Galbiati: “La mia Openjobmetis felice e stimolante. Con Brase grande sintonia”

L'assistente allenatore biancorosso parla del rapporto con il coach americano e spiega: "Ambiente perfetto per rendere al meglio. Al completo possiamo impensierire tutti"

Paolo Galbiati basket

Quando in estate venne annunciato il nome di Paolo Galbiati quale primo assistente di coach Matt Brase criticammo la scelta della società (non, ovviamente, a livello personale) perché avremmo preferito in quel ruolo un “assistente anziano” piuttosto che il coetaneo di un allenatore straniero esordiente in Italia, in una squadra che non poteva garantire risultati immediati. Preoccupazioni che – ne siamo felici – sono state soffiate via dall’ottimo cammino dell’Openjobmetis fino a questo punto, un percorso di cui Galbiati e Brase sono senza dubbio tra i maggiori protagonisti.

Il tecnico di Vimercate, 38 anni, è divenuto una spalla sempre più solida del coach americano che spesso lo cita, nelle conferenze stampa del dopo partita, tra i più preziosi collaboratori. Lo abbiamo incontrato al palasport di Masnago prima della trasferta di Tortona, terza in classifica, con all’orizzonte il weekend della Coppa Italia (15-19 febbraio), ovvero il primo grande appuntamento cui questa Varese potrà partecipare.

Coach Galbiati, iniziamo dal suo rapporto con Matt Brase. Come lo avete costruito? Come funziona dentro e fuori dal campo?

«Fin dalle prime telefonate è partito molto bene grazie al suo entusiasmo e alla voglia che aveva di intraprendere questa nuova avventura europea. Il primo obiettivo che abbiamo superato insieme è stato quello di fargli passare l’esame da allenatore in Italia. Poi il rapporto si è costruito piano piano: ci siamo annusati al suo arrivo, abbiamo fin da subito trascorso tanto tempo insieme, parlando tra di noi. A entrambi piace stare in ufficio dopo il campo; penso di aver capito cosa lui voleva da me e lui ha capito cosa posso dargli io. Ho un ruolo di supporto: gli propongo idee, gli do feedback e interpretazioni rispetto alle partite da disputare: campi, avversari, ambienti, arbitri…. Abbiamo un interscambio totale di informazioni e soprattutto lui ha un modo coinvolgente di lavorare a partire dalla riunione di ogni mattina. Detto tutto questo, siamo comunque persone differenti: si ritaglia i propri momenti privati, anche quando siamo in viaggio o in trasferta».

In passato lei aveva già fatto da assistente a un allenatore americano, Larry  Brown a Torino. Una circostanza che l’ha aiutata nel tessere la collaborazione con Brase?

«No, non mi ha aiutato perché Larry e Matt sono due persone completamente diverse,  nell’approccio al lavoro oltre che per la grande differenza d’età. Direi che mi sono state più d’aiuto le tante altre esperienze che ho fatto nel corso degli anni».

Openjobmetis Varese - Pall. Trieste 104-99 d. t. s.
Galbiati dopo la vittoria su Trieste

La Openjobmetis ha scelto di interpretare il basket con un metodo molto particolare, incarnato dalle idee di Scola e di riflesso da quelle di Brase. Come è stato inserirsi in questo contesto?

«Senza dubbio molto stimolante. Il tutto è stato facilitato dall’aver scelto giocatori adatti a questo gioco, sia quelli che Matt già conosceva sia gli italiani che sono molto malleabili, hanno esperienze di college o – nel caso di Ferrero – sono professionisti di grande levatura. Io in passato avevo provato a studiare quegli Houston Rockets a cui ci ispiriamo per lo stile di gioco ed è stato molto bello e interessante arrivare a convincere tutti che questa poteva essere la strada giusta».

E come avete fatto a convincere tutti?

