Il diritto dei ragazzi di nascondersi, oasi e utopie attuate: idee per fare educazione
Aula magna dell'Università dell'Insubria gremita per il convegno di Re-Start "...e se piovesse bellezza. Fare educazione in tempi di siccità morale" chiuso da Gio Evan

Oasi dove staccare dalla pressione sociale e utopie attuate – cioè non ideali ma già messe in pratica – tra le idee per “Fare educazione in tempi di siccità morale“. Questo il sottotitolo del convegno “…e se piovesse bellezza” che si è svolto nella giornata di martedì 26 settembre nell’Aula magna dell’Università dell’Insubria, piena in ogni ordine di posto, di educatori e operatori sociali che hanno partecipato all’evento conclusivo del progetto Re-start.
Un progetto coordinato dalle Cooperative NaturArt e Miniera di Giove che ha coinvolto i quartieri di San Fermo e Bustecche a Varese e il comune di Malnate agganciando circa 4 mila ragazzi tra adolescenti e preadolescenti. Con 550 di loro gli educatori di Re-Start sono riusciti ad instaurare una relazione significativa «inclusi 29 ragazzi in abbandono scolastico, con meno di 16 anni, e 28 minori in dispersione tra i 16 e i 18 anni», ha detto Andrea Maldera di NaturArt presentando e rilanciando i risultati di Re-Start.
Proprio sul contrasto all’abbandono scolastico lavora Davide Fant, pedagogista dell’Università statale di Milano responsabile del progetto Anno Unico attivo a Saronno e dedicato agli adolescenti che si sono allontanati dalla scuola. «Quando i ragazzi non vanno più a scuola noi adulti pensiamo che siano fragili, o è stato sbagliato l’orientamento scolastico, o che serva un coach per riattivare la motivazione. Invece dobbiamo fare un passo indietro e, per prima cosa, ascoltarli questi ragazzi », ha detto.

OASI PER IL DIRITTO PEDAGOGICO DI NASCONDERSI
Si scopre così che alla domanda “Perché hai lasciato la scuola?” i ragazzi rispondono diversamente.
Ad esempio “Perché lì non posso primeggiare”. “Perché non reggo lo sguardo dei compagni”. “Perché non reggo più il peso di essere valutato”. “Perché sono troppo brutto” o Perché mia mamma lavora tanto la sera è stressata, non è mai serena. É questo il mondo cui mi devo preparare?”. “Perché finché posso mi godo il mio tempo”. “Perché a scuola c’è troppo rumore”. “Perché la scuola continua a prometterci un futuro che non c’è più”.
«Prima di dire che i ragazzi sono fragili, dovremmo ascoltarli davvero e capire che spesso semplicemente vedono il mondo in cui viviamo e non gli piace. È vero che siamo sempre stati valutati ma oggi la valutazione numerica è un’ossessione, a scuola come sui social. I pari spesso sono percepiti come competitor e non come alleati. Inoltre i ragazzi hanno accanto adulti che non reggono il negativo, tendono a rimuoverlo. Adulti che nascondono le macerie che i ragazzi comunque vedono e che hanno bisogno di capire».
Da qui la proposta di cambiare l’approccio al lavoro educativo, a partire dalla costruzione degli spazi dedicati: devono essere oasi. «Oasi accoglienti, libere da quell’aria così tossica per i ragazzi, senza pressione sociale, senza accelerazione e senza competizione. Isole al riparo da numeri, aspettative e giudizi – Ha detto Fant – Oasi dove non si guarda al futuro ma al presente. Oasi dove affermare ed esercitare un nuovo inalienabile diritto pedagogico: il diritto di nascondersi».
«Oasi in cui sperperare tempo per fare casa – ha aggiunto – per risuonare prima ancora che collaborare, partendo dai corpi, dalle vulnerabilità e dalle alleanze sensibili, per affinità. Oasi dove arginare l’ansia per il futuro riscoprendo lo stare bene nel presente».
FALLIMENTI E UTOPIE ATTUATE
«Le pratiche di apprendimento dominanti hanno fallito – ha detto in premessa senza mezzi termini la docente dell’Università di Tampere in Finlandia, Annalisa Sannino – Si sono rivelate incapaci di trasmettere sia la necessità di investire nel bene comune più che nell’individuo, sia le pratiche del pensiero e dell’agire insieme in modo produttivo. Non dobbiamo rimuovere la negatività ma abbiamo il dovere di essere ottimisti e quindi di fare luce su quelle esperienze creative e di sviluppo, che sono utopie attuate cioè non ideali ma concrete e applicate anche se isolate e frammentate. Bisogna riconoscerle, coltivarne e metterle a sistema, superando confini settoriali e gerarchie che ne impediscono la condivisione».

All’incontro hanno partecipato anche la sindaca di Malnate, Irene Bellifemine, e l’assessora ai servizi educativi Rossella Dimaggio che ha posto l’attenzione sulle difficoltà dei genitori e sulle «lacune di una tendenza nazionale ad affrontare il tema delle politiche giovanili reprimendo o medicalizzando i ragazzi – ha detto – A monte c’è bisogno di lavorare sulle relazioni, sull’affettività e l’emotività, anche a scuola».
Lacune in cui tra l’altro si sviluppano dinamiche negative e grossi malintesi sociali, come nel caso – illustrato dall’antropologo dell’Università Bicocca Paolo Grassi – “Gli adolescenti che fanno paura: Rap e panico morale a San siro – Milano”.
COMUNITA’ E BELLEZZA
Centrato invece sulla necessità di creare comunità aperte e autoeducanti dove il ruolo dell’educatore è valorizzare la tensione generativa frutto di complessità e naturali contraddizioni, l’intervento di Stefano Bonometti, presidente del corso di studi in Educazione professionale dell’Università dell’Insubria e coordinatore di Re-Start.
Un concetto, quello di comunità, centrale anche nell’intervento dello scrittore e cantautore Gio Evan, intervenuto in chiusura di convegno, immedesimandosi nel ruolo degli adolescenti ma anche in quello dei genitori di oggi “in tempi di fragilità anche degli adulti”. Tempi in cui “il tessuto sociale e cioè la comunità, che era risorsa per i ragazzi e le famiglie, oggi appare sbriciolata e affaticata”. Proprio per questo , oggi più che mai, si rende necessario “lavorare ogni giorno dentro le dimensioni della fatica, della bellezza e della speranza necessaria a mantenere vivo il fuoco”.
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