I sacrifici, la fuga, i complimenti, le scarpe diverse. Alessandro Covi rivive la sua impresa al Giro d’Italia
Intervista al "Puma di Taino", eroe del tappone dolomitico sulla Marmolada. «Mancavo da casa dal 4 aprile ma ne è valsa la pena. Per vincere la tappa ho imparato la lezione dello Zoncolan 2021. A fine giugno stacco, ma poi sogno la Tre Valli Varesine»
«All’arrivo del Giro dell’Appennino del 2 giugno sono stato avvicinato da uno spettatore. Mi ha confessato che durante la tappa della Marmolada si è emozionato tanto, come non gli succedeva – nel guardare il ciclismo – dai tempi delle grandi vittorie di Damiano Cunego. Cunego era il mio idolo, ero suo tifoso sfegatato, e sentire parole del genere mi danno un piacere e una sorpresa enormi e mi fanno capire quando sia stato giusto fare così tanti sacrifici per preparare al meglio il Giro d’Italia». A una settimana di distanza dalla sua impresa sul passo Fedaia, Alessandro Covi ha risistemato pensieri ed emozioni, sciolto la gamba con la partecipazione alla corsa genovese (10° all’arrivo e il premio per il Challenge Liguria) e riaperto il calendario per pianificare i prossimi impegni.
Il “Puma di Taino”, 23 anni, alla seconda grande corsa a tappe della carriera, si è consacrato tra i migliori giovani italiani in circolazione con il trionfo nel tappone dolomitico pur non essendo uno scalatore né un uomo di classifica. Un’impresa che ha preso forma un anno fa sullo Zoncolan quando fu terzo («ma quell’esperienza mi ha insegnato a gestire il finale di una tappa del genere») e che è arrivata dopo il ritiro dal Giro di Joao Almeida, capitano della UAE Team Emirates fermato dal covid quando era quarto in classifica. (foto Giro d’Italia/FB)
Alessandro, fino a quel momento tu avevi lavorato a fondo per Almeida. Cosa ti ha detto quando hai centrato l’impresa sulla Marmolada?
«Già durante la fuga, Joao ha scritto un tweet di incoraggiamento che – letto dopo – mi ha fatto molto piacere. E dopo la gara mi ha fatto i complimenti: io sono stato felice di lavorare per lui, lui è stato contento della mia vittoria quel giorno. Abbiamo un bel rapporto e poi io sono uno leale. Se mi viene detto di aiutare la squadra lo faccio senza esitazioni».
Cosa le ha lasciato questo Giro al di là della – straordinaria – tappa vinta?
«Ricordi bellissimi, naturalmente, e tanta consapevolezza in più su una serie di cose. Soprattutto la certezza che i sacrifici fatti in preparazione al Giro sono stati premiati. Non tornavo a casa dal 4 di aprile: ho corso nei Paesi Baschi e nel Brabante e poi sono andato in altura per allenarmi apposta per la corsa rosa. Andavo già bene prima, ero abbastanza in forma e non è stato semplice fare quella scelta, ma ne è valsa la pena».
Torniamo alla penultima tappa. In fuga con lei c’era Davide Formolo, suo compagno di squadra. È vero che quando ha deciso di scattare le ha gridato “Dove vuoi andare?”. Però poi è stato decisivo nello stoppare gli inseguitori.
«Non è avvenuto quando sono scattato, perché a quel punto avevo già avvisato sia lui sia l’ammiraglia, bensì prima. Davide mi aveva detto di aspettare perché Ballerini stava tirando e ci avrebbe portati ai piedi della salita. Io però non sono uno scalatore e conoscevo bene il Fedaia-Marmolada: se fossimo arrivati là tutti insieme non avrei avuto speranze perché con noi c’erano corridori come Ciccone, Kamna e Novak. Dovevo provarci prima e così ho fatto, ed è vero che lui è stato bravissimo a chiudere sui controscatti e a rompere i cambi, aiutandomi a guadagnare vantaggio».
Novak poi ha iniziato a rimontare: davanti alla tv abbiamo sudato freddo quando il distacco è calato a soli 29″.
