Chiesta la condanna per le violenze sessuali di Venegono nel dicembre 2021. Le difese: “Non sono stati loro”

Il pubblico ministero ha chiesto 8 anni e un mese per Fusi Mantegazza e 9 anni e 2 mesi per Hamza Elayar. Gli avvocati degli imputati parlano di “deserto indiziario“ e di falle nel riconoscimento certo degli imputati

tribunale varese

Si è chiuso lunedì il dibattimento per il processo per la doppia violenza sessuale di Venegono Inferiore e che vede le parti arrivare alle conclusioni dopo un processo durato mesi e che vede due sospettati in carcere in regime di custodia cautelare. È stata la volta delle richieste del pubblico ministero, ma anche delle difese dei due imputati.

L’ACCUSA
Riconoscimenti difficili da parte di una delle due vittime ma efficaci per escludere dubbi sulla colpevolezza dall’accusa di stupro. Poi i particolari raccontati dall’altro imputato al pubblico ministero dopo il fermo avvenuto il 6 dicembre 2021. Sono elementi che, secondo il pubblico ministero Lorenzo Dalla Palma, inchioderebbero alle loro responsabilità Anthony Fusi Mantegazza ed Hamza Elayar, arrestati in meno di 48 ore ore dai fatti (avvenuti venerdì 3 dicembre 2021), che scossero pesantemente l’opinione pubblica, con l’accusa di essere stati i responsabili delle violenze sessuali ai danni di due ragazze.

Violenze sessuali consumate una in treno e l’altra nella sala d’aspetto di Venegono Inferiore. «Ritengo sussista la responsabilità penale per gli odierni imputati in questo procedimento», ha specificato il pm chiedendo la condanna a 8 anni e un mese per Fusi Mantegazza e 9 anni e 2 mesi per Hamza Elayar.

Nella fase che ha preceduto la chiusura del dibattimento, la seduta si è aperta con due elementi importanti per il processo. La Corte presieduta dal giudice Cesare Tacconi  ha accolto la la richiesta del pm di acquisizione del cd contenente l’interrogatorio di Anthony Fusi Mantegazza dove il giovane ammetterebbe l’esistenza di alcuni particolari che solo chi era sulla scena del crimine poteva conoscere. Lo stesso Pm tuttavia ha proposto anche l’acquisizione, come elemento di prova, del riconoscimento formalizzato al consolato del Marocco di Milano di due cittadini marocchini che sarebbero stati presenti sulla scena dei fatti, identificati nel corso del dibattimento e che la difesa ha da tempo indicato come gli esecutori. Ma in quest’ultimo caso il Collegio non ha dato assenso all’acquisizione di questi elementi.

LE DIFESE
Monica Andreetti, difensore di Anthony Fusi Mantegazza, ha insistito sulla difformità del racconto delle vittime rispetto all’aspetto fisico dell’imputato «che non è madrelingua araba» (una delle due vittime ha difatti raccontato di essere stata approcciata in arabo). «Oltre ogni ragionevole dubbio le due persone salite in treno e scese per la violenza sessuale in sala d’aspetto parlavano in lingua araba e il mio assistito è italiano di origini sudamericane».
Inoltre sempre secondo l’avvocato Andreetti il cappello trovato nella casa in cui avvenne l’arresto, e indossato da uno dei sospettati peccherebbe di riscontri genetici sugli imputati (mentre vengono individuati tre campioni genetici “ignoti” con origine biologica certa delle popolazioni marocchine, tunisine); inoltre il difensore ha ribadito la corretta identificazione, attraverso l’aggancio della cella telefonica, del suo assistito in un luogo diverso da quello in cui sarebbe dovuto essere per consumare il reato. In ultimo l’ammissione del Fusi di essere presente sul treno, confessione poi ritrattata il giorno seguente all’interrogatorio col pm avvenuto il 6 dicembre ma legata secondo l’avvocato Andreetti ad una condizione mentale del ragazzo affetto da deficit dovuto ad ansia cronica, ipotizzando quindi una sorta di “falsa confessione” dovuta ad una disabilità intellettiva del ragazzo: «Chiedo l’assoluzione per non aver commesso il fatto».

A chiudere il quadro difensivo dell’altro imputato, Hamza Elayar, patrocinato dagli avvocati Fabio Bascialla e Maurizio Punturieri. Proprio quest’ultimo ha parlato di un processo che presenta un «deserto indiziario» con «la stessa parte pubblica che fa quasi uno slalom con questi indizi presentati su cui in ogni pinto la difesa è stata in grado di controbattere puntualmente». Secondo il legale la stessa richiesta di riconoscimento di altri due soggetti proposta dal pm rappresenterebbe una debolezza dell’impianto accusatorio e dimostrrebbe che vi sono delle falle nella precisa, e «oltre ogni ragionevole dubbio», identificazione dei due responsabili: «O vi è un’identificazione certa, o non si può condannare».

In particolare, rispetto alla posizione di Hamza Elayar, la più esposta secondo l’accusa in quanto quella a cui si fa riferimento per la pena più alta richiesta, l’imputato non aveva alcun segno di morsi all’apparato genitale, nè di graffi al volto, che la vittima sul treno aveva specificato di aver inferto al giovane nel tentativo di divincolarsi. Scontata la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto.

Le repliche, e la sentenza, sono attese per il prossimo 7 marzo.

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Pubblicato il 27 Febbraio 2023
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