“L’incidente di Malpensa”, tornano le indagini del duo Forni-Bandera nella Gallarate di un secolo fa
È il secondo giallo firmato "a quattro mani" da Adelfo Forni e Stefano Bandera, questa volta nel bel mezzo della Grande Guerra
Un morto nella brughiera di Malpensa, un morto per errore, durante la caccia, come avveniva talvolta: parte da qui “L’incidente di Malpensa”, il secondo romanzo di Stefano Bandera e Adelfo Forni, ambientato nella Gallarate – e un po’ più in là – degli anni Dieci, a ridosso della Grande Guerra.
«Romanzo in continuità con il precedente, “il Rebus di Gallarate”, con lo stesso protagonista: Vito, il sarto “sbirro dentro”, figlio di una gallaratese e di un carabiniere siculo morto in servizio» racconta Forni. Se il precedente giallo era ambientato nei giorni in cui scoppiava la Prima Guerra Mondiale, ora l’ambientazione è nell’estate del 1917, con il conflitto che logora gli italiani quanto gli austriaci.
«Lo spunto di partenza è sempre un fatto se vogliamo banale. Se nel primo era il ritrovamento di una giacca verde, in questo caso è la notizia letta sulla Cronaca Prealpina» continua Bandera. «Tutto si svolge nel mese di agosto, un tempo un po’ morto, anche allora, per un sarto. La notizia e il fiuto da sbirro avviano una ricerca». Il tutto in una Gallarate che fa i conti «con le difficoltà legate al periodo di guerra, anche sugli approvvigionamenti alimentari, mentre sulle pagine della Cronaca Prealpina compaiono i necrologi dei concittadini caduti sui campi di battaglia, mentre di tanto in tanto ricompare il Giacometto Macchi, a raccontare le sue imprese al caffè Ranzoni» continua Forni.
Giacometti Macchi fa parte di quella decina di personaggi reali inseriti nella trama fittizia. Comprimari (ma non troppo) nella vicenda raccontata, tratteggiati sulla base di una conoscenza profonda: «Giacometto Macchi era un mio prozio,» racconta ancora Adelfo Forni. «Ho ricordi diretti (è morto che avevo 20 anni) una aneddotica trasmessa dalla famiglia. Riformato e poi pilota, frequentatore di futuristi, pittori, scultori, frequenta Brera. S’innamora degli aerei, diventa osservatore e fotografo dagli aerei, partecipa a missioni incredibili, sorvola il territorio austriaco accendendo luci tricolore».
Allo steso modo compare il personaggio storico del pasticcere Furlandoni, creatore degli amaretti di Gallarate, Dal precedente “Rebus di Gallarate” tornano diversi personaggi (come il maresciallo Cartabelotta, qui con ruolo più marginale) mentre un maggior ruolo ha la famiglia di Vito e l’ambiente familiare, la casa del sarto in via Varese 7.
«Abbiamo poi cercato nuovi spunti di ambientazioni della Gallarate di allora» continua Bandera. «C’è ad esempio una descrizione di piazza Garibaldi, che era molto diversa da quella attuale, perché molti degli edifici attuali non esistevano. Abbiamo usato come scena il Teatro Condominio e abbiamo introdotto personaggi di atmosfera, in una città già importante ma legata alle sue tradizioni, ad esempio rappresentato dall’uso del dialetto». Se nel primo ci si spingeva verso Milano, qui l’ambientazione si allarga alla zona della brughiera di Malpensa e – con un animato inseguimento – conduce fino alle sponde del lago Maggiore.
Il duo Bandera-Forni ha lavorato con lo stesso giocoso metodo già sperimentato nel primo romanzo: «Ognuno scrive un capitolo a parte e lascia all’altro il compito di aprire il successivo. La trama è già in parte preordinata, ma in parte viene generata a ogni capitolo. Per divertirsi ognuno inserisce stimoli diversi e fa evolvere la storia».
La scrittura è piacevole, punteggiata di qualche termine dell’epoca e soprattutto dal dialetto lombardo usato qua e là per dare vivacità ad alcuni dialoghi, con la sapida rapidità di alcuni termini (“fannigutoni” per dire perdigiorno). Divertendo, il giallo porta alla scoperta della città di allora, delle radici, dei personaggi storici, come ben sottolinea la prefazione firmata da Massimo Palazzi. La trama, ricca di passaggi e colpi di scena, rimane però sempre centrale rispetto allo sfondo e ai dettagli, inseriti con una logica nella narrazione.
Un bell’accompagnamento è quello dato dalle immagini storiche: una trentina di scatti, in gran parte inediti, dagli archivi del fotografo Giovara, dall’archivio di Vittorio Pasqualotto e Giovanna Crespi Crosta. Alcune immagini offrono uno sguardo sui luoghi (menzione particolare per alberghi e locande del borgo, tutti scomparsi) ma anche sugli aspetti più curiosi, come nel caso delle foto di Giacometti Macchi e degli altri aviatori della Malpensa.
Sulla copertina una elaborazione grafica mostra un grosso aereo Caproni degli anni della Grande Guerra: cosa rappresenti, dovrete scoprirlo voi, nelle pagine del libro
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