I Punkreas in concerto alla Festa del Rugby di Varese, l’intervista a Paletta

Appuntamento per venerdì 9 giugno (ingresso gratuito) con la band che ha superato i trent'anni di carriera mantenendo sempre lo stesso spirito. "Il Varesotto è sempre stato la nostra culla"

punkreas

San Lorenzo di Parabiago resta la loro piccola Seattle. Il punto di contatto dove tornare dopo i tour in giro per l’Italia. Lì è rimasto lo scantinato dove fare le prove, quello che in oltre trent’anni di carriera ha visto nascere idee, brani e spettacoli. E dalla piccola frazione dell’hinterland milanese a condividere il palcoscenico con Joe Strummer, i Punkreas di strada ne hanno fatto tanta, tantissima mantenendo sempre la stessa attitudine: l’amore per il punk e per il loro pubblico. Ora la band fa tappa a Varese per una data speciale, suoneranno sul palcoscenico della Festa del Rugby (venerdì 9 giugno, ingresso gratuito) e l’attesa da parte dei fans è quella delle grandi occasioni. Arrivano con undici album alle spalle, l’ultimo è “Electric Déjà-Vu”, uscito poco prima dell’inizio della pandemia e la carica, l’ironia e la rabbia di sempre.

Paletta con che spirito arrivate a Varese? È una città che vi ha sempre amato molto e con la quale avete parecchi legami.
«È così con Varese abbiamo un legame veramente forte da sempre. Ricordo ancora quando riempivamo gli zaini di dischi per portarli alla Casa Del Disco (il negozio di dischi e vinili di piazza Podestà che ha chiuso nel 2016 ndr), erano i tempi di “Paranoia e Potere” e sono stati loro a dirci che i nostri dischi andavano a ruba. Poi, Radio Lupo Solitario che ci ha sempre sostenuto. Insomma, il Varesotto è sempre stato la nostra culla».

Facciamo un passo indietro però, perché dopo trent’anni di carriera mi incuriosisce sapere come ricordate i primissimi tempi. Come nasce l’idea dei Punkreas nel 1989?
«Andavamo a scuola, 16 anni, abbiamo iniziato ad avvicinarci alla musica punk. Erano gli anni in cui abbiamo scoperto i Clash, i Rammones, l’album Never Mind the Bollocks dei Pistols fu la svolta. Da lì è nata l’idea di formare una band nostra. Cippa suonava il tamburello nella band di paese, mentre ricordo ancora quando partecipammo al concorso canoro della biblioteca di Rescaldina, siamo arrivati penultimi ma avevamo già un seguito di gente che pogava sotto al palcoscenico. A quel concorso parteciparono anche gli Antistress. Il giorno dopo sul giornale raccontavano di un concerto “tra creste alte e profili bassi”, fu molto divertente. Era un periodo davvero particolare, fino al 2000 abbiamo tenuto i nostri lavori in fabbrica di operai. Abbiamo avuto la fortuna di avere un capo che ci permetteva di staccare per andare a suonare e recuperare le ore di lavoro, riuscivamo a conciliare la musica con il lavoro. Oggi penso sia impossibile pensare una cosa del genere. Erano gli anni in cui giravamo tutta l’Italia nei centri sociali, che oggi non ci sono più. Era una cosa meravigliosa».

Come si finisce dall’oratorio di San Lorenzo di Parabiago ai palcoscenici con Joe Strammer?
«Credo che il segreto sia sempre stato il nostro pubblico. Siamo riusciti a mantenere questa genuinità, il nostro è prima di tutto un concerto per le persone che ci seguono, prima di essere un concerto punk. Poi siamo gente che si fa voler bene e negli anni è stato bello anche condividere il palco con i Sex Pistols e Joe Strummer, sono stati momenti incredibili. Abbiamo suonato con tutti ma è una cosa che è venuta spontanea.».

Come si trova dopo trent’anni di carriera lo stimolo di andare avanti, anche difronte ad un mondo che è profondamente cambiato?
«La cosa bella è che il pubblico dei nostri concerti è stratificato. In prima fila ci sono i giovani, gli adolescenti che si massacrano nel pogo. Dietro, c’è la fascia dei trentenni e in fondo i nostri coetanei che spesso sono i genitori di quelli che stanno in prima fila. Insomma, piacciamo anche alle nuove generazioni e questo è davvero bello».

Avete sperimentato non poco, a livello di sonorità, nei vostri tre decenni di carriera: come sono state accolte queste incursioni dai vostri fan?
«Caspita, sono talmente tanti anni che suoniamo che quando abbiamo avuto voglia di sperimentare non abbiamo pensato ai giudizi ma piuttosto a fare cose diverse. Ci siamo sempre concentrati per scrivere e fare cose che facessero riflettere però, sempre con quel senso di ironia e incazzatura che ci piace e piace ai nostri fan. In questo credo che il nostro ultimo album sia il più power, negli anni siamo andati avanti e indietro a livello di suoni, musica e il resto, questo ha il sapore degli inizi».

Oggi esiste ancora una scena punk?
«La scena punk? Non lo so. Esistono un sacco di ragazzi e ragazze che hanno gran gusto e tanta tecnica, il vero problema è che non esistono più i posti dove suonare e farsi conoscere, un po’ perché alcuni si sono stati fermati con la pandemia, un po’ perché sono cambiate tante cose. Quello che voglio dire però è: aprite gli occhi e le orecchie perché c’è gente in giro che suona. Penso ai Circus Punk, ad esempio, lui e lei che hanno un power pazzesco, ma anche gli Error 404 che hanno vinto il Rugby Varese Music Challenge 2023. Insomma, penso che la scena è florida, ma bisogna cercare di far mettere le radici della nuova generazione punk».

Quando salite sul palco con pezzi come Acà Toro, Il vicino, La canzone del Bosco, Canapa e altri oramai diventati degli evergreen, c’è sempre la stessa emozione? 
«Il segreto per continuare ad amare quello che facciamo è che ogni concerto è una emozione. Quando sali sul palco ci sono quei 48 secondi di vera emozione, poi li vinci e inizi a goderti lo spettacolo. Io guardo il pubblico negli occhi uno per uno e me lo prendo tuttp. Mai salire su un palco senza paura ed emozioni, sarebbe la fine».

Adelia Brigo
adelia.brigo@varesenews.it

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Pubblicato il 09 Giugno 2023
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