Ballardin: “Se il diritto alla salute non è garantito si creano ingiustizie e rancore sociale”

Riceviamo e pubblichiamo un articolato intervento del sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin sul tema della sanità pubblica in provincia di Varese e più in generale a livello lombardo e nazionale

La prevenzione al Poliambulatorio Specialistico di Besnate

Riceviamo e pubblichiamo un articolato intervento del sindaco di Brenta Gianpietro Ballardin sul tema della sanità pubblica in provincia di Varese ma non solo:

In tutta l’Azienda sanitaria, prenotare un appuntamento  con il Servizio sanitario regionale risulta difficoltoso. Questa è la cruda realtà che vivono le persone che abitano il territorio della provincia di Varese, innanzitutto per le tempistiche delle priorità inserite nelle impegnative, che quasi mai vengono rispettate, ma soprattutto, elemento da non sottovalutare, la possibilità di avere un appuntamento in una struttura pubblica del territorio circostante, questo elemento diventa prioritario soprattutto per una persona anziana.

Queste situazioni, inducono di conseguenza la persona a rivolgersi a strutture private convenzionate, che non sempre hanno disponibilità per l’appuntamento in posti accreditati con il Ssn e che sempre più spesso offrono solo posti privati, che la maggior parte degli utenti non può permettersi.

L’anno scorso oltre 4 milioni di italiani, (dati Istat), il 7% della popolazione, ha rinunciato a cure di cui aveva bisogno. 

Tra il 2022 e gli anni precedenti la pandemia, emerge un’inequivocabile barriera all’accesso costituita dalle lunghe liste di attesa.

In Italia nel 2022 la quota di persone che ha effettuato visite specialistiche si è ridotta dal 42,3% nel 2019, al 38,8% nel 2022), come per gli accertamenti diagnostici (dal 35,7% nel 2019 al 32% nel 2022), con punte che raggiungono i 5 punti percentuali.

La spesa che gli italiani sostengono di tasca propria per curarsi è in crescita costante: secondo gli ultimi dati disponibili della Ragioneria generale dello Stato si è passati dai 34,85 miliardi di euro del 2019, ai 37 miliardi del 2021. Un 6% in più, equivalente a 2,15 miliardi. Oggi questo dato è in ulteriore aumento. La metà di questa spesa è per visite specialistiche ed interventi.

Probabilmente si pensa di agire con l’aumento delle prestazioni, attraverso una delle soluzioni proposte con più insistenza in questi anni sia a livello Nazionale che Regionale per ridurre i tempi di attesa, facendo pagare in parte o complessivamente le visite attraverso un maggiore coinvolgimento delle strutture private, che a seguito di questo indirizzo agiscono sul nostro territorio trovando un notevole spazio di crescita ed un aumento considerevole delle possibilità di servizi a pagamento. In sostanza: chi può paga, gli altri aspettano.

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”, recita l’articolo 32 della Costituzione italiana.

Con il contenuto di questo articolo lo Stato si impegna a garantire questo “diritto” attraverso il Sistema sanitario nazionale, che dice che tutti i residenti in Italia hanno accesso alle cure perché la salute è un “bene universale e fruibile” da parte di tutti i cittadini.

Il Ssn esiste in Italia dal 1978, quando sotto il Governo Andreotti, su proposta della ministra della Sanità Tina Anselmi, fu approvata la legge 833. Provvedimento che sopprimeva il sistema mutualistico in vigore fino a quel momento e che si basava su “casse mutue” legate alle diverse categorie di lavoratori, e istituiva il Ssn, basato su “universalità, uguaglianza ed equità”.

Si legge che “la spesa sanitaria tornerà a segnare delle riduzioni nel biennio 2023-2024, mentre nel 2025 si prevede la sua stabilizzazione, a ragione dei minori oneri connessi alla gestione dell’emergenza epidemiologica”.

Già nel 2016, fonte Crea (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), la spesa sanitaria italiana totale (pubblica e privata) era complessivamente inferiore del 32,5% rispetto a quella dei Paesi dell’Europa occidentale. In rapporto al Pil, l’Italia era al 9,4%, contro il 10,4% dell’Europa occidentale. Negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica era cresciuta dell’1% medio annuo contro il 3,8% degli altri Paesi dell’Europa occidentale.

La crescita della spesa privata (2,1% medio annuo) era stata invece leggermente inferiore a quella europea (2,3%), ma oltre il doppio di quella pubblica.

Negli ultimi anni è stata sempre maggiore la quota di spesa privata. Nel 2022 ha rappresentato una spesa pari a 4,3 miliardi di euro, con una spesa diretta, da parte delle famiglie, di circa 38 miliardi di euro, di cui mediamente solo il 10,1% era spesa intermediata dai Fondi Sanitari Integrativi e complementari, nonché dalle compagnie di assicurazione.

Questa componente dopo l’entrata in vigore del “Job Acts” è cresciuta a dismisura per la deducibilità delle polizze di “sanità integrativa” che ormai vedono una platea di beneficiari pari alla quasi totalità dei lavoratori dipendenti con un Ccnl, ovvero 14 milioni di iscritti ai vari tipi di Fondi.

