Un “galletto” che ha fatto la storia del basket varesino
Il simbolo dei Roosters venne ideato dall'architetto varesino Jacopo Pavesi, in collaborazione con Massimo Rivolta e con il disegnatore trentino Moreno Chistè
La notizia diffusa ieri dalla Pallacanestro Varese riguardo al voler ripristinare il nome “Roosters” e il marchio con il gallo da combattimento ha subito trovato riscontri positivi tra i tanti tifosi che si innamorarono di quel simbolo. Divenuto immortale con lo scudetto della Stella ma utilizzato dalla società per un arco di tempo di alcuni anni.
Un progetto che nacque perché Edoardo Bulgheroni, allora presidente del club, volle trovare una idea forte dal punto di vista grafico per affiancare un’altra scelta rivoluzionaria del club: quella di rinunciare a un main sponsor che dava il nome alla squadra e di trovare sostegno in un pool di sei marchi principali (Lindt, Omnitel, Inda, Prealpi, Banca Popolare di Luino e Varese, Ignis).
Alla preparazione del simbolo lavorò l’architetto varesino Jacopo Pavesi insieme al suo assistente di allora, Massimo Rivolta (che negli anni recenti ha collaborato molto spesso con Pallacanestro Varese) e dal disegnatore trentino Moreno Chisté, legato a Pavesi da un’amicizia di lunga data. «Raggiunsi Moreno a casa sua, lavorammo per tre notti intorno all’idea che ci era venuta dopo una ricerca araldica che ci consentì di scegliere quel simbolo. E finalmente tornai a Varese con il galletto pronto all’uso» ricorda oggi lo stesso Pavesi.
Quel marchio venne depositato nel 1998 dalla Pallacanestro Varese che, comunque, nelle scorse settimane, ha coinvolto ed interpellato Toto ed Edo Bulgheroni quando si è trattato di ripristinarlo per le giovanili, su spinta di Luca Magnoni e Thomas Valentino.
Pavesi, che oggi ha 62 anni, ha espresso dispiacere attraverso Facebook per non essere stato ricontattato ma tiene a sottolineare, parlando con VareseNews, come sia ugualmente piacevole rivedere un suo lavoro di nuovo “vivo”. «Mi fa piacere che torni in auge quel progetto e non ho alcuna intenzione di fare polemica – spiega – solo di ricordare che l’idea era mia. Mi è solo dispiaciuto di non essere stato avvisato. Allora tra me e la famiglia Bulgheroni, con cui sono tuttora in ottimi rapporti, non ci fu nemmeno bisogno di un contratto: bastò una stretta di mano, un gentlemen agreement, e il Galletto prese vita. Per me, che non sono appassionato di sport ma amo le sfide nel mio lavoro, fu una gioia vedere il successo di quel lavoro, tanto più che poi la squadra arrivò a vincere lo scudetto».
E prima di congedarsi Pavesi, sfogliando un vecchio “Due Punti” su cui si parlava di quel progetto grafico, ritrova una frase di Hugo Pratt citata dall’amico Chisté: «Tutto ritorna e quando si pensa di essere vicini a un finale è proprio il momento in cui si riparte verso un altrove che ubbidisce solo all’immaginazione».
Chiamateli ancora Varese Roosters: il marchio “della stella” per le giovanili biancorosse
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