Da Sesto Calende al Golfo del Messico: “Vi racconto l’uragano Ian e come la Florida ci ha protetti”

La nostra lettrice Barbara Gorlini nei giorni scorsi si trovava negli Stati Uniti, proprio mentre passava l'uragano Ian, uno dei più forti che abbiano colpito la zona negli ultimi dieci anni. Ecco il suo racconto

Uragano Ian - foto di Barbara Gorlini

Barbara Gorlini è una nostra lettrice di Sesto Calende che risiede spesso in Florida, dove lavora il marito. Nei giorni scorsi si trovava negli Stati Uniti, proprio mentre passava l’uragano Ian, uno dei più forti che abbiano colpito la zona negli ultimi dieci anni. Ecco il suo racconto:

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L’uragano Ian in Florida 4 di 14

Risiedo a Sesto Calende e da qualche tempo mi sposto regolarmente a Sarasota, in Florida, dove mio marito lavora. Si tratta di una località molto tranquilla che si affaccia sul Golfo del Messico, sulla costa occidentale della penisola, nota per non essere mai stata interessata da uragani di grave intensità e quindi particolarmente sicura.

Secondo una famosa leggenda, che i locali raccontano ai turisti, Sarasota è protetta dagli spiriti della tribù degli indiani Seminole. Il mito narra che la bellissima figlia del conquistatore spagnolo Hernando De Soto, Sara, guarì da una rara malattia il capo della tribù Chichi Okobee, con il suo amore. Sfortunatamente, Sara si ammalò a sua volta e morì. Chichi, addolorato, supplicò De Soto di lasciare che lui e la sua tribù seppellissero la giovane nella baia di Sarasota. Cento guerrieri, a bordo delle proprie imbarcazioni, scortarono le sue spoglie in mare, poi fecero affondare le proprie canoe per giacere con lei negli abissi e proteggerla per sempre. Da quel momento Sarasota, che prende appunto il nome da Sara De Soto, non ha mai registrato, nei secoli, eventi di portata catastrofica e viene considerata una delle baie più calme della Florida.

Attorno al 20 settembre scorso, con oltre una settimana di anticipo, tutti i mezzi di informazione locali e i canali di previsioni meteo hanno cominciato ad annunciare un probabile uragano in Florida, del quale non si conosceva ancora con precisione la reale portata. Questi fenomeni atmosferici sono catalogati in una scala di potenza che va da 1 a 5, sin dall’inizio si prevedeva che Ian – questo il nome proprio dato dell’uragano – avrebbe raggiunto il quarto grado, straordinariamente violento per questa zona.

La città ha cominciato a prepararsi. I residenti si procuravano gli “hurricane shutter”, le protezioni che si pongono a sbarramento delle finestre, che qui sono generalmente prive di persiane, e che possono essere di legno o di metallo. È stato indicato di avere a disposizione acqua in bottiglia e in qualunque contenitore disponibile (anche riempiendo la vasca da bagno) e cibi conservati, vestiti che riparassero dalla pioggia, guanti e stivali di gomma, oltre a kit di primo soccorso. Si cercavano generatori di corrente e power bank, molto presto è stato anche più difficile trovare del carburante disponibile nelle stazioni di servizio, anche se non è andato mai esaurito.

Il 26 settembre sono iniziate le prime evacuazioni a circa 90 km più a nord rispetto a noi, nella città di Tampa, che si andava delineando come il possibile punto di impatto. Ad ogni modo, l’uragano non ha mai smesso di deviare il proprio corso, virando verso sud-est e spostando il punto di impatto sempre più vicino alla nostra città.

Il giorno successivo, martedì 27, siamo stati notificati delle prime evacuazioni sulla fascia costiera di Sarasota tramite il Text Alert System, un sistema che automaticamente rileva tutti i telefoni cellulari e altri dispositivi di comunicazione presenti in una specifica zona e invia avvisi di emergenza in due lingue, inglese e spagnolo.

Con il passare delle ore, la preoccupazione è aumentata, sono stati chiusi i ponti di accesso alle Keys, le due isole di fronte alla costa dove si trovano le bellissime spiagge di Siesta e Lido, che sono state quindi isolate dalla città.

La mattina successiva, il 28 settembre, ci siamo svegliati all’alba, pioveva e si stava alzando il vento. Secondo le ultime notizie, la città di Sarasota sarebbe stata colpita dall’uragano di lì a qualche ora, con un innalzamento previsto delle maree di circa 15 piedi (oltre 4 metri) e venti con una potenza fino a 240 km orari. Si parlava di un impatto distruttivo che non avrebbe lasciato scampo.

A fronte di questo, abbiamo deciso di allontanarci in auto, prima che tutte le vie di fuga diventassero inaccessibili o che fosse troppo pericoloso affrontare il viaggio, e abbiamo guidato per 800 km verso nord e raggiunto Atlanta, nello stato della Georgia, dove la nostra amica Gulbin ci ha aperto le porte della sua casa.

