Liz Truss, zero tempo per pensare e imparare. La lezione per il nuovo governo italiano

La durata in carica dei leader è un fattore sottostimato. Il tempo permette di imparare, migliorare e poi mettere in atto una strategia a lungo termine

Varie Estero

C’è Elisabetta ed Elisabetta. Una ha regnato per 70 anni e 214 giorni, l’altra è stata prima ministra per 45 giorni, ovvero meno dello 0,2 per cento della longevità della prima. Dal 23 giugno 2016, quando ha votato a favore della Brexit, il Regno Unito ha avuto cinque diversi primi ministri, esattamente come la Francia e l’Italia (compresa Giorgia Meloni), in confronto Germania e Spagna ne hanno avuti solo due, l’Olanda e il Portogallo uno. (foto: il numero 10 di Downing Street è la residenza del primo ministro inglese)

In sei settimane, Liz Truss ha dimostrato di essere molto meno solida del reticolo di metallo che sostiene i cavi elettrici (truss significa traliccio). Prima, ha varato un pacchetto di misure per ridurre la pressione fiscale e bloccare l’aumento dei costi energetici, con la previsione di un aumento dell’indebitamento per coprire il divario di entrate. Poi, quando i mercati hanno fatto crollare la sterlina, raddoppiato lo spread sul debito pubblico e richiesto un intervento massiccio della Banca d’Inghilterra per stabilizzare il mercato finanziario, ha liquidato Kwasi Kwarteng, il Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del nostro ministro dell’Economia), senza darne spiegazione e sostituendolo con Jeremy Hunt, che ha ritirato tutte le misure proposte da Kwarteng. Nell’udienza parlamentare per dare spiegazioni in merito alla sostituzione, si è fatta sostituire per impossibilità a partecipare per gravi ragioni e poi è arrivata durante la sessione, rimanendo silente. Il suo gabinetto ha avuto altre perdite. Ha dovuto licenziare Suella Braverman, il ministro degli interni, che aveva condiviso un documento segreto del governo su un telefono privato. Ha licenziato Conor Burns, il ministro del commercio, per molestie sessuali durante un evento di partito. Infine, ha cercato di vincere un voto in parlamento per rimuovere le limitazioni alla fratturazione idraulica del sottosuolo a fini di sfruttamento petrolifero (una pratica ritenuta troppo invasiva), imponendo quasi con la forza ai propri parlamentari di votare a favore.

È evidente che le ragioni della crisi in cui versa il Regno di Carlo III, sono molte, complesse e interdipendenti: Covid, guerra, Brexit, eccessiva dipendenza dai combustibili fossili, errori di leadership. Ma c’è un fattore che a volte è sottostimato: la durata in carica dei leader. Nell’ultimo trimestre finanziario, l’economia del Regno Unito è stata gestita da quattro persone diverse. Rishi Sunak ha lasciato il governo Johnson per essere sostituito, brevemente, da Nadhim Zahawi, cui sono succeduti Kwasi Kwarteng e Jeremy Hunt. Quattro capi in quattro mesi. Anche se fossero stati dei geni, chiaramente nessuno di loro avrebbe potuto fare un buon lavoro. La durata in carica non è sufficiente a governare bene, ma costituisce un fattore determinante perché permette di imparare, migliorare e poi mettere in atto una strategia a lungo termine. Si può sostenere che la durata in carica e la capacità non sono indipendenti l’uno dall’altro, ovviamente. Ma questo non sminuisce l’importanza del fattore tempo. Soprattutto per quei leader con un talento medio ma con la capacità di imparare, che possono diventare molto bravi nel loro lavoro in un tempo ragionevole. A seconda del livello e del tipo di ruolo la curva di apprendimento per un nuovo incarico varia. Di solito ci vogliono da 2 a 3 settimane per il primo orientamento, 2 o 3 mesi per iniziare ad operare efficacemente, avendo compreso le dinamiche relazionali; 6-12 mesi per arrivare alla piena maturazione.

Se consideriamo il mondo del business, i ceo delle imprese globali con le migliori prestazioni hanno in media una longevità di 15 anni, cioè più che doppia rispetto alla media dei propri pari nelle quotate. Per avere successo, sia i politici che i ceo hanno bisogno di tempo per imparare cosa funziona e cosa no. Purtroppo, la visibilità dei risultati a breve termine, con indicatori che spesso non sono affatto o poco correlati con il reale impatto del nuovo leader, rendono la gestione delle aspettative difficile. Ricordate Mario Draghi all’inizio? Disse io parlo dopo aver raggiunto i risultati. Un raro esempio di capacità di andare oltre le pressioni mediatiche e di facciata. Un esempio eclatante di queste dinamiche è l’avvicendamento degli allenatori di calcio. In Italia la permanenza media degli allenatori del campionato di serie A è di 384 giorni, poco più di un anno, il tempo più breve di tutti i 5 campionati europei maggiori (Fonte: Osservatorio Calcistico CIES 2022). Alla faccia dei progetti, della pianificazione e delle belle parole che si spendono al momento dell’ingaggio degli allenatori.

