“Ufficialmente dispersi”, i nostri nonni, ragazzi in Russia che non tornarono più a casa
Una fra le più dolorose pagine dell'ultima guerra raccontate con gli occhi di un giovane ufficiale che non si rassegna alla perdita dei suoi uomini. Il racconto dei luoghi tornati tristemente famigliari col conflitto in Ucraina
La ritirata di Russia è ancora oggi memoria intima degli italiani, storia di famiglia per tutte le regioni che diedero i soldati per la partecipazione italiana alla campagna di Russia (il “Csir“, Contingente italiano soldati in Russia, prima, e l’“Armir“, Armata italiana in Russia, poi) per seguire le scellerate visioni di conquista di Hitler che portarono migliaia e migliaia di cittadini italiani a morire e combattere per gli ideali sbagliati (si contano in questa campagna oltre 84 mila morti). Da Ovest a Est eravamo noi a invadere come oggi avviane in senso inverso, da Est verso Ovest per sublimare le manie e smanie di potere camuffate da ideali giusti.
Dunque è sul Don che si intrecciano passato e presente, cronaca e storia che transitano dai ricordi di un reduce come relitti affioranti nel mare della memoria, e che si palesano nel libro del giornalista e scrittore Pier Vittorio Buffa scritto qualche anno fa e oggi nuovamente pubblicato da Piemme con una copertina simbolo di quella tragedia che fu la Ritirata: quelle lunghe colonne di uomini ritratti nelle foto che anche oggi potrebbero avere solo due colori, il bianco della neve e il nero di divise lacere, scarpe di cartone, piedi verdi di cancrena.
Nero, come il colore della sofferenza.
Le pagine sono il salto in uno stato d’animo continuo e via via ossessivo di un uomo giovanissimo e poco più che ventenne – un bambino, diremmo oggi – messo alla guida di un plotone di fanteria col grado di Sottotenente e alla prova del fuoco nella guerra di posizione appunto sulle rive del grande fiume e successivamente di «resistenza», corrente continua, necessità di sopravvivenza, di riportare a casa i suoi soldati, quel «tornare a baita» (leggi Mario Rigoni Stern) che svolta in toni distopici nel tempo di una «battaglia» introvabile sui libri di storia (22 gennaio 1943). È l’arrivo in un villaggio non con l’idea di conquistare ma prenderlo voleva dire passare una notte al caldo, magari trovarsi in un’alba in meno da lì alla tradotta che porterà a casa. Ma non succede. Tutto crolla in una pagina: l’unità che si muove, il conflitto a fuoco con le poche armi portate appresso. Risultato: 14 soldati caduti, inghiottiti dal gelo e fra le isbe, episodio che diventa sentimento di ghiaccio interiore per chi guidava quei fanti. Il Sottotenente non si capacita: «Dovevo riportarli a casa».
Nelle relazioni militari, i suoi uomini risultano ufficialmente dispersi.
All’autore Pier Vittorio Buffa, chiederemo come è riuscito a scovare questa storia, in che modo l’ha fatta rivivere trasformandola in uno scritto appassionato e particolarmente attuale.
Il libro “Ufficialmente dispersi” sarà presentato in un incontro inserito nel programma del festival Glocal 2022 a Varese: appuntamento alla libreria Ubik di piazza Podestà il 10 novembre, alle ore 19 (preceduto nel medesimo spazio Dal giornalismo alle storie, alla storia, alle 18, dalla presentazione del libro “Nazisti a Cinecittà” di Mario Todeschini Lalli a cura di Roberto Morandi)
Pier Vittorio Buffa ha lavorato per quarant’anni come giornalista nel Gruppo Editoriale L’Espresso. Fra i suoi libri: Al di là di quelle mura (Rizzoli, con Franco Giustolisi), viaggio-inchiesta nelle carceri italiane; Mara Renato e io. Storia dei fondatori delle BR (Mondadori, con Giustolisi e Alberto Franceschini); Io ho visto, storie dei sopravvissuti alle stragi nazifasciste e Non volevo morire così. Santo Stefano e Ventotene, storie di ergastolo e di confino (entrambi Nutrimenti). La prima edizione di Ufficialmente dispersi (Marsilio) è del 1995, la seconda (Transeuropa) del 2010. A breve Piemme pubblicherà il suo secondo romanzo, La casa dell’uva fragola.
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