio queste piante che hanno retto con maggior forza gli impatti dell’uragano o delle specie infestanti».

Un albero non è semplicemente un albero: « La tutela della biodiversità è importante e va rispettata – conclude il docente – I cambiamenti sono in atto, è evidente a tutti, ma si può provare a contrastarli con scelte più oculate e consapevoli, rispettose di un territorio. Viviamo in spazi fortemente antropizzati, pensare che il ripopolamento dei boschi possa contrastare l’inquinamento è da ingenui. Però è un passo, che potrebbe anche rivelare qualcosa di inaspettato. Purché non si lasci nulla al caso».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 19 Maggio 2022
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Commenti

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  1. carlo_colombo
    Scritto da carlo_colombo

    Dall’articolo abbiamo capito che gli alberi a suo tempo messi a dimora non erano adatti al tipo di posizione e terreno ma ora cosa consigliano di mettere a dimora gli esperti in modo che la montagna si ripopoli come si deve?

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