«Con tanto interscambio, condivisione, lavoro a video. Abbiamo spiegato ai giocatori quali sono i concetti di gioco mostrando filmati e supportando questa attività con un grande lavoro sui dati, i numeri, le statistiche. Una serie di fattori che hanno portato tutti a dire: “Ok, hanno ragione a proporre questo gioco”. Tutto quello che il club (da Scola in giù: in tanti lavorano su questi aspetti) sta costruendo ci aiuta a convincere che questo tipo di basket possa funzionare. Una situazione molto stimolante e coinvolgente vissuta dall’interno. Poi è chiaro: devi avere il “materiale umano” adatto: non tutti i giocatori vanno bene per questo scopo».

basket pallacanestro varese
Galbiati (a destra) con Herman Mandole e Matt Brase al termine di Varese-Brescia 80-72

A livello personale, come è stato passare in meno di un anno da una retrocessione – con Cremona – a una posizione ai piani alti della Serie A?

«Lo scorso anno fu molto doloroso e in un certo senso il dispiacere non passerà mai, anche se con il tempo, e analizzando l’accaduto con maggiore lucidità, ti rendi conto che fa parte del gioco. La situazione odierna mi fa capire di essere in un ambiente molto diverso: mi sento nelle condizioni ideali nello svolgere il lavoro quotidiano nel modo più giusto, la parola che più mi viene in mente è “serenità”. Non siamo sicuramente i più ricchi del campionato ma abbiamo le cose che ci servono e probabilmente siamo i più felici. Varese oggi è un club strutturato con tante persone che ogni giorno aiutano la squadra ad avere quello di cui ha bisogno. Da Luis in giù, tutti ci permettono di andare in campo per essere la versione migliore di noi stessi senza ansie o troppe pressioni».

Tra poco Varese disputerà le Final Eight, e lei una Coppa Italia l’ha già vinta allenando Torino. Come si gestisce un torneo del genere, con partite ravvicinate che, in caso di successo, alzano sempre più la posta in palio?

«Per noi è un bel banco di prova perché fino abbiamo giocato una volta alla settimana senza nemmeno turni infrasettimanali. Anzitutto dobbiamo andare a Torino con la nostra sfacciataggine e il nostro stile, pensando a una partita alla volta. Nelle gare secche poi può accadere di tutto anche se oggi, con due squadre superfavorite, è tutto più complicato. Fino a qualche anno fa, quando la “big” era una sola, poteva accadere che sbagliasse una partita finendo eliminata: più difficile che accada a due. Tornando alla domanda: bisogna affrontare uno scalino per volta, evitando voli pindarici e gestendo le energie fisiche e mentali tra una partita e l’altra. Più quelle mentali perché con una coppa in palio, quelle fisiche da qualche parte le trovi sempre».

Un’ultima domanda: nel girone d’andata Varese, tra le altre sette squadre che saranno a Torino, ha battuto solo Venezia. Cosa manca alla Openjobmetis per piazzare qualche colpo in più contro le “grandi” del campionato?

«Durante l’andata ci è mancato spesso Justin Reyes, che invece c’era quando abbiamo battuto la Reyer ma anche Brescia domenica scorsa. Essere al completo per la nostra squadra è fondamentale perché riusciamo a fare delle buone settimane di lavoro: la continuità poi si vede. Chiaramente abbiamo un budget tra i più bassi del campionato ed è ovvio che ogni tanto ci manchi qualcosa: chili, centimetri, esperienza, freschezza… Ma in fondo non ci manca niente. E quindi, per battere le grandi, serve “solo” che tutti insieme giochino la miglior partita possibile: devo dire che, anche quando abbiamo perso, ho quasi sempre avuto sensazioni positive. Vedere Milano al massimo fin dalla palla a due, o Bologna che schiera Teodosic per affrontarci è anche un riconoscimento da parte dei più forti del valore che ha la nostra squadra».

Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it

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Pubblicato il 02 Febbraio 2023
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