La scommessa sull’Africa parte dalla curiosità: “È l’unico modo per superare la pericolosa presunzione di sapere”

Concluso con successo “VadoinAfrica Summit“, la tre giorni online su esperienze, strategie e contatti legati alle relazioni connun continente ricco di opportunità. Il varesino Martino Ghielmi racconta: "Il tessuto economico africano e simile a quello italiano per la fitta presenza di Pmi, ed è l’unica zona al mondo dove la popolazione aumenterà nei prossimi 50 anni"

Generico 25 Sep 2023

«In Italia pensiamo che l’Africa sia “un Paese povero“ ma siamo di fronte a un continente composto da 54 Stati e un’enorme ricchezza socio-culturale».

Martino Ghielmi, 38 anni, fondatore di vadoinafrica.com, il blog che in pochi anni ha creato una community affiatata composta da alcune decine di migliaia di professionisti e imprenditori che lavorano sul terreno, non ha dubbi: il futuro passa per l’Africa. Racconta a Varesenews il “momento“, e le opportunità legate a relazioni economiche col continente che si affaccia ad un mare comune, il Mediterraneo.

Com’è nato il suo interesse per l’Africa?
«Tutto inizia nel 2005 a vent’anni, diretta conseguenza della mia passione per l’atletica. Volevo andare in Kenya per capire come mai corressero così veloce. Non è solo Dna, ma un mix socio-economico unico al mondo. Di fronte a un contesto ricco di entusiasmo, che mi ha fatto ricordare i racconti di chi ha vissuto il secondo Dopoguerra, ho intuito come ci fosse un grande gap tra ciò che avevo in mente e la realtà. Così ho approfondito gli studi. Ho viaggiato e vissuto a Nairobi dove ho iniziato a occuparmi di consulenza aziendale mentre continuavo a sviluppare nessi nel mondo dell’atletica seguendo la nascita di Run2gether, gemellaggio che ho poi messo in contatto con la varesina Africa&Sport fondata da Marco Rampi».

Quali dinamiche l’hanno colpita?
«Questo continente era alla vigilia di un “rinascimento” economico e sociale, anche se in Italia nessuno ne parlava, convinti di avere di fronte ancora capanne, tam-tam e anelli al naso.
Se il Pil pro capite è ancora modesto (poco più di 2.000 dollari l’anno in Kenya) il trend è decisamente verso l’alto, con fondamentali economici solidi nonostante gli shock globali.
Inoltre i dati macroeconomici africani non sono precisi (spesso sottostimati per non perdere aiuti allo sviluppo) e ci sono grandi differenze tra la città e la campagna.
La vera forza dell’Africa è nella sua demografia: un abitante su due ha meno di vent’anni ed è l’unica zona al mondo dove la popolazione aumenterà nei prossimi 50 anni. Per questo penso che siamo di fronte a un nuovo Sud-Est Asiatico, la zona a più forte crescita economica del pianeta. Semplicemente questa volta è molto più vicino all’Italia. E più accessibile a livello culturale».

In che senso?
«L’Italia non solo è geograficamente vicina al continente africano (non ci sono fusi orari, tra le altre cose). Anche a livello culturale siamo il popolo europeo più vicino all’universo africano – anche nelle sue varianti lombarde o varesine. Qualche esempio? La fondamentale importanza che ricoprono le Pmi familiari tanto in Italia quanto nei Paesi africani. La grande diffusione di missioni cattoliche e associazioni italiane crea inoltre un “dividendo di fiducia” che ci rende genericamente ben voluti a quelle latitudini. Ma oggi a queste latitudini si cercano partnership e capitali prima di tutto.

Com’è nato vadoinafrica.com?
«Negli ultimi dieci anni ho seguito da consulente alcuni importanti progetti di creazione dipartnership in Africa per conto di importanti aziende e università italiane.
Vadoinafrica.com era il mio blog personale, dove condividevo spunti e riflessioni in “presa diretta” dal mio lavoro quotidiano. Poco alla volta si è creata una rete di professionisti, di esperti. Ci accomunavano alcuni valori di base e l’utilizzo della lingua italiana, condivisa da numerosi colleghi africani che hanno studiato, lavorato e vissuto in Italia.
Mi sono accorto che potevamo favorire la crescita di progetti visionari superando i classici limiti delle società di consulenza (accessibili solo alle grandi imprese) e la debolezza della rete diplomatica italiana in loco (diversi Paesi sono addirittura privi di un’ambasciata)».

