I genitori dell’imputato per omicidio stradale a Gavirate: “Nostro figlio non tirava cocaina”

Gli esami tossicologici a Cittiglio evidenziarono tracce di stupefacente nel sangue del ragazzo che stava rincasando dopo una nottata di lavoro, ora a processo per la morte di un 66enne ciclista

polizia locale busto arsizio

«Era sconvolto, non riusciva a capire cosa fosse successo. Agitato. Continuava a ripetere di non sapere cosa fosse accaduto». La teste della difesa, madre del giovane oggi 24enne imputato nel processo per omicidio stradale avvenuto a Gavirate il 5 settembre 2017 dove trovò la morte un ciclista di 66 anni, ha tono deciso e pochi dubbi: «Mio figlio non ha mai usato cocaina, mai ne ha parlato. L’unico vizio che da subito abbiamo cercato di fargli perdere era quello delle sigarette».

Certo è difficile che un giovane di 19 anni possa candidamente ammettere di fronte ai genitori di fare uso di droghe considerate «pesanti» come la cocaina, ma questo è il risultato dell’escussione della madre dell’imputato per i fatti di Gavirate di cinque anni e 5 mesi fa all’altezza di Groppello in quel martedì dopo una notte di lavoro in cui il il ragazzo è accusato di aver ucciso con l’auto un ciclista in pensione di Uboldo che stava anch’esso rincasando per pranzo: venne colpito in pieno dal veicolo visto dai testimoni cambiare abbastanza repentinamente direzione, invadere la corsia e centrare lo sportivo quasi subito in un impatto estremamente violento e che non gli ha lasciato scampo (immagine di repertorio).

Il ragazzo alla guida dell’auto chiama dopo l’incidente la madre al telefono che da un paese non distante si precipita sul posto e assiste alla scena dei soccorsi col figlio in ambulanza in stato di shock: viene portato a Cittiglio e sottoposto prima ad alcool test dalla Stradale (negativo) e successivamente ad esame per testare la presenza di droga nel sangue all’esito del quale è risultato positivo alla cocaina; test tuttavia contestato dal difensore dell’imputato per vizio di forma: seco do l’avvocato non sarebbe stato ricordato al giovane che poteva avvalersi di un difensore che avrebbe potuto assistere all’esame (è quanto previsto delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale all’articolo 114 che dispone proprio l’obbligo da parte della polizia giudiziaria avvertire «la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia»).

La donna, teste della difesa sostenuta dall’avvocato Vittorio Crosta ha poi parlato dei disturbi del sonno carattere genetico della famiglia di origine del ragazzo: «Abbiamo una fase del sonno che risulta molto frammentata, è un fatto sostanzialmente genetico, ma ne io ne mio figlio abbiamo mai sofferto di narcolessia», cioè di quella patologia che produce forte sonnolenza diurna e addormentamenti repentini nel corso della giornata. Un particolare importante perché, come ascoltato nelle precedenti udienze sul caso, la traiettoria dell’auto investitrice appariva piuttosto netta, inesorabilmente diretta nell’opposta corsia dove si trovava il ciclista vittima dell’incidente, all’altezza di Groppello, tale quasi da far pensare ad un colpo di sonno.

Nel corso dell’udienza è stato ascoltato anche il padre del ragazzo che quel giorno lo aveva da poco raggiunto per aiutarlo nel rifornimento di benzina, poi i due si erano separati e poco dopo avvenne lo schianto. Ora la difesa ha da escutere altri testi prima della discussione finale, in particolare un consulente tecnico che ha eseguito copia forense del telefono in uso al ragazzo al momento dell’incidente «con l’obiettivo di indagare altri aspetti della vicenda tesi proprio ad escludere l’uso di cocaina da parte dell’imputato».

Il reato contestato è difatti omicidio stradale aggravato dall’uso di stupefacenti e prevede pene molto elevate: il ciclista sfondò il parabrezza anteriore col capo per venire trascinato sul tettuccio per decine di metri prima di fermarsi.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Gennaio 2023
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