C’è un fattore ulteriore che, combinato con la breve durata, moltiplica i danni: la mancanza di tempo per pensare. Siamo tutti così occupati. Abbiamo così tanto da fare. Non ci sono abbastanza ore nel corso della giornata. E tutto ciò non tiene nemmeno in considerazione la crisi sanitaria che abbiamo vissuto negli ultimi due e più anni e lo stress, la preoccupazione e, in alcuni casi, il dolore che hanno offuscato il nostro pensiero. Aggiungiamo un’economia fragile e un pensiero profondo e ponderato diventa quasi… impensabile. Eppure, oggi, in un momento della storia umana in cui affrontiamo sfide esistenziali – come pianeta; come specie; come persone che cercano solo di fare la cosa giusta per noi stessi, le nostre famiglie, i nostri datori di lavoro e le nostre comunità – il pensiero, profondo, complesso, espansivo, sensibile, perspicace, fantasioso, innovativo, compassionevole, intenzionale, inclusivo, propositivo – non è mai stato così fondamentale per il nostro futuro. Non è che, come individui, non stiamo pensando, ma la verità è che non c’è abbastanza pensiero critico e profondo. Il mondo si sta muovendo così velocemente, il cambiamento sta avvenendo intorno a noi così velocemente, che può essere difficile trovare un ancoraggio nella tempesta, quello che ci rafforzi, ci faccia sentire al sicuro e permetta alle nostre menti di andare oltre il pensiero veloce e multitasking. Le notizie negative vivono nella nostra testa, occupano spazio quando non ne siamo nemmeno consapevoli e ostacolano la nostra capacità di pensare in modo efficace.

Secondo la ricerca Think Report di Lenovo, il produttore di computer, le persone intervistate in Germania, Stati Uniti, Giappone e Regno Unito, dicono di perdere mediamente da 2 a 3 ore di tempo al giorno a causa di un modo di pensare di bassa qualità. Solo il 34% trascorre la maggior parte del proprio tempo di riflessione su un pensiero chiaro, profondo e produttivo.

Che cosa costituisce un pensare di qualità? Ci sono 3 dimensioni che emergono dalla ricerca. Il pensiero critico: la capacità di valutare i fatti a partire da opinioni e informazioni anche inattendibili e spesso false, al fine di formulare un giudizio o prendere una decisione informata. Il pensiero collaborativo: la capacità di coinvolgere e costruire sulle idee degli altri (ad es. brainstorming, gruppi di discussione, ecc.). Il pensiero riflessivo e introspettivo, in cui si è consapevoli e si valuta se stessi e le proprie vite, nonché in che modo le proprie azioni possono avere un impatto sugli altri. Questo tipo di pensiero porta a prendere decisioni migliori e migliora il benessere mentale. Accedere ad un pensiero migliore, apre nuove possibilità, dà significato e mitiga le sfide della vita, aiuta a raggiungere i propri obiettivi, a pianificare un futuro migliore per se stessi e porta a maggiore equilibrio, esplorazione, concentrazione e positività.

Per abilitarlo, ci sono gli approcci collaudati, come ad esempio stare in luoghi familiari, tranquilli e confortevoli; ritagliarsi alcuni momenti protetti della giornata; ricordare a sé stessi di stare seduti o in piedi con una postura centrata (grounding); aggiungere piante agli spazi di lavoro e di vita; in generale, tutto quello che ci porta pace. Infine, c’è la sfida della tecnologia. Dobbiamo imparare a usare la tecnologia in modo più mirato, più consapevole per interagire con gli altri e stabilire dei limiti al suo utilizzo.

È stata la nostra capacità di pensare, e pensare a lungo e intensamente, che ha guidato il progresso nel corso della storia umana. Ci ha motivato a superare le sfide da quelle banali alle più profonde; ci ha permesso di fare di più e di fare meglio per noi stessi e per gli altri; ci ha aiutato a vedere il mondo non solo com’è ma come potrebbe essere; ci ha permesso di stabilire connessioni tra i nostri pensieri, comportamenti e risultati; ci ha dato il potere di agire con coraggio, decisione e convinzione; e ci ha ispirato a essere più gentili quando possiamo, ma feroci quando dobbiamo esserlo. Tutto ciò che è buono dell’umanità è perché non solo abbiamo pensato buoni pensieri, ma ci siamo presi il tempo per valutare le loro implicazioni, le loro promesse e i loro risultati.

Che la lezione della giovane ministra archiviata in un lampo, sia di insegnamento alla nuova compagine di governo italiano, e a tutti noi. “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi”, Carl Gustav Jung.

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Pubblicato il 23 Ottobre 2022
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