“Io, studente accampato fuori dall’Università, vi spiego le ragioni della protesta”
L'argomento trattato nella rubrica "Il Prof tra i banchi", curata da Alberto Introini, ha creato dibattito. Ecco la replica di Lorenzo Colombo, uno degli studenti accampati, che spiega: "La protesta è per coloro che non ce l’hanno fatta a studiare a Milano"
L’argomento trattato nella rubrica che ormai pubblichiamo da mesi, “Il Prof tra i banchi“, curata da Alberto Introini, ha creato dibattito, commenti e prese di posizione di diverso tipo. Il tema, lo sapevamo, è di quelli che dividono: la protesta dei ragazzi davanti alle università di tutta Italia e le conseguenti reazioni di politica, società civile, opinione pubblica, spaccate su due fronti, chi solidarizza con gli studenti e comprende le loro istanze e chi li considera “fannulloni”, “bamboccioni” e così via.
Uno di questi studenti, Lorenzo Colombo, coordinatore di Sinistra Italiana Varese e referente regionale Unione Giovani di Sinistra, ha letto la rubrica e risponde al prof, sottolineando quali sono le ragioni della contestazione. Ecco la sua posizione, che pubblichiamo per intero:
Caro Direttore,
Ho letto la rubrica “Il prof tra i banchi” pubblicata sul suo giornale il 18 maggio e, da studente accampato in Piazza Leonardo Da Vinci a Milano, vorrei dire la mia su alcune considerazioni fatte.
L’autore dell’articolo sostiene che noi studenti universitari andiamo fuori corso perché siamo “iscritti per hobby”. Da giovane universitario che tutti i giorni vive e conosce i propri colleghi e coetanei posso dire che non è assolutamente così. Ci sono molti fattori che portano uno studente ad essere fuori corso, da quelli personali (come problemi in famiglia) a quelli lavorativi (come fare un tirocinio) ed è quindi profondamente ingiusto giudicare chi non sta nei tempi dettati da altri. Io vorrei dare un dato: più del 40% dei dottorandi, quindi le migliori menti del nostro Paese, afferma che avere problemi di salute mentale (depressione, ansia, etc…) è la norma durante il percorso di studi, secondo uno studio della London School Of Economics. È questo quello che vogliamo: che le migliori menti del Paese siano depresse?
Successivamente, vorrei anche sfatare il mito della “pigrizia”, centrale nell’articolo della rubrica. Se io, come tanti e tante, siamo accampati in decine di città in Italia è perché siamo stufi di vedere negato l’articolo 3 della nostra amata Costituzione, che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Vorrei solo porre qualche domanda a tutti i lettori e tutte le lettrici: perché un mio coetaneo che ha avuto la fortuna di essere nato a Milano può studiare come e quanto vuole, mentre io sono costretto a sobbarcarmi ore di treno che tolgono tempo allo studio? Perché una persona che vive nell’entroterra siciliano non può venire a studiare a Milano solo perché gli mancano i soldi? Perché, poi, nel mondo del lavoro, il “milanese” sarà avvantaggiato da un voto di laurea più alto e da più conoscenze personali che si è formato proprio nei momenti di convivialità post-lezioni? È davvero pigrizia la mia? Io le risposte le ho e stanno nella più grande malattia del nostro Paese: la diseguaglianza.
Infine, questa protesta è proprio per coloro che non ce l’hanno fatta a studiare a Milano, o in altre città, anche se l’avrebbero “meritato” (visto che si parla tanto di merito) solo per la colpa di essere nati in una famiglia povera. Quando capiremo che il futuro del Paese passa proprio dai nostri giovani che oggi sono accampati, forse cambieremo le politiche del nostro Paese e la smetteremo di cacciare i giovani dalla nostra Nazione a causa di bassi salari e negazione dei diritti. Insomma, quando capiremo che i nostri giovani vogliono solo una vita dignitosa tanto quanto l’hanno avuta i loro genitori. È semplice: ascoltateli, parlateci; vedrete che vi faranno cambiare idea, perché una società migliore, più solidale e dignitosa ce l’hanno ben in testa e la vogliono mettere in pratica e non hanno molto da perdere.
Un caro saluto,
Colombo Lorenzo
Coordinatore Sinistra Italiana Varese e Referente regionale Unione Giovani di Sinistra
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Non sono d’accordo.
Io, varesotta (all’epoca abitavo dai miei a Gorla Minore) ho studiato alla Scuola per Interpreti e Traduttori di Milano, allora a San Leonardo (la fermata del metrò prima del capolinea Molino Dorino): frequenza obbligatoria, da lunedì a venerdì, dalle 9.00 alle boh, dipendeva – ma il corso di olandese al primo anno finiva alle 18.00, che voleva dire essere a casa alle 20.00…
Non lavoravo e, per pesare meno possibile sulle spalle dei miei genitori, non sono neanche andata in Erasmus (6 mesi all’estero… un bell’impegno per la famiglia…).
Faticoso. Anche molto. Ma l’ho fatto e ne sono fiera.
La carriera di traduttrice è finita dopo vent’anni, ma per dinamiche puramente di mercato.
Ed è in questo che sono, sì, d’accordo coi ragazzi accampati: in un regime di libero mercato, basta il nome di una città per far lievitare i costi. Ecco, trovo che questo sia profondamente ingiusto. Trovo ingiusto che un ragazzo debba lasciare la sua città natale dall’altra parte d’Italia per caricare se stesso della lontananza da casa e, soprattutto, la sua famiglia dei costi che ciò comporta.
Il discorso cambia però per i ragazzi che abitano a poche decine di chilometri dal capoluogo e che hanno a disposizione tutti i servizi necessari per muoversi avanti e indietro (il capitolo “affidabilità del servizio ferroviario” lo apriamo un’altra volta, ma anche qui ho storie da raccontare di quelle che voi umani…).
Insomma, ragazzi, forza e coraggio. Senza abbandonarsi a superficialità del tipo “vogliono fare l’happy hour”, però a Milano andateci in treno: costa tempo e fatica, è vero, ma ripaga in ricordi e orgoglio.
NOn sono assolutamente d’accordo. Ho frequentato per 4 anni l’università a Milano venendo da Laveno, un’ora e mezzo andata più ritardi e altrettanto al ritorno, treno 6.08 la mattina. 19.04 partenza da Milano, arrivo a Laveno dopo le 20.30, abitazione a 5 km dalla stazione. Non potevo permettermi l’appartamento a Milano e dovevo studiare senza pensare a spritz e altri svaghi. Mi sono laureata e ho fatto il mio percorso professionale, fiera di quanto ho fatto dall’inizio alla fine. Quindi tante lagne da parte di chi pretende l’alloggio in città sono immotivate. Diverso il discorso per chi viene da più lontano che però può reperire un alloggio in comuni dell’hinterland a prezzi più vantaggiosi che in città, utilizzando poi i mezzi pubblici per raggiungere l’ateneo. Quindi basta armarsi di buona volontà e il diritto allo studio è garantito a tutti, anche a quelli che sono come “i noi di un tempo”, mica certo figli di papà, ma figli di persone che ci hanno insegnato il valore dello studio e anche la dignità della fatica.
e invece chi lavora lontano da casa ?
che magari spende buona parte dello stipendio in benzina, autostrata o abbonamenti treno ?
perchè non regalare anche a loro una bella casa in centro a Milano ?
ma per favore….e la sinistra , ormai come sempre, si presta a battaglie inutili
sveglia!!!!