«Penso di essere stato bravo a gestirmi. Come ho detto, conoscevo la salita perché l’ho affrontata al Giro U23, sapevo che era molto dura e che avrei dovuto guadagnare tanto in discesa così, anche se gli inseguitori avessero avuto più velocità di me su quelle rampe, non sarebbe bastata a colmare il divario. Ho speso tanto per andare forte nella discesa, conoscevo i miei parametri ed è stato l’opposto dello Zoncolan 2021. Lì sono salito più forte dei primi ma per lo sforzo a un certo punto ho dovuto rallentare, qui ho giocato dall’altra parte della barricata».
Covi premiato dal sindaco di Taino, Stefano Ghiringhelli, al ritorno dal Giro d’ItaliaLe due vittorie colte in Spagna nella prima parte della stagione le sono servite?
«Sono state utili per sbloccarmi perché tra i professionisti non avevo ancora vinto, però sono state situazioni molto diverse rispetto da una tappa al Giro sulla Marmolada. A prescindere da quello che è avvenuto in Spagna, questo era il primo obiettivo e avrei comunque lottato al massimo a prescindere dai precedenti».
Crede di poter diventare, nei prossimi anni, un corridore da classifica generale e non più, non solo, un cacciatore di tappe?
«Ora come ora non penso di poter fare classifica né in un grande giro e forse neppure in un tour di minori dimensioni. Ho corso poche classiche del World Tour ma credo di essere più preparato per le corse di un giorno; fare classifica al Giro è molto impegnativo sia dal lato mentale sia da quello fisico e al momento non so se ho la testa adatta. È vero, tra gli under ho fatto risultati anche sotto quel profilo ma sia al primo Giro sia al secondo mi ci sono trovato un po’ per caso e un po’ per necessità, cercando di mantenere ogni volta la miglior posizione possibile».
Ora il programma dice “Giro di Svizzera”: ha già qualche obiettivo definito?
«Spero di avere lo spazio per puntare a qualche tappa: vincere una frazione al Tour de Suisse sarebbe una grande soddisfazione perché si tratta di una corsa importante e molto ben partecipata. C’è anche una giornata in Canton Ticino con arrivo a Novazzano: il percorso sembra abbastanza adatto alle mie qualità anche se devo ancora studiarlo nei dettagli e di certo ci saranno un po’ di tifosi del club “Puma di Taino” oltre ai miei genitori. Certo, è in una settimana lavorativa (giovedì 16 ndr) ma qualcuno arriverà a sostenermi».
La prima vittoria da “pro” del Puma, nella Vuelta MurciaInvece, per la seconda parte di stagione, c’è una giornata che attende in modo particolare?
«Cominciamo con il dire che staccherò dopo il campionato italiano e per un mesetto dovrò essere molto intelligente, staccando del tutto e lasciando perdere la bici per un po’ di tempo. Devo riposare davvero, gli scorsi mesi sono stati belli ma sfiancanti. Poi ripartirò e non faccio mistero di amare una corsa in particolare, la “nostra” Tre Valli Varesine, una delle mie preferite. Se starò bene e avrò la condizione giusta, sarà un grande obiettivo».
Sveliamo una curiosità: da cosa è nato il vezzo di avere una scarpa bianca e una nera?
«Una pura casualità, anche perché non sono uno troppo attento ai particolari. Al termine della preparazione invernale, appena prima dell’esordio, ho rotto una delle scarpe con cui mi ero allenato fino a quel momento e con cui mi trovavo bene. Mi spiaceva cambiarle entrambe e allora ho tenuto quella “sana”, bianca, ma mi sono accorto che il paio di scorta era nero: allora ho deciso di proseguire così, con le scarpe diverse ed è diventata una specie di portafortuna. Anche il mio sponsor, Fizik, lo sa e mi ha rifornito di conseguenza: per un po’ andrò avanti così».
Chiudiamo con un’ultima domanda sulla sua vittoria di tappa al Giro. C’è stato un complimento, magari inatteso, che le ha fatto più piacere di altri?
«No, ne ho ricevuti una marea e sono stati tutti belli, piacevoli e importanti allo stesso modo. Mi ha fatto piacere leggere tutti i messaggi che mi sono arrivati, anche da chi non conosco, anche da chi non segue abitualmente il ciclismo. Sapere di aver fatto felici e di avere emozionato tante persone è davvero una sensazione molto bella, da custodire».
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