In cosa consiste oggi il progetto?
«Si tratta di una community collaborativa e pragmatica che raduna professionisti e imprenditori accomunati dalla visione di creare valore con il continente africano. Aggreghiamo chi ha capito che “dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo” come diceva già Plinio il Vecchio. E chi vuole andare oltre il paternalismo con cui abbiamo guardato questo mondo, che sta diventando sempre più importante. Parallelamente guido uno studio di consulenza che affianca aziende a sviluppare filiere commerciali responsabili e progetti di investimento nell’intero continente, con priorità all’Africa Orientale».

Quali sono i settori e i Paesi di maggior interesse?
«Tutte le filiere legate alla trasformazione agroalimentare, le costruzioni e il design, ma anche i servizi professionali. La regione più interessante, a mio avviso, resta l’Africa Orientale, più stabile e uniforme di quella Occidentale in preda alle turbolenze per la fine della FrancAfrique. Quindi sicuramente Kenya, Tanzania, Uganda e Rwanda da un lato (parte di East African Community, un’area che aggrega oltre 280 milioni di persone). Dall’altra senza dubbio Ghana (anglofono, ma più semplice della gigantesca Nigeria), Costa d’Avorio e Senegal. Quest’ultimo anche in virtù degli oltre 100.000 senegalesi residenti in Italia (32.000 solo in Lombardia) e degli italiani in Senegal (oltre 4.000, in gran parte imprenditori)».

Questa settimana avete tenuto il vostro Summit annuale. Com’è andata?
«Sì, abbiamo organizzato VadoinAfrica Summit, tre giorni online dove abbiamo condiviso esperienze, strategie e contatti utili (rivedibile in differita dal nostro canale YouTube).
Sul palco virtuale, davanti a oltre 1.000 iscritti sono saliti tra gli altri Paul Elom Kpelly, giovane imprenditore italo-togolese cresciuto a Milano che sta rivoluzionando la filiera del caffè in Togo. Massimo Dal Pozzo, CEO di SODIMAX Srl leader nelle spedizioni navali e cargo (da Malpensa) con l’Africa. Pamela Anyoti Peronaci, ugandese con esperienza in Giappone, Italia e Belgio, ha condiviso l’avventura dietro la nascita di Asante Mama, brand che coinvolge oltre 11.000 contadini in Uganda. Un intervento che è piaciuto particolarmente è stato quello sulla bioedilizia con Abdoulaye Faye e Andrea Degan, rispettivamente impresario edile e architetto che da Venezia hanno realizzato un avveniristico recupero della terra cruda per costruire in Senegal. Così come l’intervento di Enzo Graziano che ha svelato il dietro le quinte della prima agenzia di formazione venditori in Africa Orientale con sede a Nairobi. A chiudere Domenico “Mimmo” Falcone, in arte MoBlack, fondatore della prima etichetta dedicata al genere Afro House che sta raccogliendo riconoscimenti a livello globale.

Qual è il segreto per lavorare con l’Africa?
«Come dice il nigeriano Wole Soyinka (Premio Nobel per la letteratura nel 1986) le relazioni euro-africane degli ultimi cinque secoli sono la storia di un monologo: quello europeo. L’Europa fatica a riconoscere come pari le voci e gli interessi africani. Infatti “non c’è mai stato un riconoscimento reciproco che prendesse atto delle condizioni economiche profondamente cambiate negli ultimi tempi, bensì un confronto mono-direzionale. Ovviamente anche i leader africani hanno le loro responsabilità. È un peccato, perché un dialogo tra pari favorirebbe non poco lo sviluppo delle relazioni umane.” Io credo che ascoltare voci serie e lungimiranti che arrivano dall’Africa possa farci ridarci un senso per il futuro, che è un bene scarso in questi tempi difficili».

Che ruolo potrebbe giocare Varese nello sviluppo di queste sinergie?
«Varese ha uno storico legame con il continente africano. Penso ai Comboniani di Venegono, incontrati negli angoli più sperduti dell’Africa Orientale. O alle preziose esperienze di cooperazione nate alla scuola di don Vittorione. In campo archeologico, un contributo unico arriva dai gemelli Angelo e Alfredo Castiglioni. Quello che manca è un maggior impegno del tessuto economico. Con la vicinanza di Malpensa siamo più vicini alle capitali africane che altre zone d’Italia. Certo, i voli diretti scarseggiano ma gli spazi per attivare sinergie sono diversi. Da dove partire? Dalla curiosità che è l’unico modo per superare la pericolosa presunzione di sapere. Vero ostacolo alla nascita di collaborazioni vincenti che facciano leva sull’esperienza e le competenze così diffuse del nostro territorio».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 29 Settembre 2023
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