Alle 4 di pomeriggio dello stesso giorno, Ian ha toccato terra a circa 120 km più a sud di Sarasota, con venti fino a 200 km orari, travolgendo le cittadine di Fort Myers e Naples. Le immagini degli allagamenti, che abbiamo seguito a distanza, sono state agghiaccianti.

Siamo rientrati a casa dopo quattro giorni, varcando nuovamente il confine della Florida e incontrando sul nostro percorso altre persone e famiglie che, come noi, si dirigevano verso casa – numerose a bordo delle tipiche “motorhome”, i grandi camper americani – con la preoccupazione di verificare lo stato delle loro abitazioni. Abbiamo visto spostarsi verso sud numerosi mezzi attrezzati dei “contractor” (gli operatori edili), per la ricostruzione. Il nostro edificio è risultato, fortunatamente, quasi del tutto illeso. Una squadra di volontari era passata, la mattina successiva, a ripulire le aree esterne da piante abbattute e detriti.

Tirando le somme di questa esperienza, ciò che ci ha favorevolmente sorpresi è stata la rapidità e la precisione con il quale la Florida ha stilato e divulgato il proprio piano di emergenza, corredato di mappe che indicavano il livello di pericolo stimato nelle varie zone della città, i contatti utili, i beni di prima necessità da portare con sé allontanandosi dalle proprie abitazioni, e la lista di tutti gli edifici pubblici predisposti per l’accoglienza. Abbiamo apprezzato l’ordine, la calma e lo spirito di collaborazione con il quale i residenti hanno affrontato la situazione e seguito le indicazioni che venivano loro impartite.

Nel nostro quartiere, vicino al centro della città, è stato allestito un campo dove, inizialmente, sono stati depositati dei tir di sabbia con la quale, i cittadini, muniti di pala, riempivano dei sacchi di tela o altri contenitori per zavorrare auto, imbarcazioni, e qualunque altro oggetto potesse essere portato via dal vento, e creavano barriere, a protezione dall’acqua, davanti a porte e finestre.

Successivamente, in brevissimo tempo, sono state predisposte centinaia di case mobili, servizi igienici, generatori, cisterne di acqua potabile e di carburante, e sono stati mobilitati da tutto il paese 42.000 operatori del soccorso elettrico con mezzi dotati di cestelli elevatori, che sono stati parcheggiati con estrema precisione, pronti per intervenire.

Il pericolo principale era rappresentato dalle forti piogge, che generano inondazioni, unitamente alla furia del vento, che travolge piante e edifici, abbattendo i pali elettrici aerei che, a contatto con l’acqua e la vegetazione, potevano causare fulminazioni o incendi.

Questa non è la prima emergenza che, come viaggiatrice, in questo particolare triennio, mi sono trovata ad affrontare, ma è stata la prima nella quale mi sono sentita parte di un “sistema” efficace di protezione, dove ognuno operava a vantaggio di tutti.

Durante la pandemia sono stata trattenuta per alcuni mesi in Spagna, insieme ad altri 2000 italiani, a seguito della chiusura delle frontiere e la cancellazione di tutti i voli aerei, e ho toccato con mano la totale improvvisazione con la quale sono stati gestiti i ripatri, le corse per accaparrarsi gli ultimi biglietti rimasti senza alcun tipo di ordine o logica, a causa della mancanza di piani di emergenza nazionali e comunitari e una comunicazione poco chiara, se non del tutto assente. Quello che invece ho visto qui negli Stati Uniti, in questi giorni, è stato per me esemplare.

Le istituzioni americane si sono dimostrate estremamente organizzate, pragmatiche ed efficienti e hanno saputo comunicare in maniera efficace durante tutta l’emergenza, riducendo in maniera sostanziale le perdite umane, che non sono sicuramente state proporzionali alla violenza con la quale la tempesta si è abbattuta sulla penisola. La popolazione ha collaborato al meglio, senza particolari episodi di panico e senza “corse” incontrollate per i rifornimenti. Tutto ha funzionato al meglio.

Quindi, a chi ora mi chiede se, dopo questo “spavento”, mi sposterò dalla Florida o dagli Stati Uniti, rispondo che, al contrario, sono ancora più desiderosa di conoscere meglio questo paese e apprendere da questa comunità che si è dimostrata molto coraggiosa, unita e forte.

Allo stesso tempo, spero che le istituzioni europee non sottovalutino le calamità recenti che si sono abbattute sul nostro continente, come l’uragano atlantico Danielle che lo scorso settembre ha avuto conseguenze fino in Portogallo, provocando smottamenti, frane e alluvioni. Il clima sta cambiando e nessuno è più al sicuro da eventi di tale portata, neppure noi italiani. Occorre prepararsi al meglio e in largo anticipo.

Barbara Gorlini

Pubblicato il 05 Ottobre 2022
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