Con la chiusura della cardiologia a Gallarate “chi curerà i pazienti critici?”

La perdita del reparto dal 1° giugno è un colpo durissimo per il Sant'Antonio Abate. Roberto Canziani, già primario, ricorda che si chiude una storia di 45 anni: "Un salto indietro agli anni Settanta". Dal territorio preoccupazione per gli acuti e anche per il follow up dei pazienti

ospedale gallarate

«Cosa resta di un ospedale senza la cardiologia?». È una domanda che si stanno ponendo in molti dopo l’annuncio della chiusura del reparto di cardiologia del Sant’Antonio Abate, dal prossimo 1° giugno. Se la pongono pazienti e anche i medici del territorio, preoccupati per l’impatto che avrà su chi soffre di patologie cardiache, a cominciare da chi ha bisogno di monitoraggio a seguito di gravi eventi o di interventi.

Per l’ospedale si chiude una storia che era iniziata esattamente 45 anni fa. Mezzo secolo: «Per l’ospedale è un balzo indietro agli anni Settanta» ha sintetizzato in una lettera aperta Roberto Canziani, già primario del reparto e protagonista anche di un approccio anche “territoriale”, fatto di diffusione della cultura della prevenzione.

Ricorda Canziani: «Il 1 aprile 1978, sulla spinta di una rivoluzione che stava cambiando nel mondo il destino dei cardiopatici e soprattutto degli infartuati veniva inaugurato un Servizio di cardiologia nel Sant’Antonio Abate. Il servizio contava all’inizio di cinque unità con un primario Maestro, il prof. Giovanni Piva che portava una cultura cardiologica internazionale. Si era formato alla scuola della grande Cardiologia mondiale dei Sodi Pallares, dei Chavez, dei Cabrera, una scuola che aveva formato altri grandi fondatori della Cardiologia italiana. Partivamo in pochi garantendo per la prima volta una consulenza specialistica di veri cardiologi ai reparti dell’ Ospedale con presenze diurne e reperibilità notturna, questa garantita da un medico presente in ospedale in una cameretta anche di notte. Venivano altresì garantite prestazioni ambulatoriali cardiologiche giornaliere per pazienti esterni».

Nel 1979 veniva aperta un’ Unità Coronarica (Utic). «Allora, in quegli anni l’apertura delle UTIC aveva permesso di ridurre la mortalità per infarto miocardico acuto (IMA) dal 30% dei reparti medici al 16%. Nelle UTIC italiane si sviluppò poi la seconda rivoluzione nella terapia con l’introduzione del concetto di riperfusione coronarica mediante l’utilizzo di farmaci trombolitici in grado di sciogliere il Trombo che chiude la coronaria responsabile , salvando la porzione del muscolo cardiaco interessata. Fu l’epoca dei grandi studi GISSI presi a modello in tutto il mondo e Gallarate fu uno dei Centri che dette un grande contributo al successo degli studi. La strada oramai era aperta per la terza rivoluzione, con l’avvento della coronarografia e degli interventi di by pass aortocoronarico prima, con l’introduzione dell’angioplastica e del posizionamento di stent poi. La mortalità drammatica del 30% dei primi anni ‘70 cadeva clamorosamente al 3%, compresi i grandi anziani».

Negli ultimi anni anche la cardiologia ha vissuta la sofferenza diffusa all’ospedale di Gallarate, con l’aggravio delle condizioni di lavoro e – a cascata – la difficoltà di reperire personale che venga a lavorare in Asst Valle Olona e in particolare sul presidio di Gallarate. Risultato: la riduzione avviata da inizio 2023. «L’unità aveva 8 posti di unità coronarica e 14 di cardiologia, si è ridotta ad averne 4 e 10» spiega un medico. Prima del Covid (che ha poi aumentato, non certo ridotto le necessità anche in ambito cardiologico) il reparto gallaratese faceva 250-270 angioplastiche in un anno, 100 infarti acuti, 100 pacemaker l’anno, «oltre al follow up di migliaia di pazienti» spiega un cardiologo attivo sul territorio e che era un tempo parte della struttura del Sant’Antonio Abate.

«Busto oggi ha 6 posti di unità coronarica e 15 posti letto, tre medici hanno dato dimissioni e uno è in pensione da un mese. Come si potrà potrà garantire lo stesso livello di assistenza a partire dai casi acuti?» continua il medico.
Un altro collega attivo sul territorio richiama anche la dimensione della continuità di cura dei pazienti: «Oggi come liberi professionisti ci ritroviamo a garantire controlli e monitoraggio a pazienti che si ritrovano a scegliere tra rivolgersi al privato o accedere a ospedali anche distanti».

La lettera di Roberto Canziani cita poi una preoccupazione che viene ala mente di molti: i casi acuti, anche quelli che si presentano proprio dentro al Sant’Antonio Abate. «Dove finiranno i pazienti critici con IMA (infarto miocardico acuto, ndr), con aritmie minacciose, anche giacenti in reparto medico o chirurgico ? Proprio non era possibile arrivare a un processo di integrazione con Busto, per esempio risparmiando sulle reperibilità notturne di Emodinamica? Oppure realizzando modelli unitari per le gestioni ambulatoriali?

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 22 Maggio 2023
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