L’imputato non trova associazioni per la messa alla prova, il giudice di Varese concede una proroga

Il difensore ha proposto alla base della sua richiesta per un cittadino accusato di guida in stato di ebbrezza una recente pronuncia della Cassazione

tribunale varese

La Cassazione dice che non è corretto imporre la rinuncia alla messa alla prova – che consiste nella sospensione del procedimento penale nella fase decisoria di primo grado per reati di minore allarme sociale – perché l’imputato non riesce a trovare soggetto o ente presso il quale svolgere il programma di trattamento che di solito consiste in un lavoro di pubblica utilità. E il giudice di Varese Alessandra Sagone, al rito monocratico, ha oggi accolto la richiesta di sospendere la sospensiva della messa alla prova richiesta dal difensore di uno straniero fermato nel 2018 dalle forze dell’ordine e accusato di essersi messo alla guida in stato di ebbrezza.

L’istituto della messa alla prova è mutuato per i maggiori di 18 anni dal codice di rito minorile e consiste in una attività obbligatoria e gratuita, in favore della collettività, che può essere svolta presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Il lavoro di pubblica utilità si può svolgere per un minimo di 10 giorni, anche non continuativi e non può superare le otto ore giornaliere.

«Prassi vuole che l’individuazione della realtà presso la quale svolgere la messa alla prova spetti all’imputato, fatto che, vuoi per la presenza di uno straniero che ha difficoltà a muoversi fra leggi e regole del nostro Paese, vuoi per il particolare periodo legato a Covid e disagi legati alla pandemia, ha reso difficile trovare l’ente per la messa alla prova», ha spiegato l’avvocato Paolo Bossi, della difesa, a margine dell’udienza di questa mattina alla presenza della pm Lucilla Gagliardi, che si è associata alla richiesta del difensore. Alla fine il giudice ha concesso una proroga per l’individuazione della realtà dove applicare il periodo di messa alla prova e le parti si sono aggiornate all’udienza del prossimo autunno con l’impegno di trovare una soluzione all’impasse.

Il problema è piuttosto complesso ma molto attuale per via della grande mole di richieste esistenti. Si tratta della ripartizione delle competenze che, secondo la tesi difensiva, non può venir fatta gravare sul privato e dovrebbe spettare allo stato: «Non può venir negato un diritto perché lo stesso imputato non riesce a trovare l’ente presso il quale effettuare la messa alla prova», ha specificato l’avvocato Bossi a margine dell’udienza, «dovrebbe essere lo Stato ad aver l’onere di trovare la soluzione».

La messa alla prova è un istituto che può essere proposto e accolto una sola volta nella vita di un cittadino e presuppone l’esigenza di evitare il più possibile il carcere e puntare ad una “correzione“ dell’atteggiamento deviante attraverso un percorso. È argomento fonte di dibattito proprio in questo momento, vista anche la recente sentenza della suprema magistratura richiamata nel corso del giudizio. Dopo la richiesta al giudice, il progetto di recupero dell’imputato viene inviata all’“Uepe“, l’ufficio di esecuzione penale esterna che definisce il programma legato alle attività da svolgere per il trattamento educativo

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Pubblicato il 06 Settembre 2022
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