Nonostante ciò la spesa sanitaria privata è ancora prevalentemente pagata di tasca propria, (“out of pocket”).

Oggi la “sanità integrativa” viene defiscalizzata per un massimale per singola polizza superiore ai 3.000 euro.

Dall’entrata in vigore del “Job Acts” ad oggi con le leggi di stabilità annuali le dotazioni per il  welfare aziendale sono state rifinanziate da tutti i Governi in carica per un totale superiore ai 38 mld di euro. Nello stesso periodo la sanità, come voce di spesa del bilancio annuale delle Stato Italiano veniva decurtata per circa 37,5 mld di euro.

Secondo voi è solo una coincidenza contabile?

L’Osservatorio sui consumi privati in sanità (Ocps) di Sda Bocconi School of management, evidenzia come la quota di spesa sostenuta direttamente dai cittadini risulta elevata:

per l’acquisto di apparecchi terapeutici (74%);
di prodotti farmaceutici (38%);
per l’assistenza ambulatoriale (39%)
per l’assistenza ospedaliera di lungo termine (34%).

L’assistenza ospedaliera in regime ordinario e quella in day hospital risultano a carico della sanità pubblica (rispettivamente 96% e 92%).

Secondo il rapporto Censis sulla sanità pubblica e privata i Ssn (servizio sanitario nazionale), e i Ssr (servizi sanitari regionali), sono i primi clienti della sanità privata “accreditata” acquistando il 60% delle sue prestazioni, pari a un valore, di 41 mld di euro. Tutto questo crea disservizi e disuguaglianze.

Sempre secondo i dati Censis in media, bisogna aspettare più di 60 giorni per poter accedere alle strutture del Ssn, mentre si viene indotti, per la condizione dei tempi o dei luoghi assegnati a visite specialistiche e ad analisi sia in strutture private accreditate, che spesso hanno il doppio regime: prestazioni private convenzionate o, sempre più spesso, solo private perché non si trova posto nel pubblico, o non lo si trova nei tempi che servono, spendendo notevoli cifre all’anno.

Stiamo assistendo al fatto che la Sanità italiana si avvia ad essere un sistema che sempre di più ed in forma continuativa si poggia su più azioni di presenza operativa con una riduzione progressiva della condizione pubblica ed un costante aumento di quella privata a sua volta privata accreditata e privata-privata.

Ad esempio oggi una risonanza magnetica molto spesso richiede tempi di attesa lunghissimi, che si abbreviano se la chiedi in regime privato, magari nello stesso ospedale, con una palese forma di ingiustizia nei confronti dei meno abbienti in quanto i macchinari sono gli stessi che vengono utilizzati dal Ssn. Le colonscopie e le gastroscopie oggi richiedono come tempistica un anno di attesa.

Così come è complicata la situazione dei pronto soccorso nella condizione del servizio di urgenza/emergenza dovute a mancanza di medici e infermieri, aumento dell’accesso di pazienti che sono senza medico di base o dove esistono condizioni di sovraccarico di pazienti superiore al massimale.

Non sono rare purtroppo le aggressioni fisiche e verbali ai medici che lavorano nei presidi di emergenza.

Le carenze di medici riguardano oltremodo la situazione anche delle Rsa.

Nel 2020 sono stati inaugurati in Italia 10 nuovi ospedali di cui uno solo pubblico.

Oggi sono tanti i lavoratori del comparto sanitario Lombardo tra medici, infermieri e operatori sanitari che ogni giorno varcano il confine tra Italia e Svizzera per andare al lavoro nel vicino Canton Ticino.

Si pensi che in Lombardia  nella sanità pubblica mancano circa 9.000 unità.

Professionisti che ogni mattina attraversano il confine per andare a portare esperienza e professionalità negli ospedali pubblici e privati della Svizzera per poi fare ritorno a casa a fine turno.  I frontalieri che lavorano in un ospedale del Canton Ticino guadagnano molto di più di un collega che presta servizio in un ospedale italiano guadagnando circa 1400 euro, ben al di sotto della media europee che si attesta sui 1900 euro.

Come amministratore pubblico considero la condizione sopra descritta elemento di preoccupante disparità che sta ingenerando discrimine tra chi è convinto che in Italia le persone non abbiano più le stesse opportunità di cura, certificato dal dover sempre più spesso mettere mano al portafoglio per affrontare le ragioni della salute, con il rischio di aumentare le difficoltà sociali e di amplificare la situazione di insicurezza già messa a dura prova durante gli anni della pandemia.

La situazione della sanità italiana oggi genera rancore sociale: bloccarne la spirale, a questo punto, è decisivo in quanto la spesa privata, non è più appannaggio dei soli benestanti.

La spesa pubblica non assolve ai compiti primari e ai principi previsti dalla legge 833 nella capacità di occuparsi della condizione di fabbisogno dei gruppi sociali più vulnerabili, e nella sua condizione oggi esaspera sempre più gli italiani che faticano a vedersi riconosciuti nei principi fondamentali previsti dall’art. 32 della Costituzione.

Gianpietro Ballardin, sindaco di Brenta

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Marzo 2023
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