Il 4 novembre a Brissago e il rispetto per il monumento usato come latrina

Nelle cerimonie del piccolo paese il ricordo di chi ha dato la vita per l'Italia. E un richiamo per il rispetto della lapide lungo la ciclabile del Margorabbia

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Nomi e riflessioni in ricordo di chi ha dato la vita per l’Italia, tra la Prima Guerra Mondiale e la Resistenza. E un appello a un maggior rispetto dei monumenti da parte di tutti. Riceviamo e pubblichiamo

La cerimonia al monumento dei caduti poco discosto dalla chiesa dedicata a San Giorgio in Brissago, vede sempre la partecipazione dei fedeli della messa domenicale, che si schierano ad anfiteatro nel “piccol sagrato” per onorare la memoria che riaffiora da quei nomi incisi su un’unica targa.
La posa della corona d’alloro vuole essere un tangibile atto di eterna riconoscenza.
Il discorso commemorativo è toccato al nuovo Sindaco Maurizio Badiali. Accanto a lui il Luogotenente Calabrese Tindaro, a rappresentare l’Arma dei Carabinieri della Stazione di Luino. Immancabili gli alpini e la Protezione Civile.

E’ un dovere sacro, che sottintende rispetto e devozione. Appartiene ad ogni popolo civile.
Un nome tra i caduti mi ha sempre colpito: Ten. Coll. Giorgetti, Cav. Gian Federico, morto il 7 luglio 1916. Ferito in combattimento a Cividale, viene ricoverato nell’ospedale militare di Germignaga. Forse per questo il suo nominativo compare anche sul monumento dei caduti di questo paese.
Nel 1922 Brissago sul “Viale delle Rimembranze” onora ogni caduto della Grande Guerra con un alberello di pseudoacacia. Col tempo sono state sostituite dai tigli e ora compaiono i cipressi.
La moglie di Gian Federico con la piccola figlia pianta a ricordo del marito e del padre una pseudoacacia nel giardino prospiciente la loro abitazione, denominata “il Palazzo”. Nel 1923 questa donna vende l’immobile. Quell’albero è rimasto, secco e scheletrito in inverno, rigoglioso e con un tripudio di verde nella bella stagione – quasi non te lo aspetti, vista la longevità – a testimoniare quell’amore che, credo, rimanga.

Sul monumento antistante la chiesa compare un altro nome: Giorgetti Paolo. Soldato 111° fanteria, nato il 1 novembre 1899. Disperso il 29 ottobre 1918 sul Piave in combattimento. Uno dei “ragazzi” del ‘99 chiamati ad arginare l’avanzata austro-ungarica e tedesca dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre 1917. Li hanno fermati sul Piave e c’è voluto quell’entusiasmo giovanile! Giorgetti Paolo, alla chiamata, non aveva 18 anni. Muore pochi giorni prima del compleanno dei 19. Impossibile non ricordare questo triste destino!

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Un piccolo gruppo di cittadini sosta in seguito al cimitero di Brissago per deporre la corona di alloro davanti alla lapide che ricorda i cinque fucilati della Gera di Voldomino. Tra i nomi leggo quello di Flavio Fornara. Era nato ad Omegna il 24 gennaio 1921. Abitava a Luino. E’ ucciso il 7 ottobre ‘44. Prima dell’esecuzione testimoni ancora oggi in vita l’hanno visto passare tra le vie del paese. Era sorretto da due compagni. Il giorno prima un colpo di rivoltella gli aveva frantumato una spalla. Forse fuoco amico.
Nell’ultima cerimonia celebrativa del 7 ottobre ‘44 a Brissago un bis-nipote, presente con gli alunni della Scuola Media di Mesenzana, piangeva alla lettura di quel nome.

Il mesto pellegrinaggio della deposizione delle corone di alloro continua col monumento di Roggiano. Altri nomi, altre vite spezzate con il dolore che viene testimoniato.

Si chiude quel cammino con i caduti del San Martino ritrovati in una fossa comune lungo il Margorabbia ai primi di aprile ‘44. Sono otto. Tra loro compaiono tre N.N. Ancora oggi non siamo in grado di dare loro un nome.
Il piccolo gruppo si scioglie. Mi attardo con il Luogotenente Calabrese Tindaro. E’ originario della zona di Messina… il cognome e il luogo di nascita mi ricordano la Magna Grecia… i valori che le civiltà del Mediterraneo ci hanno tramandato. Primo fra tutti il culto dei morti.

Un alpino si avvicina: «L’articolo di giornale dello scorso anno non è servito a nulla». Mi ricordo il titolo: “Deorum manium iura sancta sunto” – Tradotto liberamente: “Il rispetto dei morti deve essere ritenuto sacro!”
L’alpino si spiega: 1Quella terra del sacrario oggi non ha rispetto. Siamo scoraggiati. Vogliamo addirittura tagliare la siepe che la delimita. I frequentatori della pista ciclabile approfittano del luogo appartato per i loro bisogni. Immaginati cosa lasciano! Ci vuole il badile per pulire. E quando non ci saremo più noi alpini…»
Gli ho promesso questo nuovo articolo, ma credo non basterà. E’ una questione di educazione e di valori che vanno tramandati e perpetuati, ma fino a quando non entrano nel cuore non ci sarà soluzione.

Carlo Banfi

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 07 Novembre 2022
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