Metà delle borse di specialità in medicina d’urgenza non sono state assegnate. Anaao: “Situazione gravissima”
Da un monitoraggio condotto da Anaao in merito alle borse assegnate emerge il dato preoccupante dei posti rimasti vacanti. Caso paradossale che emerge nel momento in cui si investe sulla formazione dei giovani

886 borse di specialità bandite per medicina d’emergenza urgenza, 537 non sono state assegnate.
1248 borse di specialità bandite per anestesia, rianimazione e terapia intensiva, 279 non assegnate
657 borse di specialità di chirurgia generale bandite, 179 non assegnate
155 borse di specialità di radioterapia bandite, 114 non assegnate
131 borse di specialità di microbiologia e virologia bandite, 113 non assegnate
142 borse di specialità di medicina di comunità e delle cure primarie bandite, 111 non assegnate.
Il dato emerge da un monitoraggio condotto da Anaao e che fotografa, ateneo per ateneo, la chiusura dei bandi: « È una situazione gravissima – commenta Andrea Duca responsabile Anaao giovani Lombardia – Prima si lamentava il fatto che non ci fossero abbastanza borse di studio e che ci fosse un imbuto per i neo dottori in medicina che volessero proseguire con la specializzazione. Oggi, siamo alla situazione paradossale che le borse ci sono ( sono state 15.000) ma non vengono assegnate perchè non ci sono richiedenti. Il dato è evidente soprattutto in scuole che sono, in questo momento, più in emergenza o quelle che non garantiscono una determinata qualità della vita. Occorre invertire questo trend altrimenti ci ritroveremo senza specialisti».
Il dottor Duca indica due cause principali: « Da una parte le scuole di specialità in Italia hanno un tipo di formazione unica. All’estero gli specializzandi vengono considerati medici in formazione mentre in Italia sono studenti in tutto e per tutto. Ma il problema più grave è che ci sono alcune specialità, come medicina di emergenza e urgenza, potenzialmente molto interessanti e attrattive, peccato che la prospettiva di lavoro è di entrare in pronto soccorso a fare tutt’altro lavoro, a sostituire medici di altre unità operative oppure a colmare le gravi lacune di un territorio sguarnito. Se non si invertirà questo modello, rischiamo che nessuno vorrà più seguire questa carriera. La frustrazione non riguarda solo il compenso economico, perché, chi fa questo tipo di medicina, non può svolgere attività di studio privato, ma riguarda soprattutto la qualità della vita, la possibilità di svolgere le funzioni per cui sei stato formato. Esistono dei modelli per risolvere il problema del pronto soccorso, ci vorrebbe la volontà politica».
Tra le azioni di miglioramento suggerite dal dottor Duca c’è quella della presa in carico immediata del paziente “on board” cioè in attesa di letto in pronto soccorso, da parte degli specialisti del reparto stesso: «Studi hanno dimostrato che così facendo, si hanno vantaggi in termini sia di stabilizzazione delle condizioni sia di tempi di ricovero. Questa è una soluzione indicata nella delibera del settembre scorso da Regione Lombardia: per la prima volta si sono individuate soluzioni operative e organizzative. Ma siamo ancora all’inizio di un’evoluzione che è anche culturale. La coperta, in questo momento, è ancora corta: le risorse per anticipare la presa in carico vengono tolte dalle attività del reparto che, alla lunga, ne risente».
Come ipotesi per alleggerire la barellaia dei PS, il rappresentante di Anaao Giovani Lombardia propone anche dei protocolli adottati negli Stati Uniti e che prevedono di ammettere la barella del corridoio del reparto: « Anche in questo modo, l’avvio immediato della presa in carico specialistica dà risultati i tempi di recupero e guarigione, oltre che accelera l’assegnazione del posto letto».
La carenza di figure specialistiche in alcuni settori si connette anche all’altro grande tema che è quello del ricorso alle cooperative di medici per “tappare i buchi e non interrompere il servizio pubblico”: « Il problema dei gettonisti riguarda soprattutto gli specializzati che scelgono la flessibilità di un lavoro che gestiscono da soli. Può riguardare anche i neo laureati in medicina ma in misura nettamente inferiore: può capitare che, negli anni in cui le borse erano in numero ridotto, chi non riusciva entrare in specialità iniziava a lavorare con le cooperative. Forse, alla lunga, ci si è adattati a un modello che permette di guadagnare bene senza avere la specialità. Ma non credo che sia questa la causa del problema».
Il discorso, in termini più o meno replicabili, vale anche per la scuola di specialità di anestesia e rianimazione che richiede maggior presenza in ospedale e nessuna attività libero professionale, così come per altre specialità meno eclatanti e più di nicchia.
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