Quando raccontare il sociale trasforma la fragilità in forza: Glocal e le buone notizie

Il giornalismo non fa story telling, racconta storie nell'ottica di migliorare la società. Il dibattito sull'informazione sociale promosso in collaborazione con Csv Insubria

Generico 07 Nov 2022

Dagli inserti ai podcast, sempre di più il giornalismo si occupa di buone notizie. Un lavoro importante che si scopre “dialogando con il silenzio”, cioè superando il rumore di fondo della continua fruizione e produzione di contenuti per ritagliarsi il tempo necessario a riflettere e porsi domande, per tracciare limiti e confini di senso. 
Se n’è parlato sabato pomeriggio all’Infopoint della Camera di Commercio di Varese per il panel del Festival Glocal intitolato “Ti affido il racconto di una parte della mia vita. Usalo bene – Volontariato e persone nelle parole dei media”, promosso in collaborazione con Csv Insubria e introdotto da Katia Trinca Colonel (responsabile comunicazione del Csv Insubria).

«L’informazione sociale non è un’isola ma un settore capace di essere luce, anche per correggere le derive della cronaca – ha detto Chiara Giaccardi, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Cattolica di Milano, citando il libro Homus Deus di Yuval Noah Arari che formula i postulati di una nuova religione, il dataismo: «Inquietante, apocalittico ma anche molto vicino al mondo dell’informazione oggi».

Altra deriva citata da Giaccardi, quella della Ipercomunicazione o «Baccano comunicativo, in cui nessuno ascolta, ma ciascuno produce se stesso. Ma non sempre i fatti aiutano a capire la verità – avverte – Se un fatto ad esempio decontestualizzato o raccontato nel dettaglio trascurando altro di più importante distoglie in realtà l’attenzione. Non informa».

Infine la narrazione «ben diversa dallo story telling che è marketing della notizia – averte – che frammenta e non aiuta a centrare le questioni, ma la narrazione come dono di un’esperienza per chi non l’ha vissuta e allo stesso tempo una palestra etica in cui ci si prende una responsabilità per contribuire a migliorare il contesto in cui si vive. Come succede ad esempio raccontando il volontariato, per risvegliare il senso di fraternità di una comunità che condivide un destino. Non è informazione sul fatto che c’è anche del bene ma condividere esperienze reali, e quindi possibili, che riescono a tenere insieme ciò che sembra impossibile, individuando storie archetipe, esempi».

In questo lavoro, oltre alla scelta delle parole «che a differenza dei termini non hanno un significato univoco», ricorda Giaccardi, bisogna aver l’atteggiamento giusto, senza avere la pretesa di esaurire le storie, o di definirle completamente, consapevoli che non è possibile afferrare tutte le sfaccettature della realtà, né bisogna avere la pretesa di farlo. 

Di questo ha parlato Giulio Sensi, comunicatore sociale e formatore, partendo dalla propria esperienza: «Mi sono avvicinato ai giornali perché da ragazzo ero quello che portava nelle redazioni i comunicati di Rete Lilliput, la parte cattolica e pacifista del movimento No global, un movimento che aveva ragione, perché portava istanze di cui molti anni dopo la politica ha dovuto farsi carico, ma a me è stato chiesto di passare dall’essere quello convinto che portava un punto di vista all’essere il giornalista imparziale, quello che racconta i fatti sul giornale. E lì è emersa per me la questione dei limiti. E non è una questione banale».
«La deontologia secondo me è sopravvalutata – ha aggiunto – perché la regola oggettivizza e allo stesso tempo deresponsabilizza la scelta dei limiti del racconto».

Come si rispetta la fragilità delle persone che racconti e di quelle che vi si identificano? «Meno arroganza e più dubbio – dice Sensi – Ci viene chiesto di fare tanto in poco tempo e farsi una domanda in più spesso è percepito come una perdita di tempo. Ma per tracciare limiti e confini del racconto di una storia, bisogna farsi piccoli e avere curiosità».

«No ad atteggiamenti cinici ed egocentrici  quindi – spiega Sensi – questo impedirebbe di conoscere, oltre alla storia singola, anche il fenomeno generale e il contesto in cui è inserito. solo conoscendo contesto e fenomeno generale la storia può diventare esempio, archetipo, in cui potersi identificare per trasformare la fragilità in forza».

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Pubblicato il 12 Novembre 2022
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